Quando si mette in sella un corridore non ci sono solo numeri da rispettare, ma una vera e propria filosofia. Come quella di Niklas Quetri, il biomeccanico che segue molti campioni, tra cui Marta Cavalli. E’ stata lei ad indirizzarci sul tecnico di Rosà, nel vicentino.
Quetri ha un centro, il Niklas Bike Fitting, appunto a Rosà, il cui concetto di bike fitting nasce dalla sua formazione. Niklas è laureato in Scienze Motorie. Sono 13 anni che svolge questo mestiere: numeri, esperienza e ricerca (come vedremo) s’intrecciano sempre di più. L’esperienza conta: «Ma il bike fitting – dice – deve fondarsi su basi scientifiche».
Niklas, di biomeccanici ce ne sono molti. C’è chi si affida solo agli strumenti, chi all’esperienza: quale è la tua filosofia e di conseguenza il tuo metodo?
Avere una certa formazione ritengo sia fondamentale. Aver studiato Scienze Motorie mi ha permesso di conoscere l’importanza dell’anatomia, della fisiologia, della biomeccanica… e di conseguenza a imparare ad utilizzare in modo corretto gli strumenti del bike fitting che sono tantissimi.
Da dove parti per mettere in sella un ragazzo o una ragazza?
Faccio una valutazione della persona, che sia l’ultimo degli amatori o il primo dei professionisti. E’ il punto da cui partire: serve a me per capire le sue esigenze. Poi sostanzialmente utilizzo un sistema di analisi cinematica in tre dimensioni. Questa mi consente di valutare l’allineamento, anche in tempo reale, a diverse intensità di sforzo.
Perché la posizione cambia a seconda della fatica…
Esatto. Con Marta (Cavalli, ndr) per esempio, ho utilizzato un sistema che mi permette di valutare la sua posizione su strada e registra fino a cinque ore di attività. Cinque ore nelle quali posso vedere come cambia la posizione all’aumentare della fatica, in base ai cambi di intensità, di pendenza… In questo modo ho una sua posizione “solida”, concreta. Questo metodo si utilizza anche in pista se per esempio si fanno dei test per dei caschi. Tu provi cinque modelli differenti e il cx (coefficiente di penetrazione dell’aria) cambia, ma magari ti sei spostato anche tu con il busto. Metti un sensore sul casco e uno sul busto, così capisci se il cx è cambiato per via del casco o perché ti sei spostato.
Interessante…
Con Vittoria Bussi, con la quale stiamo lavorando per il record dell’Ora, abbiamo fatto dei test in pista e abbiamo notato che dopo 30′ di sforzo cambiava la sua posizione in bici. In questo modo hai dei feedback diretti.
Come funziona tecnicamente questo metodo? Come sono fatti questi sensori?
Si tratta di accelerometri che si collegano a delle unità tipo i Garmin e grazie ai quali si possono visualizzare in tempo reale o scaricando poi il file tutti i movimenti dell’atleta. Solitamente se ne applicano cinque: due sui piedi, uno sulla coscia, uno sul bacino e uno sul busto. Ma volendo si può decidere di posizionarli anche altrove, sul casco per esempio. Per vedere così se e quando si modifica la posizione della testa con il passare delle ore. Una volta per fare un test sull’idratazione e vedere veramente quanto quell’atleta bevesse in allenamento, ho messo un accelerometro su una borraccia.
Andiamo avanti.
C’è poi un altro strumento basilare per quel che riguarda il mio bike fitting che misura la pressione che si fa sulla sella. Uno strumento che tra l’altro sto sviluppando con un’azienda tedesca e che evidenzia la pressione sui punti critici. Perché una sella sul momento, quando si è freschi, magari va bene, ma con il passare delle ore cambiando la posizione cambia anche il punto di appoggio e quindi di pressione. Una volta si badava solo alle ossa ischiatiche e alla loro larghezza. Adesso non è più così. Adesso si sta uscendo da quei luoghi comuni che un pro’ dovesse usare per forza una sella piatta e messa in bolla. Poi ci sono altri test, ma sono davvero più di nicchia. Di base si parte appunto da un’analisi del soggetto, dal test degli accelerometri e dallo studio delle pressioni nei punti critici.
Un metodo davvero innovativo e dinamico, Niklas…
Il tema dell’analisi attiva e dinamica è sempre più diffuso. Una volta si faceva tutto in laboratorio con conseguenti grandi errori. Molti ciclisti, anche pro’, vengono da me per correggere errori divenuti molto importanti con il tempo (persino patologie, ndr). E con il diffondersi del ciclismo c’è più volume di questi servizi, ma anche una minor qualità generale. La cosa però che mi piace di questa evoluzione generale è che stanno saltando tanti falsi miti.
Tipo?
Come abbiamo detto prima per esempio la sella in bolla. O il ginocchio più avanti dell’asse del pedale. L’idea che per essere aerodinamici bisogna per forza essere schiacciati… E questo è merito delle nuove generazioni che accettano i cambiamenti. Anche alcuni pro’ di lungo corso se ne accorgono, ma cambiare non è facile. Per cambiare la posizione di un pro’ ci vogliono anni.
Perché?
Un professionista pedala minimo da 10 anni. Prendiamo un Nibali, per esempio. Sono almeno 20 anni che percorre 30.000 chilometri all’anno. Non puoi cambiargli la posizione adesso. Vincenzo stesso è consapevole che la sua posizione è sempre quella, ma cambiarla a 37 anni all’improvviso sarebbe un errore. E ha ragione. Se si vogliono ottenere risultati (salute e/o prestazione) a medio e lungo termine bisogna aggiornare il fitting regolarmente e non tenere le stesse misure per anni.
E’ un’evoluzione lunga. Uno scoglio psicologico e culturale se vogliamo?
Esatto. Ci sono tre fasi: la ricerca scientifica, l’applicazione e l’accettazione da parte degli utenti finali. Altro esempio: le pedivelle corte. Il primo studio sull’efficacia di queste pedivelle risale al 2001, ma solo adesso inizia ad essere accettato. Quando lo proponevo mi prendevano per matto. Idem l’arretramento delle tacchette. Anche i produttori di scarpe, chiaramente entro certi limiti, iniziano a posizionare gli attacchi un po’ più dietro. Ma anche in questo caso gli studi risalgono a 15 anni fa.
Cosa chiedono i corridori quando vengono da te?
La prima cosa è: «Fammi stare comodo». Questo è fondamentale per loro. Stare comodi vuol dire rispettare anatomia del corpo. E se conosci l’anatomia, riesci a collegare i numeri degli strumenti ai componenti e ad individuare la posizione migliore e performante. Per questo è fondamentale conoscere l’anatomia del corpo umano, i componenti presenti sul mercato, la fisiologia.
Per loro comodità significa anche prestazione…
Chiaro che per loro la comodità è funzionale alla prestazione. Poi ci sono aspetti minori e individuali come gli accorgimenti per lo scalatore, per il velocista. Per esempio lo scalatore sacrificherà qualcosina per rendere in pianura per essere più performante in salita. E il velocista per essere al top nei 200 metri finali. Ma per questo si lavora sui dettagli.