Ma cosa vogliono sapere i giovani corridori? Parola a Rossato

04.01.2025
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Il mondo del ciclismo giovanile è in costante evoluzione, con ragazzi che passano rapidamente dalla categoria juniores al professionismo. Ma cosa chiedono davvero i giovani atleti quando si affacciano a una squadra professionistica? Quali sono le loro curiosità, le domande che pongono? Alla fine il rischio di trovarsi spaesati in un mondo che conoscono poco aumenta rispetto a qualche tempo fa quando si passava con le spalle leggermente più grosse.

Ne abbiamo parlato con Mirko Rossato, direttore sportivo della VF Group-Bardiani, un esperto che lavora a stretto contatto con i giovani. Parlando con lui sono emerse in particolare tre tematiche principali: la tattica di gara, gli allenamenti e l’alimentazione. Ma esplorando i dubbi più comuni e le sfide che i ragazzi affrontano in questo delicato passaggio di carriera spuntano anche altre sfumature.

Rossato a colloquio con i suoi atleti
Rossato a colloquio con i suoi atleti
Mirko, dunque, quali sono le domande, gli argomenti più frequenti dei giovani quando arrivano in squadra?

I ragazzi oggi arrivano già abbastanza preparati, soprattutto grazie alla categoria juniores dove già si parla di wattaggi, di alimentazione e di allenamenti. Tuttavia, il salto al professionismo o al dilettantismo di alto livello li porta nuove sfide e nuovi confronti. Spesso chiedono come si corre e come affrontare le gare.

Cosa chiedevano?

Nei primi anni, anche ragazzi bravi come Martinelli, Pellizzari o Pinarello avevano mille dubbi sulla distanza, sull’approccio alla corsa e su come affrontare le differenze rispetto alla categoria precedente, sullo stare in gruppo…

Regnano dei dubbi insomma…

Certo. Un’altra caratteristica comune che hanno oggi i giovani è il desiderio di avere tutto subito: non si fermerebbero mai per un giorno di recupero, temendo di perdere tempo. In questo, il mio ruolo è anche quello di tenerli calmi e far capire loro che la stagione è lunga.

La tattica in corsa è uno dei primi dubbi dei ragazzi che da juniores si ritrovano tra i grandi (photors.it)
La tattica in corsa è uno dei primi dubbi dei ragazzi che da juniores si ritrovano tra i grandi (photors.it)
Sei quasi uno psicologo: come gestisci le insicurezze dei giovani?

Serve dare loro sicurezza e certezza che quello che dici si concretizza. E dirlo con convinzione. Ho vent’anni di esperienza con i giovani e quando affermo: «Stai tranquillo, ci arriviamo», è perché so che possiamo raggiungere gli obiettivi prefissati. I ragazzi di oggi sono svegli e capiscono subito se c’è indecisione nelle risposte. Se percepiscono dubbi, si perde subito la loro fiducia. Bisogna essere chiari e decisi, trasmettendo sicurezza in ogni aspetto del loro percorso.

Hai detto che sono preparati, ma entrando nel dettaglio, cosa chiedono riguardo agli allenamenti?

Confrontano spesso i loro valori con quelli necessari per essere competitivi ai livelli più alti. Grazie agli strumenti moderni, possiamo capire fin da subito se un ragazzo ha le qualità per emergere e, con il lavoro giusto, raggiungere i valori necessari. Le domande più frequenti riguardano i watt per chilo, i watt alla soglia e i numeri dei campioni. Cosa mangiano.

Insomma vogliono sapere i numeri?

Sì, ma d’altra parte oggi si ragiona così. Chiedono ad esempio: «Quanti watt per chilo ha Pogacar? E Pedersen? E Merlier? E quanti ne avevano prima?». Tuttavia, io sottolineo sempre che i numeri sono importanti, ma senza fantasia, grinta e mordente in corsa non si va lontano.

