«C’è una linea sottile su cui essere in equilibrio ed è molto facile cadere dall’altra parte. E poi risalire non è per niente facile». Queste parole di Marco Canola, che probabilmente avrete letto nell’intervista pubblicata alle 10,30 aggiungono uno spunto di riflessione su quanto sia diventato difficile oggi essere un corridore. Se ci pensiamo bene, l’architettura barocca e maestosa con cui si sono ampliate le squadre WorldTour e in proporzione le altre poggia sempre e soltanto su uomini magri e cocciuti, benedetti dalla natura con fisici prodigiosi, ma al pari di tutti gli altri portatori di fragilità congenite al genere umano. Ciascuno ha la sua kryptonite, al pari di Superman. Può cercare di starne alla larga, ma non può fingere che non esista. E quando la tocca, deve saper gestire le sue reazioni.
Testa e pancia
Non è per caso che le squadre si siano riempite di mental coach e che il team Ineos abbia addirittura (da anni) in organico uno psichiatra. In tutti i pezzi pubblicati negli ultimi giorni, il ricorso allo psicologo è diventato un passaggio obbligato, al pari del nutrizionista. E non crediate che si tratti di due sfere tanto lontane da loro.
Giorni fa, lavorando al ritiro della Trek-Segafredo sul mare di Altea, è capitato di scambiare due parole con Elisabetta Borgia, che da quest’anno fa parte a tempo pieno del team americano. La riflessione che più ha richiamato l’attenzione verteva sulle abitudini di alcune squadre in tutto il mondo di estremizzare il rapporto col cibo. Alcune hanno addirittura delle tabelle e gli atleti ad esse devono attenersi. In soggetti predisposti, tali rigidità possono innescare pesanti problemi psicologici, ancor più rischiosi nel mondo femminile.
La centralina dell’atleta
Allo stesso tempo, la necessità per i giovani di ottenere prestazioni in tempi rapidi o di confermarsi al top per i più grandi rende necessario lavorare anche sull’aspetto mentale.
«La prestazione – ha detto nei giorni scorsi Marino Rosti – è fisica, tecnica e mentale. Per la performance ci si concentra sempre sull’aspetto fisico, sulla forza, la resistenza, la velocità, i carichi di lavoro. Si lavora sulla posizione in bici e poi magari il terzo aspetto raccoglie i precedenti. Perché come diceva il buon Franco Ballerini, puoi avere anche una macchina da 1.000 cavalli, ma se la centralina non va, la macchina non rende».
Rischio burnout
Che cosa succede se la centralina si blocca? Puoi essere forte come Superman e avere nel dna tutti i filamenti giusti per essere un divoratore di avversari, ma di colpo di blocchi. Vedi il crollo di Roglic nella crono finale del Tour 2020, vedi lo stop inatteso di Dumoulin.
«Il ciclismo si fa ad un livello sempre più alto – disse al riguardo la stessa Elisabetta Borgia – e 10 anni fa ad un atleta era richiesto di andare forte e basta e nelle migliori delle occasioni aveva l’articolone a fine mese sul mensile, adesso non è così. Ci sono i social, ha tante figure intorno preparatore, fisiologo, dietologo… che sono tutte su di lui. E se da una parte avere tutto sotto controllo è un vantaggio, dall’altra è facile il rischio di “burnout”, cioè di andare in crisi. Perdi le sensazioni su di te. Sei disorientato. Questo momento arriva per tutti gli atleti di alto livello. Sei forte, hai pressioni e devi confermarti. Ma nel frattempo le cose non ti vengono più facilmente e non sei più un giovanotto in rampa di lancio, ma il campione con gente intorno che cerca conferme da te».
Uno zaino pesantissimo
Il mental coach fa questo. Traccia per gli atleti un percorso psicologico attraverso il quale possano tornare nei propri panni, eliminando il superfluo. Si resetta la centralina e quando si è certi di aver messo tutto a posto, si ricomincia a caricare sopra gli elementi necessari. Non ci si chiede se lo siano davvero, il gioco ormai ha preso questa direzione. E proprio in nome di essa, sarà sempre più difficile avere atleti longevi e capaci di farsi scivolare tutto addosso.
La linea è sottile ed esaudite le esigenze del marketing, quelle di squadra, quelle dei procuratori e quelle degli sponsor, resta anche il tempo per allenarsi.
E poi ci sono i giornalisti. Alcuni sono fortunati, altri meno. In questa epoca di Zoom e piattaforme, si è diffuso a macchia d’olio l’uso di limitarsi a incontri virtuali che non bastano. In Spagna la scorsa settimana c’erano solo due testate italiane: l’altra era la Rai. Forse sarebbe necessario riumanizzare la cosa, riaprire le porte e ricordarsi di volergli bene. Superman non esiste, di corridori schiacciati dalla Kryptonite ne abbiamo visti sin troppi.