Colnago C35, Enzo Ferrari

All’asta da Sotheby’s 4 capolavori firmati Colnago

04.12.2025
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Ancora una volta Colnago e la casa d’aste Sotheby’s tornano simbolicamente a incrociare le proprie strade. Quattro delle più importanti e rare biciclette che hanno fatto la storia del brand lombardo saranno messe all’asta in occasione della Collector’s Week organizzata da Sotheby’s ad Abu Dhabi. L’asta si svolgerà online e si chiuderà questo venerdì 5 dicembre alle 19:30 GST (Gulf Standard Time, le nostre 16:30 ndr).

Colnago Y1Rs, Tadej Pogacar, Tour de France
Ecco la Y1Rs con la quale Tadej Pogacar ha vinto il suo quarto Tour, il secondo Mondiale, l’Europeo e il quinto Lombardia
Colnago Y1Rs, Tadej Pogacar, Tour de France
Ecco la Y1Rs con la quale Tadej Pogacar ha vinto il suo quarto Tour, il secondo Mondiale, l’Europeo e il quinto Lombardia

La bici di Tadej al Tour

La prima delle quattro bici messa all’asta è la Y1Rs Nacked Black usata da Tadej Pogacar in occasione della 16° tappa del Tour de France di quest’anno. Con quella bici l’asso sloveno ha conquistato il suo quarto Tour, il bis Mondiale, l’Europeo e il quinto Lombardia.

Un pezzo unico e di enorme valore storico, la Colnago Y1Rs Stripped Black è a tutti gli effetti una bicicletta destinata a incontrare l’interesse dei collezionisti più esigenti e appassionati.

Colnago C68, Joao Almeida, presentazione Vuelta 2025
All’asta andrà anche la C68 utilizzata da Joao Almeida durante la presentazione della Vuelta 2025
Colnago C68, Joao Almeida, presentazione Vuelta 2025
All’asta andrà anche la C68 utilizzata da Joao Almeida durante la presentazione della Vuelta 2025

La C68 di Almeida

La seconda bici messa all’asta è la Colnago C68 Rossa No.1 utilizzata da Joao Almeida durante la presentazione ufficiale della Vuelta 2025, tenutasi a Torino nella suggestiva cornice di Piazzetta Reale.

Prodotta in una serie limitata e numerata di soli 80 esemplari, la C68 Rossa si distingue per la sua brillante livrea rossa, ottenuta attraverso un complesso processo di applicazione a foglia d’argento, una finitura che ha richiesto più di un anno di lavoro meticoloso. Interamente realizzata in Italia, esprime l’essenza dell’eccellenza artigianale di Colnago. La C68 Rossa No.1 rappresenta il capitolo conclusivo della straordinaria trilogia C68, un’opportunità rara per possedere il primo esemplare di un’edizione limitata storica.

Colnago Eddy Merckx
C’è spazio anche per un pezzo di storia nell’asta Sotheby’s con il telaio Colnago utilizzato da Merckx per il record dell’Ora nel 1972
Colnago Eddy Merckx
C’è spazio anche per un pezzo di storia nell’asta Sotheby’s con il telaio Colnago utilizzato da Merckx per il record dell’Ora nel 1972

Omaggio a Merckx

La terza bici del lotto è un telaio da pista Colnago restaurato, costruito secondo le esatte geometrie associate al Record dell’Ora realizzato nel 1972 da Eddy Merckx a Città del Messico, con misure 61×57 cm, coerenti con quelle delle biciclette preparate per il campione belga.

Il telaio presenta tubazioni Columbus SL perfettamente tonde e foderi posteriori rinforzati, una testimonianza dei principi ingegneristici dell’epoca: purezza, rigidità e velocità.

Colnago C35, Enzo Ferrari
Il quarto e ultimo modello all’asta è la C35 realizzata da Ernesto Colnago ed Enzo Ferrari nel 1989
Colnago C35, Enzo Ferrari
Il quarto e ultimo modello all’asta è la C35 realizzata da Ernesto Colnago ed Enzo Ferrari nel 1989

Un modello che ha fatto storia

L’ultimo modello messo all’asta è la Colnago C35, una bicicletta che racchiude la costante ricerca di innovazione e l’inconfondibile stile italiano. Ideata nel 1989 per celebrare il 35° anniversario dell’azienda, la C35 nacque dalla collaborazione tra due menti visionarie: Ernesto Colnago ed Enzo Ferrari.

Prodotta in Italia sotto la supervisione tecnica di Ferrari, la C35 fu uno dei primi telai da strada realizzati in composito di fibra di carbonio, un materiale che all’epoca apparteneva più all’ingegneria aerospaziale e automobilistica che al ciclismo. La sua introduzione segnò un momento fondamentale: un audace salto nel futuro in un periodo in cui il carbonio non era ancora lo standard.

Questo esemplare si distingue per il gruppo Campagnolo Super Record placcato oro e per le iconiche ruote Colnago a cinque razze in fibra di carbonio, dettagli che elevano la bicicletta da oggetto all’avanguardia a vero capolavoro da collezione.

Colnago

Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar

Pogacar, la provocazione di Rowe, l’analisi di Archetti

26.11.2025
6 min
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Pogacar non avrebbe vinto il Tour con una bici di 10 anni fa, parola di Luke Rowe. Nel 2015, come per tutta la sua carriera, il gallese correva nel Team Sky. Un metro e 85 per 72 chili, l’attuale direttore sportivo della Decathlon Ag2R incarnava il modello del perfetto gregario di Froome e quell’anno, per la prima volta, lo scortò alla vittoria. Lo avrebbe fatto anche del 2016 e nel 2017. Aiutò Thomas nel 2018, mentre si ritirò nel 2019 quando il Tour lo vinse Bernal, nel primo anno in cui la squadra divenne Team Ineos.

Intervenendo al podcast Watts Occurring, di cui era ospite assieme al suo ex capitano Geraint Thomas, il gallese è finito a parlare di Pogacar e delle sue vittorie. E ha pronunciato le parole che sono rimbalzate sui social e decine di altre piattaforme giornalistiche.

«Siamo arrivati al punto in cui le bici aerodinamiche – ha detto – sono così leggere da usarle anche nelle tappe di montagna. Ho visto alcuni numeri, dei dati in galleria del vento, che confrontati con quelli delle bici che usavamo prima, danno differenze enormi. Si ottengono costantemente miglioramenti aerodinamici. Se mettessimo qualcuno come “Pogi” su una bici di sei-otto anni fa, il divario sarebbe enorme. I progressi che le bici hanno fatto negli ultimi anni sono enormi».

