La storia Ullrich, qualche ipocrisia e una lezione da imparare

08.12.2023
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A volte si confessa per pulirsi la coscienza, altre per un tornaconto. Nel caso di Ullrich la convenienza ha la forma di un documentario su Amazon Video, dal titolo tedesco “Der Gejagte”, che significa “La Preda”. Raramente si confessa quando si ha qualcosa da perdere. Non per caso, libri e serie televisive, sono stati realizzati dopo scandali e a fine carriera. Mai durante, come dovrebbe fare chiunque avesse a cuore l’ambiente in cui vive. Nonostante ciò, vedere che finalmente Jan è uscito dal periodo più buio della sua vita riempie di gioia, perché di quel periodo sciagurato gli unici a pagare sono stati i corridori. Altri figuri, sia pure defilati, sono ancora in giro e non hanno pagato che spiccioli.

«Ullrich e io – chi parla è Lance Armstrong – eravamo icone nei nostri Paesi. Io perché avevo superato il cancro e ho ispirato molte persone. Jan perché è stato il primo tedesco a vincere il Tour. Sembra immodesto, ma eravamo i più grandi ciclisti al mondo e facevamo parte di quella generazione di merda. Mentre gli altri ciclisti dopati hanno potuto continuare a lavorare, Jan, io e Marco Pantani siamo stati trattati come se fossero stati infettati. Questo è il prezzo che paghi quando sei il migliore in uno sport, sei un simbolo. Mi ci sono voluti 10 anni di lotta per uscire da questo buco. E’ stato difficile. Ed è per questo che non ho lasciato Jan solo quando ho sentito che stava male».

Per 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz Ardiden
Per 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz Ardiden

Un calderone di comodo

Ullrich alla fine ha rilasciato l’intervista che ci si aspettava da anni e ha ammesso di essersi dopato anche per vincere il Tour del 1997, che ha ribadito di sentire ugualmente suo. Mentre in quel mischione di ammissioni e confessioni, l’americano che non fu mai gentile con il romagnolo e probabilmente ne apprezzò le esclusioni dal Tour, ha ritenuto ugualmente di tirarlo dentro, sebbene non sia mai stato trovato positivo e soprattutto essendo impossibilitato a rispondere.

Avendo condiviso con lui tanti giorni, ne ricordiamo bene lo stupore quando raccontava di come Ullrich, 73 chili, rispondesse alle sue accelerazioni (Pantani pesava 58 chili) sull’Alpe d’Huez. Riepilogando dunque, il tedesco è stato male, Armstrong ha impiegato 10 anni per uscire dal buco, Marco è stato fregato e poi ammazzato. E a febbraio saranno 20 anni dalla sua morte.

Confessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vita
Confessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vita

La preda arresa

«Ero molto depresso – racconta Ullrich nell’intervista al tedesco Hajo Seppelt – come atleta ho sofferto molto, ma dopo la carriera, la mia vita ha preso una svolta nella direzione sbagliata. Nel 2018 ho vissuto il momento peggiore, esponendomi a tutto ciò che una persona può sopportare fisicamente e mentalmente. Il passo successivo, dal punto di vista pratico, sarebbe stato la morte».

Hajo Seppelt è un noto cacciatore di doping in Germania. Seppelt affrontò Ullrich durante la sua carriera, ma Jan evitò tutte le domande che potessero costringerlo a rivelare il segreto. Invece, dopo aver parlato per la prima volta del suo passato di doping in un’intervista con il magazine tedesco Stern, Ullrich è tornato a sedersi proprio davanti a chi lo ha inseguito lungo tutta la carriera. E ha vuotato il sacco.

Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)
Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)

Una serie Amazon

«Sono sopravvissuto a malapena a quella crisi estrema della vita – racconta – e ad un incidente. Dopo due anni in cui mi sono rafforzato fisicamente e mentalmente, sono giunto alla decisione che avevo davvero bisogno di rimettere in carreggiata la mia vita. In realtà ho perso molti anni a causa di errori e debolezze personali. Come è possibile che si sia arrivati a questo? E’ stato un processo durato diversi anni. Tutto è iniziato quando non mi è stato permesso di partire al Tour de France nel 2006 (a causa del presunto coinvolgimento nell’Operacion Puerto, ndr)».

Armstrong si era ritirato dopo sette maglie gialle consecutive, il titolo era vacante e se lo sarebbero conteso Ullrich e Basso, gli uomini degli ultimi podi, ma entrambi si fermarono sullo stesso ostacolo. La maledizione di quel Tour si abbatté anche sul suo vincitore: quel Floyd Landis che venne trovato positivo e venne cancellato dall’ordine di arrivo, con vittoria finale di Oscar Pereiro Sio.

E’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominio
E’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominio

Solo contro tutti

«Da candidato vincitore al Tour – racconta Ullrich nell’intervista – sono caduto e all’improvviso mi sono ritrovato solo, mentre tutta la Germania mi sparava addosso. Dall’essere il miglior cavallo della scuderia sono diventato un “cavallo da fattoria”, il che è stato molto difficile. Ho perso molti anni e adesso ne sono triste. I miei problemi sono sorti a causa di errori personali, a causa della mia debolezza. Ero in alto, sono caduto in basso in basso, ora per me l’obiettivo è il centro. Anche le piccole cose possono renderti felice».