E sull’alimentazione?

Sull’alimentazione chiedono moltissimo. Durante i ritiri, organizziamo riunioni con il nostro nutrizionista per rispondere alle loro domande e spiegare l’importanza di una corretta alimentazione. Gli diamo indicazioni su cosa mangiare prima e dopo gli allenamenti, in base al tipo di lavoro che svolgono. Questo progetto va avanti da due anni e continueremo a svilupparlo, perché una buona alimentazione e la consapevolezza di essa sono fondamentali per affrontare una stagione al meglio.

Gli incontri dei ragazzi con lo staff medico-sportivo stanno dando ottimi risultati in termini di formazione e informazione
Gli incontri dei ragazzi con lo staff medico-sportivo stanno dando ottimi risultati in termini di formazione e informazione
Cosa ti fa arrabbiare invece?

Quello che mi fa arrabbiare è quando mollano facilmente durante una gara. Quando sento dire: «Vabbè oggi era una giornata no» e si fermano. Essendo giovani, spesso si aspettano grandi cose, e al primo segnale di difficoltà decidono di fermarsi. Non accetto questo atteggiamento. Voglio che finiscano le gare, anche se arrivano in ritardo, perché ogni corsa conclusa contribuisce al loro miglioramento. Insistere è importante.

Perché?

Perché è un’attitudine e perché passi dal fare gare più lunghe e questo ti serve per aumentare la resistenza, prendere confidenza con il chilometraggio. Ho visto ragazzi come Pellizzari o Pinarello fare progressi enormi in soli sei mesi, passando dal prendere distacchi significativi a essere competitivi con i migliori della categoria. Sulla distanza so che ci possono arrivare.

I pro’ invece parlano spesso anche di materiali, fanno confronti. Anche per i tuoi giovani è argomento di discussione?

Per fortuna, no. Anche perché abbiamo bici De Rosa, ruote e gruppi che soddisfano pienamente le esigenze dei ragazzi. Non ci sono lamentele e sono soddisfatti del materiale fornito. Questo ci permette di concentrarci su aspetti più importanti, come la preparazione e la tattica.

In ammiraglia con Donati, tra palme, rettilinei e fughe da prendere

05.10.2024
7 min
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BINTULU (Malesia) – La giornata è iniziata con un acquazzone da film. Alessandro Donati, direttore sportivo della VF Group-Bardiani, era seduto nel cofano dell’ammiraglia mentre i suoi erano a prendersi un caffè in un bar poco distante. La stagione delle piogge è alle porte e il monsone non si è fatto attendere.

Siamo nel nord del Borneo, una delle isole più umide del pianeta. Per dire: ieri notte, arrivati in hotel, quando si aprivano le porte della hall con la differenza fra l’aria condizionata (super fredda e secca) e quella dell’esterno (calda e umida) si creava la nebbia.

Pioggia e fatica

Qui al Tour de Langkawi inizia a serpeggiare un po’ di stanchezza. Si è a fine stagione e pur sempre alla settima tappa. Ma soprattutto ci sono i postumi della frazione di ieri. Una frazione partita all’alba e di fatto finita… all’alba del giorno dopo.

«Ci siamo svegliati alle cinque, abbiamo fatto due ore di corsa ma nonostante tutto siamo arrivati in hotel alle 20», ha detto Tarozzi, l’unico che non era andato a prendersi il caffè coi compagni.

In effetti ieri è stata una bella sgroppata per l’intera carovana. Gli aerei che dovevano portarci in Borneo hanno fatto ritardo.

«Le bici – spiega Donati – sono arrivate alle quattro di mattina. E’ stata davvero dura. E infatti la stanchezza si fa sentire. Però è anche il bello di queste trasferte. Sono cose che succedono e tutto sommato mi piacciono. Si ha la possibilità di vedere luoghi di cui si sente parlare ma che altrimenti non avremmo mai visto». 