Che cosa succedeva nel mondo delle bici dieci anni fa? E quali differenze ci sono fra quelle di allora e le attuali? Rowe ha ragione? Scontato che ci siano stati dei progressi, quali sono stati i più incisivi? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, capo meccanico della nazionale, attualmente alla Lidl-Trek, dopo una carriera davvero lunga. Lui nel 2015 era alla IAM Cycling, primo approdo dopo gli anni della Liquigas e prima di arrivare alla Lampre e da lì alla UAE Emirates che ne derivò. Archetti conosce bene Pogacar, avendo lavorato anche con lui.

Che cosa c’era di diverso dieci anni fa rispetto ad oggi?

L’unica cosa diversa che ci può essere sono le ruote e le gomme. Perché Shimano ha ancora i gruppi elettronici come allora. I telai in carbonio sono di altra concezione, ma comunque erano in carbonio. Se andiamo a vedere, la grande differenza sono le ruote e le gomme.

Quali fattori nello specifico fanno la differenza?

Secondo me, il fatto di avere il canale più largo, usando i tubeless con le misure di adesso, può fare la differenza. Ci vengono dati dei numeri secondo cui al momento le ruote sono più performanti. Rispetto a quelle di dieci anni fa, invece di esserci i tubolari ci sono i tubeless. Al posto delle ruote da 15, ci sono quelle da 60. Questo è stato lo sviluppo più grande. Altro discorso sono invece le geometrie dei telai…

Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Vale a dire?

Il posizionamento dei corridori ha spinto a rivedere le misure. Gli assetti in sella sono stati stravolti. Una volta su 10 corridori, avremmo avuto 2 reggisella a zero gradi, ora ne abbiamo 8 perché sono tutti spostati in avanti. E’ tutto al limite e anche il freno a disco concorre…

Che cosa c’entra il freno a disco?

Può fare la differenza, però se ne potrebbe parlare a lungo. Sono convinto che a causa dei freni a disco si arriva sempre più vicini al limite. Si stacca all’ultimo momento e con il peso tutto in avanti, non hai margine per recuperare un errore.

Rowe dice che i telai aerodinamici fanno la differenza.

Io vedo che quando vanno in galleria del vento, l’ultima delle voci su cui indagano è la bici. Potrebbe sembrare un controsenso, in realtà significa che la differenza la fa quello che c’è sopra alla bici. Che poi abbiano fatto tutti questi nuovi disegni performanti, sempre da quello che risulta sulla carta, è un fatto. Veloci lo sono davvero, ma secondo me Pogacar vincerebbe anche con la Graziella. E’ lui che fa la differenza, non la bicicletta.

Andando a memoria, al Team Sky erano molto gelosi del grasso e dei lubrificanti che usavano…

Anche adesso stanno tornando di moda le catene cerate. E se prima erano cose per pochi, oggi sono uno standard acquisito: le hanno tutti. Per carità, le bici sono importanti, ma la verità è che vanno più forte perché tutti hanno il preparatore e il nutrizionista e perché sanno come gestirsi leggendo i watt. Si è alzato il livello di tutto il gruppo e le medie sono cresciute. Mi viene da ridere quando si enfatizza questo dato.

Perché?

Una volta partivano a 50 all’ora per 40 chilometri. Poi ne facevano 150 a 32 di media, infine gli ultimi 50 chilometri li volavano a 55 all’ora. Certo che oggi le medie sono più alte, perché tutti vanno più forte e tutti sono più preparati. In più partono forte e non mollano mail. E poi ci sono le biciclette. Sicuramente a livello meccanico qualcosa è migliorato, ma secondo me non è la bici che li fa volare. Anzi, secondo me le bici sono quelle che a volte li fanno cadere.

A livello di sensazioni quali sono le differenze del corridore nuovo quando riceve la bici per l’anno successivo?

La prima cosa che notano sono le ruote. Poi si parla del feeling con le gomme, che è una questione di abitudine. Perché se uno arriva da Continental e deve passare a Pirelli, ha bisogno di tempo per abituarsi. Quanto alla posizione in sella invece non ci sono grandi differenze.

Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Abbiamo parlato di ruote, i corridori sono concordi nel parlare soprattutto del perno passante.

Certo, perché la ruota è più rigida e puoi guidare diversamente. Puoi avere un controllo superiore sulla bici, ma comunque c’è sempre da spingere, a meno che non la porti a spasso. Di diverso ci sono anche i cablaggi, ora le bici funzionano meglio, però la grande differenza la fa il corridore là sopra. Se si sposta di 3 centimetri rispetto a come erano messi prima, i valori cambiano dal giorno alla notte.

Quindi la bici conta, ma non è così decisiva?

A livello di numeri ci sono bici migliori di altre, non discuto. Ma se metti Ciccone o Formolo sulla bici da crono di Pogacar, siamo certi che avrebbero dei miglioramenti così grandi?

Rowe ha ragione? Difficile dirlo, forse sì o forse no. Il margine di Pogacar sui suoi rivali è talmente ampio che i secondi persi quotidianamente per una bici meno scorrevole non basterebbero per annullarlo. Su tutti, ma non su Vingegaard. Forse con una bici di 10 anni fa, unitamente a una maglia e un casco meno aerodinamici del body e del MET attuali, il suo vantaggio sul danese non sarebbe più molto rassicurante. Sarebbe una corsa a handicap, del tutto anacronistica e improponibile. Si fa per parlare e far parlare, è chiaro. Ma qual è il senso di un confronto del genere?

Sivakov e l’overthinking. Un problema diffusissimo

Sivakov e l’overthinking. Un problema diffusissimo

25.11.2025
5 min
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In un’intervista su Cyclingnews a fine stagione, Pavel Sivakov ha confessato come la sua esperienza sia cambiata con il passaggio alla UAE e la coesistenza con Pogacar: «La mia crescita si è frenata per cause mentali più che fisiche. Mi sono messo troppa pressione, cercando di fare troppo per quello che potevo. Nel confronto con Tadej mi accorgo che ha la capacità di rimanere calmo e non stressarsi. Io mi stressavo anche per piccoli dettagli e questo mi rallentava. Anche Paul Seixas è così, non va in overthinking, prende la pressione come parte del gioco. Tutto dipende dal fatto se correre ti piace davvero».