Ullrich si ritirò nel 2007. A causa dell’Operacion Puero, il Tas di Losanna gli impose una sospensione, annullando i suoi risultati del 2005. Solo nel 2013, il tedesco ammise l’uso di sostanze dopanti.

In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)
In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)

Perché parlarne

E’ difficile scegliere di parlarne, lo facciamo per l’amore verso i corridori che assaporarono la gloria e si presero la croce sulle spalle. La presenza di Tonina Pantani alla presentazione del documentario è quella di una mamma che ha sentito di voler abbracciare come un figlio il rivale di Marco.

Si diceva che è difficile parlarne ancora. Da una parte si vorrebbe dimenticare tutto, dall’altra si fa fatica a non essere d’accordo con chi dice che, pur in un ambiente viziato dalla chimica, fossero i più forti al mondo

La vera utilità nel ricordare certe storie sta nella voglia di non cadere ancora negli stessi errori. Nella consapevolezza che non bisogna mai abbassare la guardia e che è bene dedicare a ogni impresa enorme il rispetto e il giusto stupore, vigilando sommessamente che tutto si sia svolto nelle regole. Nessun antidoping in quegli anni fu in grado di fermarli: ci riuscirono soltanto le inchieste di Polizia.

Se stavo zitta anche io, mio figlio era morto e basta

13.01.2021
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Le luci accese nella casa di Marco sono un colpo, pur sapendo che da tempo in quella metà abita la nipote Serena, che dello zio ha l’indole indomita e lo sguardo profondo. Semmai la cosa è difficile farla digerire a papà Ferdinando detto Paolo, come si scriveva ai tempi. Dopo una vita a entrare per controllare che tutto fosse a posto, continua a farlo anche ora provocando qualche sussulto nei nuovi occupanti.

Tonina arriva dal piano di sotto, dove c’è più caldo e dove trascorrono la maggior parte del tempo. Ci si saluta come prima del Covid e poi è curiosa di sapere perché bici.PRO e annuisce condividendo e facendo gli scongiuri. Parliamo di lavoro e famiglia, dei cani che abbaiano in continuazione, di Paolo che litiga con Serena per questa sua abitudine a entrare, di Manola che fa le piadine e del vecchio chiosco che resta un luogo del cuore, anche se capita più spesso di vederlo chiuso che in attività. Poi, mentre Paolo fa avanti e indietro, il discorso va su Marco, che domani (oggi per chi legge) avrebbe compiuto 51 anni.

Quanti ne hai tu? Quest’anno sono 52, capo.

Eravate davvero vicini, ricordo. Già, un anno e 18 giorni, per essere precisi.

Su tutte le strade, i tifosi continuano ad aspettarlo e salutarlo
Su tutte le strade, i tifosi continuano ad aspettarlo e salutarlo

Nel vortice

Parla. Si accende. Ragiona in un dedalo intricato di teorie. Racconta di essere in mezzo a mille carte da studiare. Racconta delle Iene. Dell’antimafia. Degli avvocati e dei loro vezzi. Della Ronchi. Dei soldi spariti… La osservi e provi un tuffo al cuore. Le hanno ammazzato il figlio, non smetterà mai di lottare.

Tonina, ti capita mai di vedere Marco?

Lo sento vicino a me. L’altra sera ero sul divano, con il cane che guardava dietro di me e abbaiava. Gli ho chiesto se ci fosse Marco, tanto guardava fisso alle mie spalle dove c’era solo un mobile. E mi sono girata…

Paolo alza gli occhi al cielo, ma si vede che il racconto non lo lascia indifferente.

«Paolo cambia sempre discorso – dice quando lui esce dalla stanza – ma lo vedo che soffre come un cane. Io ho allentato con le visite al cimitero. Prima andavo tutti i giorni, ora una volta alla settimana. Lui continua ad andare due volte al giorno».

Per chi continui a lottare, per te o per Marco?

E’ per Marco. Gli ho fatto una promessa, perché non ci era riuscito lui a dimostrare la verità. Vado avanti, scopro sempre un pezzetto di più. E penso che la gente abbia capito. Se stavo zitta anche io, Marco era morto e basta. Nessuno avrebbe aggiunto altro a Campiglio, invece un po’ di verità e di giustizia è venuta fuori. Ho visto tanto amore, basta andare su Facebook. Incontro tante persone che lo hanno conosciuto e mi regalano un pezzetto della loro vita. Mi scoccia quando lo giudicano per sentito dire e senza averlo conosciuto. Perché tutti quei titoli dopo Campiglio e quando è morto, senza neanche aspettare le indagini?