E proprio mentre dice queste parole la tappa fila via tra infinite piantagioni di olio di palma. Il famigerato olio di palma che chissà da dove viene e come è fatto.

L’Indonesia e la Malesia sono i primi produttori al mondo. Proprio il Borneo è uno dei centri di questa produzione. Tutto questo per dire che anche una tappa di ciclismo può portarti in luoghi impensati e farti vedere cose concrete ma da noi distanti, come sosteneva Donati.

Tappa lunga, così come lunghi erano i suoi rettilinei
Tappa lunga, così come lunghi erano i suoi rettilinei

Obiettivo fuga

La corsa va. Nonostante la pioggia è guerra vera: primi 25 chilometri filati via ad oltre 53 di media. Donati alla radio continua a ripetere ai suoi ragazzi di stare davanti e che l’obiettivo assoluto è entrare nella fuga.

«Valutiamo sempre chi c’è. Ma se si muove qualcuno delle squadre importanti chiudiamo». Dopo qualche chilometro, il tecnico abruzzese nota che la EF Education – Easypost è molto attiva e allora ripete di tenere d’occhio le maglie rosa. I suoi eseguono alla perfezione. 

La prima fuga che va via però è composta da cinque corridori che non spaventano. «Ora ci mettiamo comodi – dice Donati – la fuga è andata». La velocità cala drasticamente e il gruppo si allarga.

Comodi ma non troppo

Però prima di metterci comodi dietro al gruppo scatta il finimondo. Corridori ai lati che fanno pipì, chi viene a prendere le borracce, chi chiama la propria ammiraglia e questa sfreccia sfiorando le altre. Sono dieci minuti di caos assurdo.

«E’ aperto il bar?», chiede Luca Paletti per sapere se la giuria ha dato il via ai rifornimenti. Donati gli dice di sì. Luca si ferma. Fa i suoi bisogni e risalendo fa scorta di borracce, gel e barrette. Ognuno aveva detto nel frattempo al diesse cosa voleva.

La corsa quindi si addormenta. Da Miri a Bintulu sono 199,3 chilometri, che poi alla fine saranno 203, più i 7 di trasferimento.

E il percorso di certo non aiuta: in pratica è un rettilineo eterno che fa continuamente su e giù in modo dolcissimo. Nessun bivio, nessuna deviazione. Palme a destra e palme a sinistra. La prima svolta avviene dopo 128 chilometri!

Coppolino, il meccanico, alle prese con la catena di Pinazzi
Coppolino, il meccanico, alle prese con la catena di Pinazzi

I chilometri passano

E allora si parla di questo e di quel corridore. Si parla delle pressioni delle gomme che qui in Malesia dove piove sempre il meccanico non gonfia oltre le 4,5 atmosfere e della soddisfazione di queste gomme Vittoria che si sono forate molto poco nell’arco della stagione. Si tirano i bilanci di squadra, tra qualcuno che ha fatto peggio del previsto e qualcuno che invece ha fatto meglio. E si racconta delle imprese di Pogacar, del metodo Visma-Laese a Bike. Del dispiacere di vedere andare via Giulio Pellizzari dopo tre anni in cui è cresciuto in casa.

Abbiamo persino il tempo di mangiare del riso… finalmente con dell’olio d’oliva. La cosa quasi ci commuove! Ogni tanto qualche corridore torna in ammiraglia per prendere una borraccia o un gel. Anche Tarozzi torna indietro. Deve lavare gli occhiali. Il vincitore di ieri non è stato fortunato con questi. Prima del via ne aveva rotti un paio. Pinazzi invece si fa oliare la catena.

Anche noi ci facciamo dare due borracce usate. Non resistiamo al desiderio di lanciarle ai bambini a bordo strada e premiare il loro sorriso e il loro saluti. 