L'overthinking è l'affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L’overthinking è l’affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L'overthinking è l'affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)
L’overthinking è l’affastellarsi di pensieri negativi nella propria mente (foto Getty Images)

Pensare in modo eccessivo e ripetitivo

Il tema dell’overthinking, che coinvolge anche altre discipline sportive, anche quelle che hanno uno sviluppo temporale molto più breve di una corsa ciclistica, è sempre più centrale nel mondo professionistico. Partiamo da che cos’è attraverso l’esperienza della dottoressa Paola Pagani, mental coach che lavora con tanti ciclisti anche di alto livello.

«Partiamo da che cos’è l’overthinking. Dobbiamo considerarla come la tendenza a pensare in modo eccessivo, ripetitivo, a situazioni, problemi, decisioni e spesso porta a focalizzarsi soprattutto su quello che può andare storto, su possibili errori, sulle conseguenze negative. Per un ciclista professionista potrebbe manifestarsi come un continuo ripensare alle strategie di gara, con gli errori connessi a quei timori che possono essere legati alla prestazione».

Che influsso ha?

Questo tipo di pensiero finisce col consumare le energie cognitive, quindi crea stress, ansia e va a sabotare la lucidità mentale. Alla fine si ci si ritrova con poche energie e con la mente offuscata.

Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Paola Pagani, mental coach che tra i tanti ciclisti ha seguito anche Sonny Colbrelli nella sua ripresa
Quanto influisce il carattere di una persona, quanto anche il passato, le vicende trascorse, specialmente quelle legate al mestiere del ciclista?

Sicuramente le vicende passate influiscono, perché noi attraverso le esperienze che facciamo, ci creiamo le nostre convinzioni. E quando ce l’hai, vediamo le cose della nostra vita attraverso quei filtri. Quindi sicuramente le esperienze del passato hanno una grande importanza. Teniamo presente che il cervello umano non è progettato per farci vincere, ma per farci sopravvivere, non per la prestazione massima. Ma che cosa significa sopravvivere? Significa anticipare rischi, minacce, quindi tende a monitorare costantemente l’ambiente intorno alla ricerca di pericoli e di problemi.

Come influisce tutto ciò sulla prestazione?

Se il cervello non è allenato, nei momenti di pressione come una gara il sistema nervoso attiva i circuiti di allerta e quindi viene innescato quel ciclo di stress che va a incrementare tutto il sistema di vigilanza e riduce la capacità di focalizzarsi su quali sono i compiti chiave legati alla performance di quel momento. Se permettiamo al cervello di agire in questo modo, è come se giocasse contro di noi, ma lo fa per salvaguardarci. Ma noi possiamo allenare il nostro cervello perché giochi dalla nostra parte.

Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Paul Seixas è, secondo Sivakov, un giovane che sta emergendo proprio per la sua gestione dello stress
Ha un influsso sul rendimento di un corridore?

Assolutamente sì. Se io in una situazione vedo soltanto rischi e pericoli, sicuramente il mio rendimento cala, c’è perdita di reattività, calo della fiducia e cioè se noi andiamo a vedere i campioni e gli altri, vediamo che il livello di autostima nei primi è decisamente superiore. Questo perché i primi hanno saputo anche allenare consciamente o inconsciamente la propria mente perché sia un’alleata.

Sivakov diceva che sta cercando di imparare come ovviare all’overthinking proprio stando al fianco di Pogacar. E’ possibile?

Io posso dire come alleno i miei ragazzi. Innanzitutto bisogna lavorare per migliorare l’autostima e la fiducia. Si va a lavorare con tecniche di reframing, di dialogo interno positivo. Si va a considerare una routine che sia di maggior successo. La persona distingue tra quelli che sono pensieri utili e pensieri che lo stanno sabotando, quindi alleniamo l’abilità di scegliere in maniera consapevole su cosa focalizzarsi anche quando si è sotto pressione. Utilizzo strumenti che derivano dalla mindfullness, quindi tutto quello che è respirazione consapevole. Spezzo il pensiero ciclico e mi focalizzo sull’azione oppure su un altro strumento provando a simulare mentalmente diverse situazioni di gara per allenare la risposta emotiva e comportamentale.

Sivakov ha raccontato di ispirarsi a Pogacar per gestire lo stress negativo
Sivakov ha raccontato di ispirarsi a Pogacar per gestire lo stress negativo
Che cosa significa?

Significa simulare mentalmente come se effettivamente io stessi facendo quell’esperienza. Quello che vedrei se fossi lì, quindi vedo le mie mani sul manubrio, la bicicletta, le ruote, l’asfalto. Ascolto i rumori, il mio respiro, le voci, quindi tutto quello che succede in una situazione del genere e sento la sensazione che voglio sentire in quel momento. Mi alleno a sentire quella sensazione così è più facile che poi in gara io riporti quello stesso schema. E per di più altri strumenti che si possono utilizzare anche in gara sono delle parole chiave.

Quali?

Uno scalatore può ripetersi “veloce, veloce, leggero, leggero”. Un velocista “veloce e potente”, insomma delle parole chiave che portano la mente a focalizzarsi su quei concetti, quelle qualità andando a interrompere il circolo vizioso di pensieri negativi.

In base proprio alla sua esperienza, il problema dell’overthinking è diffuso?

Diffusissimo, nel senso che è una cosa talmente automatica che è molto più diffusa di quanto si pensi, anzi Sivakov è già avanti perché si è reso conto di esserne vittima, ha consapevolezza e quando si diventa consapevole di qualcosa, allora è lì che si può fare qualcosa per cambiarlo.

Festa A&J, Carera, 2025, Erbusco, Tadej Pogacar, simulatore contro Antonio Tiberi

Un Pogacar esclusivo, dal padel ai sogni di campione

23.11.2025
8 min
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ERBUSCO – Quando uno ha l’iride che gli brilla addosso non se ne vuole mai separare. Nemmeno a padel, Tadej Pogacar si è discostato di quei colori che indossa oramai dall’autunno 2024. Anzi, se li è fatti pitturare sui bordi della racchetta realizzata da MET che ricorda i grandi successi ottenuti proprio in quella stagione. Occorrerà aggiornare la grafica con qualche stella, vista la perla aggiunta nel 2025, ovvero il titolo europeo. 

