La bella notizia di Bernal che torna a pedalare (quasi) come un tempo e che in questo inizio di stagione sale sul primo podio dopo quello del Giro 2021. Marta Cavalli che ha impiegato più di un anno per ritrovarsi dopo l’infortunio del Tour 2022. Froome che al contrario chiuse la carriera nella caduta al Delfinato del 2019. Evenepoel che bruciò le tappe per rientrare dopo il volo del Lombardia e al Giro dell’anno successivo pagò un conto molto salato. Alaphilippe che non trova ancora la bussola dopo la caduta alla Liegi del 2022 e Bramati che in una delle prime interviste di inizio 2023 disse che il francese avrebbe avuto bisogno di un anno di recupero prima di tornare se stesso. Tanti piccoli indizi che fanno sorgere un grosso dubbio: come mai da un paio di anni a questa parte rientrare in gara dopo questi infortuni, pur molto gravi, è diventato così complicato?
Il politrauma
Quando Bernal si rialzò dall’incidente che poteva costargli la vita, Fabrizio Borra che di atleti rotti ne ha visti e rimessi in piedi parecchi, disse che il tempo di guarigione dalle fratture fosse nei tempi. Il difficile sarebbe stato semmai il ritorno all’efficienza. E il ritorno all’efficienza, questa la sensazione, è rallentato e in certi casi compromesso dal ciclismo super veloce nato dopo il Covid.
«Se parliamo di atleti che si sono rotti vertebre, costole, la clavicola, una parte del bacino e la tibia, abbiamo a che fare con un politrauma. E questo amplifica tantissimo i tempi di recupero, di riassetto anche osteomuscolare, di bilanciamento muscolare. Ci sono un sacco di variabili che entrano in gioco e rallentano tutto».
Le corse di allenamento
Chi parla è Carlo Guardascione dello staff medico del Team Jayco-AlUla. Lo abbiamo chiamato per avere la sua opinione di medico sulla fatica di certi recuperi e le sue parole sono risultate illuminanti.
«Recuperare da un infortunio – dice – è più difficile di prima, perché adesso il livello nelle gare è più alto. Una volta chi rientrava poteva partecipare alle prime corse per allenarsi e quel tipo di sollecitazione gli consentiva di riprendere gradualmente il passo. Ma negli ultimi anni, quante volte siete riusciti a vedere corridori che vanno alle corse per fare un certo tipo di lavoro? Ormai se non vai in corsa al 100 per cento, sei morto. Non tieni le ruote. Bernal ha impiegato due anni per riprendere il filo e forse ancora non l’ha fatto del tutto, ma lui era praticamente morto. Froome, che ha 10 anni di più, con quella caduta ha chiuso la carriera».
I tempi biologici
Il ritmo di gara è alto, ma la fisiologia non si riscrive con il progresso. E se un atleta ha bisogno di recuperare da un infortunio serio e per farlo non può sfruttare il lavoro in gara, tutto si complica e i tempi si allungano.
«L’organismo – spiega ancora Guardascione – ha sicuramente bisogno di tempi biologici, su cui ci si può inventare poco. Si può giostrare con terapie più moderne, con dei supporti fisioterapici più moderni. Facciamo un esempio banale: da qualche anno c’è la Tecar, che 15 anni fa neppure si sapeva cosa fosse. Da qualche anno ci sono le onde d’urto, che qualche anno fa non sapevamo cosa fossero. Però la natura vuole che i tempi biologici vengano rispettati. Si può anticipare di quel 10-15-20 per cento, ma secondo me non si può fare il paragone tra 15 anni fa e quello che succedeva una volta a livello di performance. Prima i corridori si potevano permettere le corse di preparazione, mentre oggi se si va in corsa senza essere in forma, si finisce fra le ammiraglie».
Attesa e contratti
E qui il discorso andrebbe esteso ai team manager, soprattutto a quelli che dopo un po’ sono stufi di aspettare e reclamano risultati nel nome del lauto ingaggio che versano all’atleta infortunato.
«Non ci si può aspettare che si facciano miracoli – dice Guardascione – e se ci sono manager che mettono fretta senza sapere che da certi infortuni ci si riprende dopo parecchio tempo, vuol dire che sono sciocchi, oppure fanno finta di niente oppure ancora vogliono lucrare sul contratto».
Il tema è delicato. Gli atleti sono macchine pressoché perfette, combinazione miracolosa di equilibri delicatissimi. Un evento traumatico, un infortunio importante cancella anni di costruzione e costringe a ripartire da zero, dal ricostruire un’efficienza fisica che non si può dare per scontata. Ecco il motivo per cui in questo 2024 sarà interessante vedere all’opera Bernal e Alahilippe, aspettando con fede che anche Marta Cavalli si riprenda dall’ultima caduta e torni a prendersi ciò che è veramente suo.