Per Malucelli bis (meritato) in questo Langkawi. Il dito al cielo? Per ricordare la mamma, venuta a mancare 8 anni fa
Per Malucelli bis (meritato) in questo Langkawi. Il dito al cielo? Per ricordare la mamma, venuta a mancare 8 anni fa

Verso lo sprint

Ma quei cinque della fuga non vanno troppo lontano. A circa 60 chilometri dall’arrivo la Dsm-Firmenich e l’Astana-Qazaqstan chiudono. Donati si riattacca alla radio. «Ragazzi la corsa si è ripartita. Cerchiamo di stare davanti. Se c’è qualche fuga entriamoci. E mi raccomando agli EF: vogliono la fuga a tutti i costi».

Ripartono gli scatti. Ma alla fine non succede nulla. Il traguardo volante a soli 16 chilometri dall’arrivo è particolare: molto vicino al traguardo. Non tutti i velocisti decidono di farlo. Syritsa invece ci si butta a capofitto e lo vince. Questa è forse la mossa che gli ha tagliato le gambe per lo sprint finale, dove si è riseduto negli ultimi 30 metri.

«Ragazzi attenti ad un eventuale contropiede dopo il traguardo volante. Di nuovo stiamo davanti».

Tappa finita, una foto con Donati e Coppolino per chiudere la giornata in ammiraglia
Tappa finita, una foto con Donati e Coppolino per chiudere la giornata in ammiraglia

Tutti per Pinazzi

Ma la velocità è altissima e a questo punto della tappa non scappa via nessuno. Tanto più che la strada è sì ondulata, ma tende a scendere.

«Siamo dentro ai 10 chilometri – di nuovo Donati con la radio in mano – stiamo vicini a Pinazzi. Pina, mi raccomando: cerchiamo di fare qualcosa di più. Sin qui sei stato bravissimo. Sei un leone».

In queste ammiraglie non c’è la tv come in quelle ufficiali e pertanto si cerca di sbirciare la corsa dagli smartphone, ma questi vengono accesi solo nel finale. In questo modo il direttore sportivo riesce a dare indicazioni ai suoi ragazzi sulla posizione.

«Ragazzi, ve lo ripeto: state vicini a Mattia. Aiutate Pinazzi. Non state ai quattro angoli». Un’ultima indicazione sulla curva finale poi i giochi sono fatti. Ci vediamo la volata dallo smartphone mentre il personale di corsa ci fa deviare dal rettilineo d’arrivo.

Alla fine oltre al nuovo (e netto) successo di Matteo Malucelli, la classifica in casa VF Group-Bardiani dice settimo Pinazzi, ottavo Gabburo. Entrambi hanno fatto lo sprint e questo non va bene.

Donati non è felicissimo di questa cosa e forse qualcuno stasera si beccherà una tirata d’orecchie. Ma questo è il ciclismo e questa è la strada. Ed è stato bello condividerla da dentro la corsa.

Il ritorno al successo di Gabburo, dopo aver visto il baratro

21.09.2024
5 min
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Una vittoria attesa tre anni. Una vittoria con tanti significati, che travalicano il valore specifico della corsa, la tappa finale del Tour of Istanbul. Che pure ha presentato un parterre di buon livello con un team WorldTour (l’Astana) e 5 Professional. Una vittoria che restituisce il sorriso e un pizzico di ottimismo a Davide Gabburo, il corridore della VF Group Bardiani CSF Faizané che riassapora un gusto quasi dimenticato.

E’ curioso il fatto che la vittoria arrivi dopo tre anni sempre in Turchia. Allora ad Alanya, questa volta a Istanbul, in una corsa nuova, forse era destino, la voglia di ricominciare, di ripartire. «Ho aspettato tanto – racconta il trentunenne corridore di Bovolone – ci voleva proprio dopo tanto tempo. Mi fa ritrovare la voglia di mettermi ciclisticamente in discussione, di provarci, di non correre solamente in aiuto ai compagni».