La collezione del re sloveno, anno dopo anno, si arricchisce di nuovi traguardi e già tutti sanno quali sono le gemme che ha messo nel mirino per quello venturo, ovvero quelle che ha sfiorato la scorsa primavera: Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix. Questo weekend, tra una partita e una sfida al simulatore Red Bull, la leggenda vivente del ciclismo ci ha raccontato di come ha ricaricato le pile in vista delle nuove sfide.  

Il punto di riferimento di Tadej Pogacar è sempre la compagna Urska Zigart
Il punto di riferimento di Tadej Pogacar è sempre la compagna Urska Zigart
Il punto di riferimento di Tadej Pogacar è sempre la compagna Urska Zigart
Il punto di riferimento di Tadej Pogacar è sempre la compagna Urska Zigart

Contro Tiberi e Milesi al simulatore

Nella festa organizzata da A&J All Sports, è stato bello vedere l’asso del UAE Team Emirates XRG scendere in campo prima con il connazionale e astro nascente Jakob Omzrel (trionfatore al Giro NextGen 2025) e poi con un altro campione del mondo, Thor Hushovd. C’è da dire che, almeno sul campo da padel, era il norvegese a dettare i tempi, con tocchi da giocatore esperto. Soprattutto faceva effetto vedere che Tadej l’alieno sia un ragazzo come tanti nella vita quotidiana lontana dalla bicicletta. Con qualche colpo a vuoto con la racchetta come un qualunque giocatore della domenica o sorridente al volante pure quando prima Lorenzo Milesi e poi Antonio Tiberi l’hanno superato nelle sfide al simulatore della Formula 1.

Il manager Alex Carera se lo coccola: «E’ lo stesso ragazzo del 2019 e la nostra relazione non è cambiata di una virgola rispetto ad allora. Semmai, è molto più richiesto, perché è decisamente più famoso di allora, ma cerca di mantenere la stessa semplicità di sempre».

Un campione immenso, una vita normale

Come se non bastasse, quando non si parla di ciclismo, Pogi è più loquace del solito: «Mi sono divertito un sacco a giocare con Thor. Ringrazio Alex e Johnny per aver reso così bello tutto questo evento. Divertente per una volta trovare il tempo di giocare a padel con altri colleghi ciclisti che condividono la stessa agenzia di management. Grazie a Thor qualche partita l’abbiamo vinta, ma purtroppo non sono riuscito a supportarlo a dovere e, per colpa mia, non abbiamo vinto il torneo, però è stato molto bello. Al simulatore, è stata molto avvincente la sfida finale con Tiberi, con sorpassi e controsorpassi nel giro conclusivo, ma lui è stato più bravo, riuscendo a superarmi proprio all’ultima curva. Nel complesso, è stata davvero una grande giornata».

D’altronde, dopo un 2025 a tutta, in cui gli obiettivi sono stati centrati, ma a volte con un grande dispendio di energie mentali, come ad esempio al Tour quando il ginocchio dava parecchi grattacapi, Tadej aveva tantissima voglia di staccare un po’ la spina. «Ho provato tantissime cose diverse, come avete visto ad esempio in questa giornata, nulla di speciale, un po’ quello che fanno tutti i ragazzi della mia età», ci ha raccontato. Il suo punto di riferimento è sempre Urska che si è divertita anche lei a cimentarsi nel padel così come altre colleghe, tra cui Elisa Balsamo. 

Un’altra cosa che stupisce è che, nonostante l’assalto degli appassionati presenti all’Hub 4.0 (il circolo di padel di Rovato dove è cominciata la festa), Tadej abbia concesso foto e autografi a tutti quelli che gliel’hanno chiesto. Dai più piccini ai più grandi, senza dimenticare un tifoso speciale come Ernesto Colnago, passato a salutare il suo talento sul finire del pomeriggio e a farsi firmare qualche maglia iconica di questa incredibile stagione.

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Primo ritiro a Benidorm

La prossima stagione scatterà ufficialmente il 10 dicembre da Benidorm (proprio dove Bugno bissò il suo titolo iridato) con il raduno della squadra. Ecco però che, quando si torna a parlare di ciclismo, Tadej cambia modalità e si fa subito serio, perché quando sale in sella non è uno che scherza.

«La mia stagione sarà divisa in due, prima le classiche, dopodiché la seconda parte sarà in funzione del Tour de France».

Come ci ha raccontato il ds Fabio Baldato all’ultimo Lombardia, Tadej nel 2025 ha attaccato tutte le volte che si è trovato da solo. Ma come fare a cogliere le due Monumento che mancano alla collezione? Tadej punta sull’ostinazione.

«In corse come la Sanremo e la Roubaix – dice – non è che servano troppe tattiche, bisogna soltanto andare e provarci. E, nel caso non funzioni, riprovarci ancora. Per ogni corsa la preparazione è differente e questo vale anche per corse iconiche come queste in cui la preparazione è differente rispetto a quella per il Tour. Abbiamo dei piani in mente, ma non abbiamo ancora studiato il calendario, ne parleremo tra qualche settimana quando ci raduneremo in Spagna». 

Lo scatto di Pogacar sulla Cipressa è stato il più duro da contrastare, ma in cima Ganna era in scia
Pogacar ha ammesso che Ganna e Van der Poel alla Sanremo lo spingono verso un livello sempre più altro
Pogacar ha ammesso che Ganna e Van der Poel alla Sanremo lo spingono verso un livello sempre più altro

Mental coach: no, grazie

Ciò che sembra sempre più possibile è che il suo esordio venga ritardato direttamente a marzo alle Strade Bianche, altra corsa che adora (come si vede dalla sua racchetta da padel) e che ha conquistato già tre volte. Nel ciclismo moderno, in cui si parla sempre più di numeri, Tadej prova a quantificare, ad esempio quello dell’ultima impresa dello scorso 11 ottobre che gli ha permesso di eguagliare nientemeno che Fausto Coppi.

«In una corsa come il Lombardia – dice – si bruciano più di 1000 KJ all’ora. Dunque, visto che lo sforzo dura in media sulle 6 ore o 6 ore e mezza, si può arrivare fino a 6500 KJ in totale. Direi che sono un bel po’». Alla domanda sull’idea o meno di avvalersi di un mental coach per lui che è sempre circondato da un bel carico di stress risponde secco: «No».