Questo quadro è appeso nella cucina di casa
Questo quadro è appeso nella cucina di casa: «Non smettere mai di far giocare il bambino che vive in te»

Tutto per i soldi

Deve aver fatto i capelli da poco, il viso è stanco anche vista l’ora della sera, ma gli occhi lampeggiano. Ha la stessa voglia di arrivare di Marco e la rabbia che le deriva di essersi fidata via via di persone che l’hanno raggirata in nome dei soldi. Quanti soldi…

«Non ho mai capito per quale motivo a un certo punto dovettero aprire la società di San Marino – dice – se scavano là, ne trovano di roba. Devono seguire i soldi, perché alla fine è stato tutto uno schifoso fatto di soldi. La gente per i soldi fa cose incredibili. A me non importa niente, non ho mai un soldo e ogni volta li chiedo a Paolo. Ho chiesto a Cipollini se manderebbe le figlie a fare sport professionistico. E lui ha risposto: “Il problema è quando arrivano i soldi e ti si attaccano tutti dietro”. Quando Marco cominciò a guadagnare, mi guardò e mi disse: “Adesso sono diventato anche bello”».

Ti ricordi l’ultima volta che è venuto qui?

Era il 26 gennaio. Io ero di sotto e sentii aprire la porta. Lui entra e fa: «E’ permesso?». Io grido: «Chi e?». Risponde: «Non riconosci più nemmeno tuo figlio?». Vado sopra ed era chinato davanti a quel mobile là, cercando degli esami che aveva fatto a Milano, in cui si vedeva che stava benissimo. Non so a cosa gli servissero.

Credi che abbia avuto una vita felice?

Non lo so, non credo. Il ciclista lo faceva veramente con passione. L’ho sempre visto fare tanti sacrifici, non so dire quanto gli pesassero, ma in bici finché tutto è andato bene, tornava bambino. Però non l’ho visto felice quando si è fatto la casa, questa casa. Mi disse di vendere l’appartamento di via dei Mille e di venire tutti qua. Venimmo, ci siamo ancora, ma quell’appartamento l’ho tenuto – gli dissi – per i sacrifici che ci era costato. La sua vita è stata tutto un travagliare, un andare e venire. Forse un figlio avrebbe cambiato il finale…

Cesenatico ha dedicato al Pirata le due biglie davanti al Grand Hotel
Cesenatico ha dedicato al Pirata le due biglie davanti al Grand Hotel
Oggi Ilario Biondi, l’amico fotografo che ho intervistato proprio su Marco, mi chiedeva se a fine carriera secondo me Marco sarebbe rimasto nel ciclismo.

Non lo so. Quel sistema non gli piaceva, non sopportava che gli dicessero cosa fare. Per cui forse secondo me non sarebbe rimasto, anche se aiutare i giovani a trovare la loro strada gli piaceva molto. Qualche giorno fa Belli mi ha detto: «Tonina, da dilettanti ci siamo divertiti un mondo. Nei professionisti siamo diventati carne da macello».

Come è fatto il dolore per la morte di un figlio?

Non ti passa mai. Giorni fa è morto Michael Antonelli, quel ragazzino di San Marino che aveva corso con Savini. Ci sono andata quando l’hanno portato a Montecatone, all’ospedale di rieducazione. Si poteva entrare solo con la tuta addosso, ero là dentro e piangevo come una matta. «Fallo per la tua mamma – gli dicevo – fallo per il tuo papà». Gli parlavo di Marco, lo so come possono sentirsi i suoi genitori.

Il chiosco è chiuso…

Non ci vado più neanche a vedere come gli vanno le cose. Mi piaceva starci, anche d’inverno quando era un freddo cane. Arrivavi in certe mattine che le piastre non erano ancora calde e si moriva di freddo. Però era bello quando venivano e chiedevano di Marco. Lui la piadina non l’ha mai fatta, forse per qualche foto sui giornali. E’ nella mia testa, penso sempre a lui. Quando incontro qualcuno che me ne parla, me lo vedo al suo fianco che ride. E poi però penso alle ansie di quei mesi. Penso alla foto in cui tiene in braccio il figlio della Ronchi e che sei mesi dopo non c’era già più. Mengozzi a Saturnia mi disse: «Sgridalo, così viene via con me». In quel momento lo abbiamo perso. Ti ho detto cosa ho fatto l’estate scorsa?

Partendo da una foto, uno splendido ritratto di famiglia
Partendo da una foto, uno splendido ritratto di famiglia
Devo preoccuparmi?

Con la scusa di andare a salutare un amico marchigiano che era su con la compagna, siamo andati a Madonna di Campiglio. Ho prenotato all’hotel Touring, ma con il mio cognome. Ero in camera e cercavo di immaginare se fosse quella di Marco, in cui aveva rotto il vetro. Poi è venuto Stefano Bagnolini, che era su con me, e mi ha detto: «Hai capito dove siamo? Io sono alla 26, Marco era alla 27 e tu sei alla 28». Allora ho deciso di parlare con il proprietario.

Dicendo chi sei?

Sì. Lui ha detto che ricordava il casino del 5 giugno, ma anche che quando la sera prima Marco è arrivato dopo aver vinto, litigava con Gimondi e con Giannelli. Continuavano a dirgli che non doveva vincere. E’ questo il sistema che a Marco non piaceva. Continuava a dire: «Perché nessuno rompe le scatole a Cipollini che ha vinto quattro tappe e io devo sentire certe storie?».