Il podio della quarta tappa con Gabburo al centro. La corsa è stata vinta dal francese Burgaudeau
Il podio della quarta tappa con Gabburo al centro. La corsa è stata vinta dal francese Burgaudeau

La grave crisi di marzo

C’è molto in questi tre anni, tanto che bisogna fare un distinguo, fra il prima del 2024 e gli eventi di quest’anno: «Dopo la vittoria di Alanya non ero scomparso nel nulla. Basti pensare alla piazza d’onore nella tappa di Napoli al Giro del 2022, ma anche a tanti altri piazzamenti, anche fuori dai confini italiani. In quell’edizione della corsa rosa ero lì, a lottare con i migliori e davvero mancò solo un soffio per alzare le braccia al cielo».

Quest’anno però le cose sono state ben diverse: «A marzo sono stato ricoverato in ospedale per una crisi epilettica. Dopo tempo e accertamenti, dopo che la mia attività sportiva era stata bloccata, è stato acclarato che si era trattato di un episodio sincopale, probabilmente dettato da una situazione di stress. Il tutto a un mese dal Giro d’Italia che per me è tutto: non esserci potuto andare mi ha fatto crollare il mondo addosso».

Il veronese a guidare il gruppo uscendo dal ponte euroasiatico. Gabburo non si è mai risparmiato in corsa
Il veronese a guidare il gruppo uscendo dal ponte euroasiatico. Gabburo non si è mai risparmiato in corsa

Una seconda chance

Davide non lo nasconde. In quei giorni ha avuto forte la sensazione, ma si può dire anche la paura che la sua carriera di ciclista fosse finita. «Ci sono stati momenti nei quali ero preso dallo sconforto, pensavo che non avrei più potuto riprendere. So solo io quanto mi sono dovuto “sbattere” per visite mediche, per esami. Per trovare soprattutto gli appuntamenti in tempi brevi perché volevo assolutamente tornare alle corse. Per me rientrare in carovana è stato qualcosa di indefinibile, posso dire veramente che mi è stata regalata dalla vita una seconda chance e per questo mi sono gettato nell’attività con ancora più ardore, perché so bene che cosa significa non poter correre più ed è una sensazione che non voglio più vivere».

La ripresa è stata lenta, costante, impegnandosi come ha sempre fatto in favore dei compagni: «Non ho mai fatto mancare il mio appoggio, intanto però sentivo che la condizione piano piano cresceva. Poi è arrivata la prova in Turchia e già nella seconda tappa avevo capito che potevo giocarmi le mie carte, avendo colto il 4° posto in una tappa nervosa, con tanti strappi. All’ultima tappa, sotto la pioggia scrosciante, ho finalmente chiuso il cerchio».

La seconda tappa chiusa al 4° posto aveva dimostrato che il veneto era in condizione, anche in salita
La seconda tappa chiusa al 4° posto aveva dimostrato che il veneto era in condizione, anche in salita

La Turchia porta bene…

La volata ha avuto anche qualche attimo palpitante: il più temuto era il belga Timothy Dupont (Tarteletto Isorex) che però ai 400 metri ha perso il controllo della bici lasciando strada libera agli avversari: «Noi avevamo il treno pronto per Enrico Zanoncello – spiega Gabburo – ma io avevo mano libera per provarci ugualmente come alternativa e ai 300 metri sono scattato senza trovare resistenza. Finendo addirittura per staccare gli avversari (foto di apertura, ndr)».

Il Tour of Istanbul era una gara nuova nel calendario, dove la Turchia comincia a essere una destinazione abbastanza frequente per i professionisti e Gabburo ha buona esperienza nelle loro gare: «E’ un po’ diversa dalle altre. A me le corse turche piacciono molto, ma quella mostrava tutti i segnali dell’inesperienza, della confusione organizzativa. Un peccato perché i percorsi erano davvero molto belli e vari, neanche troppo facili. La prova finale ha attraversato tutti i punti principali della città, compreso il ponte euroasiatico».