Tadej Pogacar, Roubaix 2025
Non esiste una strategia particolare per vincere la Roubaix: andare, provarci e riprovarci
Non esiste una strategia particolare per vincere la Roubaix: andare, provarci e riprovarci

Contro Ganna e Van der Poel

La lezione imparata dalla Sanremo 2025 e dal duello con Ganna e Van der Poel? «Che è molto difficile da vincere. Loro costringono me ad alzare il livello ogni anno, ma penso di costringerli anch’io a fare altrettanto. E’ un bello stimolo per tutti». Nibali consiglia di non essere ossessionato dalla Classicissima perché soltanto così è riuscito a vincerla, Hushovd rimane ammirato dal fatto che un corridore da Grandi Giri come Pogacar si sia trasformato in un cacciatore di classiche. «Davvero sensazionale quello che sta facendo», ci racconta il campione del mondo 2010 quando ci spostiamo alla serata nel non lontano club di Erbusco.

Anche qui è sempre Tadej il più atteso e la sua entrata in scena è degna dei divi di Hollywood, con gli speaker che continuano a elencare il suo sconfinato palmares mentre scende la scalinata e raggiunge il palcoscenico principale. Davvero comprensibile come spesso anche lui ami soltanto isolarsi e vivere la vita da ragazzo normale. Lo sloveno però non si tira indietro e si concede all’abbraccio del pubblico, firmando una maglia anche a un altro campione del mondo sulle due ruote, ma col motore: il centauro Marco Melandri. 

L'incontro con Marco Melandri, la conoscenza e l'autografo sulla maglia
L’incontro con Marco Melandri, la conoscenza e l’autografo sulla maglia
L'incontro con Marco Melandri, la conoscenza e l'autografo sulla maglia
L’incontro con Marco Melandri, la conoscenza e l’autografo sulla maglia

Una UAE diversa

Per quanto riguarda il Giro d’Italia, Tadej sposta il suo ritorno alla Corsa Rosa dal 2027 in avanti. «Sicuramente tornerò al Giro, mi piacerebbe moltissimo, ma la strada è ancora lunga. Adoro correre in Italia e sentire gridare il mio nome ed avere quell’accoglienza sulla Boccola come accaduto all’ultimo Lombardia è un qualcosa che mi carica moltissimo». E, a precisa domanda dei colleghi, non chiude la porta nemmeno all’incredibile ipotesi di disputare tutti e tre i Grandi Giri nello stesso anno. D’altronde, per un collezionista come lui, anche la Vuelta è un diamante ancora assente.

Certamente sarà una UAE differente con la partenza di Ayuso verso la Lidl-Trek dopo la burrascosa Vuelta, l’addio di un gregario fedele come Majka e l’ascesa del discepolo Isaac Del Toro.

«Abbiamo una squadra fortissima. Sono contento dell’atmosfera che si respira nel nostro team – racconta ancora Tadej – e della relazione con i miei compagni». Poi ricorda il compagno festeggiato al Lombardia del mese scorso: «E’ stato fantastico correre con Rafa e abbiamo condiviso splendidi momenti e vittorie insieme. Ho imparato tantissimo da lui, sicuramente sentirò la sua mancanza, ma sono felice che abbia avuto una carriera strepitosa e sono fiero di esserne stato parte».

La salita preferita di uno che spiana qualunque pendenza? «Sinceramente non ne ho una particolare in corsa, perché in quel momento mi concentro solo su quello che sto facendo e a tirare fuori il meglio. Ci sono tanti posti però che adoro percorrere in allenamento. La Costa Azzurra offre tantissime opportunità e sono fortunato a vivere in posti così belli». Lo lasciamo agli ultimi momenti tranquilli con la sua giacca in tartan, che in queste ore ha già messo da parte per tornare a vestire l’amato completo iridato. Sanremo, Roubaix e Tour del 2026 non aspettano.

Tour de France 2020, Tadej Pogacar, cronoscalata Planche des Belles Filles

Peiper, il regista della Planche, alla corte di Remco

15.11.2025
6 min
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Dalla Garmin in cui vinse il Giro con Hesjedal alla BMC per sei anni e poi al UAE Team Emirates del primo Tour vinto con Pogacar. Poi Allan Peiper ha dovuto affrontare la lotta contro il cancro. E adesso una nuova sfida lo porta alla Red Bull. E’ singolare seguire l’australiano che da anni fa base in Belgio nelle sue migrazioni. Il più delle volte a richiamarlo è stato il gusto per nuove sfide, ma probabilmente nella squadra numero uno al mondo per lui non c’erano più gli stessi spazi. Al contrario, l’offerta dei tedeschi di fare di lui lo stratega dietro le quinte, mettendo in gioco la sua capacità di plasmare il gruppo, lo ha stimolato.

«Sono molto entusiasta – ha detto appena la notizia è diventata ufficiale – di far parte di questo progetto. Red Bull-Bora-Hansgrohe ha fatto progressi impressionanti negli ultimi anni e vedo un grande potenziale per rafforzare ulteriormente questa struttura. Si tratta di vivere una visione sportiva chiara e trasformarla in prestazioni quotidiane: questo è ciò che mi motiva. Vincere il Tour con Tadej è stato sicuramente il momento più bello della mia vita. L’ho conosciuto che era un ragazzino, ma sempre molto equilibrato. Ancora oggi si sveglia la mattina con un sorriso ed era sempre felice. Dice “grazie”, “ciao”, non urla mai. Non sente la pressione di essere il leader, eppure ha l’atteggiamento giusto. Se penso a quella mattina della Planche des Belles Filles, alla vigilia della crono in cui avrebbe vinto il primo Tour, credo sapesse già che avrebbe concluso in giallo, ma non ne parla mai».

Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E' stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E’ stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E' stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E’ stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)

Due ragazzini in Alta Saona

Quel giorno fu magico, ma davvero non ci fu nulla di improvvisato o imprevisto, se non il crollo di Roglic. Nel villaggio di Plancher les Mines, nell’Alta Saona, ricordano ancora quando in un giorno di luglio, davanti a una pensione ai piedi della salita, arrivò l’ammiraglia della UAE Emirates. La Grande Boucle si sarebbe corsa alla fine di agosto, nel calendario confuso ed elettrizzante nell’anno del Covid che a fine stagione avrebbe proposto il Giro in ottobre.

