A voler fare le cose per bene, si sarebbe dovuti partire per il Giappone con due settimane di anticipo, proprio come ha fatto Evenepoel. Poi un po’ il Covid e un po’ gli impegni delle squadre lo hanno impedito e la fase di acclimatazione degli azzurri in Giappone sarà il meglio che il poco tempo a disposizione renderà possibile.
Ma il tema c’è ed è vasto, come conferma Laura Martinelli, nutrizionista del Team Novo Nordisk e nostra guida per tanti ragionamenti su corse e dintorni.
«Si prospettano come le Olimpiadi più calde di sempre – dice – con tutto quello che ciò comporta per la fisiologia dell’atleta».
La temperatura corporea
Poi, sorridendo e quasi scusandosi come ogni volta in cui c’è da fare una digressione, entra in argomento tracciando uno spaccato in cui potrebbe riconoscersi chiunque abbia fatto sport.
«La temperatura a riposo di un individuo – dice – è sui 37 gradi. Se la temperatura esterna è intorno ai 20 gradi, essa salirà fino ai 38,5, mentre se fa caldo davvero si arriva fino ai 41,5 gradi. E’ un valore cui si arriva per il lavoro metabolico legato all’intensità dell’esercizio e a fattori ambientali, su cui non possiamo intervenire. Quello che però possiamo fare è intervenire sul piano nutrizionale, studiando il modo in cui l’organismo può adattarsi all’ambiente, iniziando 2-3 settimane prima».
Cosa si fa?
Si può lavorare per una sudorazione più efficace, sulle tecniche di idratazione, sulla resistenza al calore e sulla stabilità cardiovascolare. Si può fare abbinando nel modo giusto allenamento e alimentazione.
Serve tempo, che i nostri appena arrivati laggiù però non hanno…
Servono 6-7 allenamenti, che però non si possono fare consecutivamente. Si fa un’ora e mezza di esposizione al calore, in cui l’allenatore lavora per il miglior adattamento, mentre il nutrizionista studia l’alimentazione per il giorno della gara. Attraverso questi allenamenti, il cui numero si determina di caso in caso, si riesce ad acclimatare l’atleta.
Hai parlato del lavoro del nutrizionista in questa fase.
Si studia la nutrizione per il giorno di gara, ma si può fare anche altro. Ad esempio si calcola il volume della sudorazione prima e dopo l’allenamento, per determinare la caratteristica soggettiva di quanti litri di sudore un atleta produce con certe condizioni ambientali e in un determinato intervallo di tempo. Volendo andare oltre, si può anche analizzare la composizione del sudore. Si usano dei cerotti che lo assorbono e in base alla sua composizione, valutando quali sostanze l’organismo espelle, si possono elaborare i drink più efficaci per la gara. Un discorso, questo, ancora più complicato per gli atleti paralimpici.
Perché?
Perché ad esempio negli allenamenti di esposizione al calore, bisogna stare attenti al tipo di disabilità che condiziona la sudorazione, l’esposizione ai raggi solari. Un atleta amputato avrà meno superficie corporea attraverso cui sudare, ad esempio.
Gli atleti sono arrivati da poco, come si gestisce l’acclimatazione al fuso orario?
Non so se abbiano iniziato a farlo da prima. La prassi è modulare le ore di esposizione alla luce, modificando gli orari di sonno e veglia. Sul piano nutrizionale, si interviene nella pianificazione durante il viaggio. Quando i miei atleti hanno un volo così lungo, guardo le cartine degli aeroporti in cui faranno scalo, per trovare i ristoranti in cui possano mangiare il cibo di qualità che più gli serve ed evitare che mangino quello degli aerei, che solitamente è di pessima qualità. Si lavora anche sugli orari di digiuno, una metodica molto diffusa al di fuori del ciclismo, ragionando già da prima su quelli del Giappone. Tutto ciò aiuta nell’adattamento.
Leggendo il ruolino di marcia degli azzurri, non sembra che abbiano seguito queste prassi.
Se non lo hanno fatto come nazionale e a meno che i singoli non abbiano avuto il supporto di nutrizionisti esterni, possono provare a recuperare il tempo perso, lavorando sul posto. Provando l’acqua giapponese, monitorando l’idratazione, senza restringere a livello energetico… Ci sono tutti gli strumenti per farlo. Si sono trovati subito nel caldo, quindi è necessario modulare la temperatura fra l’esterno e l’aria condizionata delle varie strutture.
Come si fa?
Sembra strano, ma può essere molto utile ricorrere alla sauna per cercare di velocizzare l’acclimatazione. Mentre per rendere più sopportabile il caldo in bici, ci sono in commercio tanti prodotti, come dei gel al mentolo. L’ambiente giapponese si potrebbe quasi definire ostile.
Oltre che di caldo, si parla di umidità.
Esiste un indice che si chiama WBGT (Wet Bulb Globe Temperature, ndr) che si usa per determinare il rischio connesso con lo stress termico dei lavoratori, quindi anche degli atleti, nel caso di microclima troppo caldo e il Giappone è su livelli di guardia (proprio ricorrendo a questo indice, uno studio della rivista Micron aveva stabilito dopo Rio 2016 che Tokyo fosse troppo calda per garantire la sicurezza degli atleti, ndr). Il riflesso dell’umidità incide direttamente sulla potenza. La potenza di un’atleta, sia pure a parità di temperatura, passando da un ambiente mediamente umido a uno molto umido, può scendere anche del 15 per cento. L’umidità intacca lo scambio di calore e la conseguenza finale è l’abbassamento del massimo consumo di ossigeno.
Si comincia 2-3 settimane prima e poi?
Si continua nei giorni che portano alla gara. Nelle 24-48 ore prima è fondamentale lavorare bene su alimentazione e supplementazione. Non si usa niente di nuovo, pur uscendo parzialmente dai soliti schemi. Si deve bere di più, va curata la distribuzione d’acqua durante la giornata e agli atleti andrebbero date delle borracce saline anche durante il giorno per essere certi che non perdano elettroliti importanti. Abitudini che si dovrebbero considerare assodate, che spesso però vengono sottovalutate.
E in corsa?
Le esigenze in termini calorici e glucidici sono le stesse, ma si arriva a fornire lo stesso contributo in maniera diversa. Si passa al semi liquido, perché a causa del caldo e dell’umidità l’irrorazione dell’intestino è minore e di conseguenza la digestione diventa faticosa. Quindi si privilegiano gel e liquidi, con un superiore apporto di elettroliti.
Chi esce dal Tour è avvantaggiato o penalizzato?
Dipende dalla bravura del suo staff. Se il Tour stesso è stato gestito in modo accorto, senza problemi di disidratazioni o altro, può essere davvero un ottimo banco di prova.