Per Gabburo ora si profila la trasferta in Malaysia, per provare a ripetersi
Per Gabburo ora si profila la trasferta in Malaysia, per provare a ripetersi

Si parte per la Malesia

E ora? «Ora si continua, mercoledì si parte per il Tour de Langkawi che con le sue 8 tappe ha tante occasioni per me ma anche per gli altri, ad esempio la terza tappa con arrivo in salita è stata segnata in rosso dai responsabili della squadra. Io lavorerò per i compagni, ma so che il tracciato malese qualche occasione di volata utile anche per me la offre e vedrò di farmi trovare pronto».

Resistenza e intensità diverse: il piano di Giorgi per Fiorelli

08.01.2024
5 min
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«Ho trovato un ragazzo generoso, disponibile e soprattutto un grande lavoratore», parole di Andrea Giorgi su Filippo Fiorelli, suo nuovo allievo. Da quest’anno coach e dottore, Giorgi infatti segue la preparazione dell’atleta siciliano in prima persona. 

E’ stato Fiorelli stesso nel ritiro della VF Group–Bardiani a dirci di aver cambiato strada e di essersi affidato al preparatore interno. 

Fiorelli è un talento in seno a questo team e anche uno dei corridori italiani con più potenziale. Questa potrebbe essere la sua occasione.

Andrea Giorgi, medico della VF Group-Bardiani, si è unito al gruppo dei Reverberi dalla scorsa stagione
Andrea Giorgi, medico della VF Group-Bardiani, si è unito al gruppo dei Reverberi dalla scorsa stagione

“Made in Bardiani”

«Il team – spiega Giorgi – voleva che da quest’anno si centralizzasse il più possibile il controllo degli atleti, anche per questo sono aumentati quelli seguiti internamente da me e Borja Martinez, altro coach dello staff medico, ed è stato preso anche il nutrizionista (Luca Porfido, ndr). C’è stata questa possibilità di cambiare e Filippo era propenso a fare un altro passo. Così dopo un anno di lavoro in cui comunque lo supervisionavo (era allenato da Alberati, ndr) abbiamo deciso di provarci».

Giorgi spiega che con Fiorelli si lavora bene, primo perché come detto è uno stakanovista e poi non si tira mai indietro di fronte alle novità. Tra i due c’è sempre un punto d’incontro. Se Filippo è troppo stanco, magari si aggiusta il tiro in corsa.

«Ci sentiamo quotidianamente – spiega Giorgi – Filippo vuole fare le cose per bene e per ogni cosa mi chiede consiglio. C’è un confronto costante. Siamo entrambi chiari. Se piove, se è stanco, se il rullo non funziona… come si aggiusta il tiro? Per esempio all’inizio ha avuto dei problemi con la nuova metodologia in palestra. “Con questi carichi mi serve la sedia a rotelle, altro che la bici”, mi diceva. Però si è adattato presto».

Filippo Fiorelli (classe 1994) da quest’anno è seguito dal dottore e preparatore Giorgi (foto Gabriele Reverberi)
Filippo Fiorelli (classe 1994) da quest’anno è seguito dal dottore e preparatore Giorgi (foto Gabriele Reverberi)

Obiettivo resistenza

Giorgi e Fiorelli stanno lavorando soprattutto su una direttiva: la resistenza. Arrivare meglio ai piedi delle salite, significa poterle affrontare meglio. E di conseguenza sfruttare lo spunto veloce di Filippo. 

«Non so perché, ma nelle professional la parte aerobica è meno curata rispetto che nelle WorldTour – dice Giorgi – poi magari ci sta che i più forti finiscono nelle WorldTour anche per doti fisiche naturali, ma è un dato di fatto, lo dicono i numeri, che nel WorldTour curano di più la componente aerobica.