Ne scese proprio Peiper, che chiese all’anziana padrona se i due corridori che avevano appena provato la salita della Planche des Belles Filles potessero fare la doccia nella sua struttura. Erano due ragazzi di 21 anni: Pogacar e Bjerg. Quella salita sarebbe stato il teatro d’arrivo della penultima tappa del Tour, a capo di una crono di 36,2 chilometri con partenza da Lure. Era stato utile provarla e simulare una serie si situazioni di gara, a partire dal cambio della bici.

Sulla Planche des Belles Filles, provata e riprovata il mese prima, Pogacar visse un giorno perfetto. Uno dei suoi…
Sulla Planche des Belles Filles, provata e riprovata il mese prima, Pogacar visse un giorno perfetto. Uno dei suoi…

Il viaggio di Peiper

Peiper c’era già stato a giugno, subito dopo la fine del lockdown. Era partito dal Belgio facendo quasi 600 chilometri. Diluviava, il tergicristallo non si era mai fermato. E se in un primo momento aveva dubitato della bontà dell’iniziativa, vista la salita si era reso conto che lì si sarebbe deciso il Tour. Nessun dubbio al riguardo.

Rimase per due giorni in quella zona. Fece la salita più di una volta, prendendo nota delle curve, dei cambi di pendenza, percorrendo a piedi gli ultimi metri in cui la pendenza passa al 20 per cento. E poi, non pago, la scalò anche in bicicletta rendendosi finalmente conto che quella tappa avrebbe cambiato la storia. Dopo i tanti giorni sulle grandi salite, passare nuovamente alla posizione da crono sarebbe stato un’incognita.

L’osservazione che aveva portato via con sé, custodendola con cura, riguardava il punto in cui cambiare la bici. Era chiaro infatti che non si potesse arrivare in cima con quella da crono. Sull’altimetria aveva individuato il punto giusto al chilometro 31,1: poco più di 5 chilometri dal traguardo. In quel punto in cui la velocità sarebbe scesa ai 15 all’ora e la bici da crono sarebbe diventata di difficile gestione. Lo segnalò a Gouvenou, direttore tecnico del Tour, e grazie alle sue segnalazioni le transenne di quell’area cambio vennero messe nel punto esatto da lui individuato.

Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE

Cambio bici e pacco pignoni

Gestire un cambio bici come quello non è semplice, né semplice sarebbe stato scegliere la bici giusta. L’intuizione fu nuovamente di Peiper, che propose di montare sulla bicicletta di Pogacar una cassetta pignoni da juniores, una 19-25 a sei velocità, che avrebbero permesso di cambiare un solo dente alla volta, rispetto ai due delle cassette normali.

La salita era molto ripida, con tratti al 15 e anche 20 per cento e per gestirla non si potevano cambiare i rapporti bruscamente. La cambiata doveva essere fluida per mantenere la stessa cadenza e non mettere troppa pressione sulle gambe. Nel primo dei due giorni trascorsi sui Vosgi con Bjerg, Pogacar fece tre ricognizioni del percorso. Per il tratto di pianura invece avrebbe usato una monocorona anteriore da 58 denti senza deragliatore.

Si diceva della gestione del cambio bici, provato per almeno dieci volte dai due corridori. Fu l’intuizione del meccanico Vasile Morari a dare la svolta. Sarebbe stato Pogacar a portare la bici da crono verso l’ammiraglia, mentre lui gli avrebbe passato la bici da strada presa dal tetto dell’ammiraglia. Avrebbero così risparmiato il tempo del doppio passaggio del meccanico. Non è frequente assistere a simili prove e fu proprio Peiper a guidare le operazioni, puntando alla perfezione assoluta.

La resa di Roglic alla Planche des Belles Filles amplificò ancora di più la grande prova di Pogacar
La resa di Roglic alla Planche des Belles Filles amplificò ancora di più la grande prova di Pogacar

In lacrime nel parcheggio

In corsa andò tutto alla perfezione e sappiamo tutti come finì la storia. Ci fu anche il tempo per assistere al crollo di Roglic. La Jumbo Visma sprofondò in una confusione pressoché totale. Non effettuarono il cambio bici nel cambio di pendenza indicato da Peiper, ma più avanti tra la gente, tanto che per un po’ si credette che la maglia gialla volesse arrivare in cima con la Cervélo da crono. E fu l’ammissione successiva di un tecnico a far trapelare la verità su quel casco scomposto sul suo capo: un modello usato quel giorno per la prima volta, più pesante del precedente, a causa del quale Roglic perse terreno e fiducia.

Dopo aver scherzato con Pogacar al mattino, mentre i meccanici preparavano la bici bianca per la tappa del giorno dopo, sul fatto che la squadra non credesse nella sua possibilità di vincere il Tour, Peiper si ritrovò a piangere nel parcheggio delle ammiraglie. Era incredulo. Aveva bisogno di tempo per capire, così rimase seduto per qualche minuto e poi andò alla macchina della Jumbo-Visma per esprimere la sua solidarietà.

La nuova sfida di Peiper riguarda Evenepoel: la cura dei dettagli lo porterà al livello di Pogacar e Vingegaard?
La nuova sfida di Peiper riguarda Evenepoel: la cura dei dettagli lo porterà al livello di Pogacar e Vingegaard?

La sfida Evenepoel

La storia di Pogacar al Tour de France iniziò in quel modo indimenticabile, con la vittoria alla prima partecipazione. Peiper non sapeva ancora dei problemi di salute che avrebbe dovuto fronteggiare di lì a pochi mesi e che gli avrebbero impedito di seguire il secondo Tour del suo pupillo. Alla Red Bull, che sta facendo incetta di tecnici avendo allontanato quelli già vincenti che aveva in casa, è bastato saperlo in salute per offrirgli un incarico di grand importanza. Lavorerà accanto a Zak Dempster, preso dalla Ineos Grenadiers, e a Sven Vanthourenhout, l’ex tecnico della nazionale belga che ha ottenuto con Evenepoel le vittorie più belle. La prossima sfida di Peiper sarà proprio Remco. E un po’ di curiosità, dobbiamo ammetterlo, inizia a farsi largo.

Tadej Pogacar, Pogi Team Gusto Ljubljana (foto Instagram)

In Slovenia sulle tracce di Pogacar: dove è nato il mito

14.11.2025
6 min
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VIKRCE (Slovenia) – La sede del Pogi Team Gusto Ljubljana è una villetta a due piani come se ne trovano tante nella campagna slovena. Il muro bianco mangiato dalla nebbia e dal freddo, le montagne intorno che con la loro ombra ne coprono il tetto e un silenzio così profondo da riuscire a sentire ogni respiro. Fuori, nel piccolo cortile interno, i mezzi della formazione continental e le bandiere richiamano il nome di Tadej Pogacar. Qui a mezz’ora dalla capitale Ljubljana è partita la storia del corridore che sta riscrivendo regole e numeri nel ciclismo moderno. 

La porta si apre e il freddo dell’autunno sloveno ci accompagna anche all’interno dell’officina posta all’ingresso. Assi di finto legno, un bancone con cassetti colmi di attrezzi da lavoro e una rastrelliera dove sono agganciate le biciclette Gusto in attesa di rifarsi il look in vista della prossima stagione. L’ambiente è familiare, i ragazzi del team continental passano di qui come si fa a casa quando è da un po’ che non ci si vede. Sorrisi, kit da provare e si dà una mano al meccanico a fare qualche piccola modifica

Nicolas Gojković, campione croato in carica è venuto a provare l’abbigliamento con la bandiera del suo Paese che indosserà il prossimo anno. Nel sentirci parlare in italiano accenna qualche parola raccontandoci di aver corso da juniores al Team Fratelli Giorgi, condividendo spesso la casetta della squadra con Samuele Privitera. Ricordando il sorriso del ragazzo ligure, scomparso quest’anno al Giro della Valle d’Aosta, ci stupiamo di quanto sia piccolo il mondo a volte. 

L’inizio di tutto

I locali e i corridoi stretti lasciano entrare una luce fioca che accarezza le pareti, tutto dentro la sede del Pogi Team Gusto Ljubljana parla di Tadej Pogacar, il quale a questa squadra ha legato il nome. La Slovenia da anni conta diversi corridori capaci di inserirsi tra i migliori al mondo: Mohoric e Roglic su tutti, ma da quando quel ragazzo col ciuffo che spunta dal casco ha vinto il Tour de France nel 2020 tante cose sono cambiate. A raccontarcelo è Bostjan Kavcnik, meccanico di Tadej Pogacar anche ora al UAE Team Emirates, che al Pogi Team Gusto Ljubljana è da sempre legato.

«Sono entrato in questa squadra nel 1995 – racconta Bostjan in un perfetto italiano – quando ero allievo e correvo ancora. Ho proseguito fino ai dilettanti poi con il tempo ho smesso e sono entrato a far parte dello staff del team. Ricordo ancora quando abbiamo ordinato le prime biciclette Gusto, era il 2014 quando Tomaz Poljanec (il team manager) ha portato qui i primi telai. Lui ha lavorato come direttore di Gusto in Australia e aveva fondato una squadra per poi tornare qui in Slovenia e partire con il progetto della continental».

Prendere le misure

I primi passi mossi insieme tra Gusto e il Team Ljubljana hanno permesso a entrambi di crescere e lavorare alla ricerca del miglior set-up. Riuscire a parlare e far coincidere le esigenze non è stato facile, ma poi la strada intrapresa ha portato i suoi frutti. L’avvento di un talento come quello di Tadej Pogacar, che con il modello Gusto Ranger ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2018, ha fatto da volano verso riconoscimenti sempre più importanti.

«Ricordo che quando ho ordinato i primi telai – racconta ancora Bostjan Kavcnik – le misure e le geometrie erano tanto diverse. Infatti Gusto produceva biciclette per il mercato asiatico, quindi c’era da prendere la mano. Il telaio che ha utilizzato Pogacar per vincere l’Avenir è una taglia XL, diciamo che è completamente diverso rispetto ai marchi europei con i quali eravamo abituati a lavorare. Nel tempo Gusto ha realizzato biciclette in linea con il nostro mercato diventando un produttore affidabile (ora Gusto ha aperto anche la sua prima sede europea, proprio qui in Slovenia, ndr)».

L’impronta di Tadej

All’interno della villetta del Pogi Team Gusto Ljubljana, al piano superiore, si apre quella che è una mansarda e allo stesso tempo un museo dedicato a Tadej Pogacar. Biciclette, trofei, maglie e fotografie. Qui la sua presenza non manca e nel tempo si è costruito un movimento capace di raccogliere tanti ragazzi e avvicinarli al ciclismo. 

«Il Rog Club, che raccoglie diversi iscritti e del quale fa parte anche il Pogi Team Gusto Ljubljana – ci spiega Bostjan Kavcnik – ha visto aumentare considerevolmente il numero di iscritti, anche tra i più piccoli. Fino a cinque o sei anni fa avevamo cinque bambini che facevano attività, ora siamo a cinquanta. Il nome di Pogacar ha ispirato tanti giovani e li ha avvicinati alla bicicletta. In totale il Rog Club (che conta tutte le categorie giovanili, ndr) arriva a oltre 200 iscritti. Qualcosa in più se si considerano anche gli amatori. Pogacar stesso nonostante i tanti impegni passa da qui una o due volte all’anno, poche settimane fa ha anche organizzato l’evento a Komenda la sua città natale, dove siamo andati con tutti gli iscritti (in apertura Pogacar con alle spalle i ragazzi del Pogi Team Gusto Ljubljana, foto Instagram, ndr)».

Guardandoci intorno rimaniamo sorpresi nello scoprire, dietro ogni angolo, la storia assolutamente normale di un corridore che normale non è. Da dove tutto è partito, ormai otto anni fa, la domanda che ci poniamo è se ora sarebbe possibile vedere qualcosa del genere. Nell’epoca dei devo team e del professionismo appena maggiorenni la storia di Pogacar ci deve insegnare che il talento nasce ovunque. E questo non bisogna mai darlo per scontato.

Tour de France 2025, Parigi, Tim Wellens, Tadej Pogacar, UAE Team Emirates

Il ginocchio di Pogacar, l’auto della Visma e il pericolo scampato

13.11.2025
4 min
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Probabilmente non sarebbe dovuta partire da Wellens. Ma quando il belga si è trovato davanti il giornalista de L’Equipe a Singapore, ha pensato bene di raccontarla tutta, aprendo la porta su due giorni di Pogacar al Tour che finora erano passati sotto silenzio. Tappe 17 e 18, si va verso le Alpi: nei giorni scorsi se ne è parlato in abbondanza, senza però mettere in relazione il giorno di Valence con il successivo.