«Nel caso di Filippo quindi ho insistito subito sulla resistenza soprattutto, ma anche sull’ipertrofia del muscolo. Ed ho inserito delle intensità più elevate. Questo anche perché volevo che arrivasse più pronto al primo ritiro. E così è stato. Anche col peso, il suo tallone d’Achille, era a posto. Alle misurazioni del caso e alla plicometria a ultrasuoni era perfetto. Tanto è vero che gli ho fatto i complimenti. Ed era è solo un mese e mezzo che lavoravamo insieme».

Anche i test fisici danno ragione al duo Giorgi-Fiorelli. La capacità aerobica del siciliano è migliorata.

«Certe intensità che lo scorso anno erano un problema adesso sono quasi il suo recupero – spiega il preparatore – io ricordo Masnada quando era all’Androni. In quei tre anni la sua capacità aerobica è andata sempre migliorando e infatti adesso guardate dove è.

«A 5 watt/chilo nel WorldTour ormai passeggiano, mentre i nostri fanno fatica. Dovevamo arrivare a questo standard perciò e ci stiamo avvicinando. Migliorando la capacità aerobica si è più freschi e quindi più resistenti quando la corsa entra nel vivo». Aspetto quest’ultimo, ancora più importante per le caratteristiche di un corridore come Fiorelli che deve sfruttare il suo spunto veloce nel finale.

Il siciliano non ha paura di buttarsi in volata, né teme i mostri sacri dello sprint come accadde lo scorso anno a Salerno
Il siciliano non teme i mostri sacri dello sprint come accadde lo scorso anno a Salerno

Corse mosse

Per Giorgi, Fiorelli non è un velocista puro. Secondo il toscano, Filippo fa le volate perché sa stare in gruppo, ha grinta e forza. Ma una volata di gruppo farebbe fatica a vincerla.

«Però – continua Giorgi – se resiste sullo strappo le sue possibilità aumentano notevolmente. Di Philipsen e Milan ce ne sono pochi, loro hanno anche un treno e wattaggi mostruosi. Filippo può vincere altre corse: quelle con i gruppetti ristretti o gli sprint dove si arriva dopo uno scollinamento».

«La sua corsa? Una tappa mossa, come del resto ha già fatto vedere, una Per Sempre Alfredo, una Coppa Sabatini o una Veneto Classic. E questa benedetta tappa al Giro d’Italia. In fin dei conti non ci è andato lontano neanche lo scorso, come a Salerno per esempio. Non dico la Sanremo solo perché la Classicissima è molto lunga e Filippo sta lavorando adesso sulla resistenza, ma in futuro…».

La VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm (foto Gabriele Reverberi)
La VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm (foto Gabriele Reverberi)

Evoluzione sì, rivoluzione no

Da qualche giorno la VF Group-Bardiani è tornata a Benidorm. Nel corso di gennaio Giorgi insisterà parecchio anche sull’intensità, caratteristica che comunque serve con l’avvicinarsi delle gare. E contestualmente sarà ridotta la palestra. Anche questo è stato un bel cambiamento per Filippo. Prima faceva la parte a secco con meno carico e non usciva in bici. Adesso invece quando fa la palestra i carichi sono ben più pesanti e al pomeriggio salta in sella.

«Io credo – conclude Giorgi – che il suo monte ore settimanale sia aumentato non di molto: il 10-15 per cento al massimo. Quel che più è cambiato è come sono distribuite le intensità nell’arco dell’allenamento. Non c’è mai un’uscita tutta uguale. Filippo sa che nella prima ora deve fare questo lavoro. Nella seconda questo e così via. Anche i recuperi sono variati parecchio: non sono mai troppo blandi.

«Ricordiamo poi che parliamo di un ragazzo di quasi 30 anni e non si poteva stravolgergli la vita, ma i suoi valori sono cresciuti un bel po’ e in Z2 siamo ben al di sopra dei 300 watt».