«Nella tappa di Valence – ha raccontato Wellens (i due sono insieme in apertura) – Tadej mi disse: “Tim, abbiamo un problema, il ginocchio mi fa un male terribile”. Tanto che andò alla macchina del medico per farsi visitare. Dopo la gara andò in ospedale per degli esami, che hanno riscontrato un’infiammazione o qualcosa del genere. Nessuno lo sapeva! Ero convinto che si sarebbe ritirato. Ha sofferto molto. Avevamo dubbi sulla sua capacità di arrivare in fondo».

Valence è il giorno della seconda vittoria di Milan al Tour 2025, tappa nervosa con 1.660 metri di dislivello. Pioggia e freddo. Secondo qualcuno, la ricostruzione di Wellens non tiene conto di un episodio accaduto l’indomani, che invece spiega la tattica attendista dello sloveno sul Col de la Loze e i pochi sorrisi sulla cima.

Caos alla partenza da Vif

Prima dell’atteso traguardo alpino sulla montagna di Courchevel, che nel 2023 era costato a Tadej ogni sogno di gloria, è infatti accaduto qualcosa di insolito. Pogacar è stato vittima di un primo… incontro ravvicinato con la Visma. Eravamo alla partenza da Vif, piccolo comune nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi. I pullman erano stati incolonnati in una strada stretta in cui, fra tifosi, ammiraglie e furgoni, non c’era davvero lo spazio per passare.

E proprio mentre si stava dirigendo verso la partenza, con un taping al ginocchio destro che il giorno prima non c’era, il campione del mondo ha tamponato in modo piuttosto rovinoso un’ammiraglia della Visma Lease a Bike. Tadej è finito col mento sull’auto e sul momento ci ha fatto una risata, mentre meno divertito è parso il suo addetto stampa Zhao Haojang, che pedalava accanto a lui e ha subito un colpo altrettanto secco.

«Ci stavamo dirigendo verso la linea di partenza – ha raccontato Pogacar – e stavamo pedalando dietro a quell’ammiraglia, forse un po’ troppo vicini. E all’improvviso, non so se volesse provare i miei freni e controllare se funzionavano, ha bloccato. Ma io non ero pronto perché davanti non c’era nessuno e infatti non capisco che necessità ci fosse di frenare così all’improvviso. In ogni caso va tutto bene, è andata peggio al mio amico Zhao».

Tour de France 2025, partenza da Vif, incidente di Tadej Pogacar con l'ammiraglia della Visma Lease a Bike (immagini ITV Cycling)
Si parte da Vif, Pogacar a ruota dell’auto Visma. Di colpo la frenata e il tamponamento (immagini ITV Cycling)

L’ attacco sulla Madeleine

In realtà, così raccontano dall’entourage della UAE Emirates, nell’urto Pogacar ha battuto anche il ginocchio destro. I corridori della Visma si sono affrettati a spiegare – soprattutto Vingegaard e Jorgenson – che non è così che avrebbero voluto prendere vantaggio. Sapevano però del problema iniziato a Valence e quel giorno hanno comunque attaccato a fondo sin dalla Madeleine.

Non hanno ottenuto alcun tipo di risultato, in realtà, ma ecco spiegato perché quel giorno Pogacar abbia rinunciato a inseguire O’Connor, sia sembrato seccato con Vingegaard al punto da affiancarlo e guardarlo in faccia e nel finale sia scattato guadagnandogli altro margine. Senza una sola parola sull’accaduto che potesse suonare come una scusa.

Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato
Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato

«E’ stato un sollievo – ha ribadito Wellens – che non si sia arreso in montagna. Tutti si chiedevano perché non attaccasse, noi invece eravamo preoccupati per lui, fisicamente e anche mentalmente. Sono rimasto sorpreso nel leggere che non vedeva l’ora di tornare a casa, perché, tra noi, ci stavamo divertendo molto».

Tutti in attesa del piano della Visma: annunciato, tenuto nascosto, sussurrato e alla fine rimasto nel cassetto. Vingegaard ha spiegato perché pensa che il 2026 potrebbe avere un altro sapore, noi non vediamo l’ora che la giostra ricominci. Senza episodi e stranezze come quelle che vi abbiamo appena raccontato.

Tour de France 2025, Parigi, Montmartre, Wout Van Aert attacca, alle spalle c'è Tadej Pogacar

Parigi riapre ai velocisti? Bennati, Montmartre e la volata

11.11.2025
4 min
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«Se parliamo di Jonathan Milan – dice Bennati sicuro – secondo me c’è tutto il tempo per riorganizzare un inseguimento. Sicuramente qualcuno a Montmartre attaccherà, qualcuno farà anche la differenza. Il Van Der Poel della situazione, Van Aert (in apertura il suo forcing del 2025, ndr), Pogacar, Evenepoel, questi corridori qua. Però secondo me c’è il terreno per recuperare e per pensare a fare la volata. O comunque impostare la tappa per arrivare in volata».

C’è poco da fare: l’inserimento di Montmartre nel finale della tappa dei Campi Elisi fa storcere il naso ai velocisti, privati della ciliegina sulla torta dopo tre settimane sulle montagne del Tour. Quest’anno poi, le tre tappe precedenti hanno l’arrivo in salita in un crescendo rossiniano che sarebbe insopportabile senza la prospettiva di un’ultima chance. Forse per questo i tracciatori della Grande Boucle hanno rimescolato le carte del mazzo: Montmartre si farà, ma a 15 chilometri dal traguardo. Ben altra cosa rispetto ai tre passaggi del 2025, l’ultima a 6 chilometri dall’arrivo.

«E’ chiaro che dopo tre settimane – prosegue Bennati – le energie sono quelle che sono. Però in condizioni di asciutto sicuramente i velocisti possono pensare di giocarsi la volata».

Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel
Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel

Parigi 2025, fu vero spettacolo?

La precisazione sulla strada asciutta vale certamente un passaggio in più. L’anno scorso lo spettacolo fu incandescente, ma la neutralizzazione dei tempi nel circuito finale svilì parecchio la corsa alle spalle dei primi. Alla fine vinse Van Aert, che aggiunse i Campi Elisi all’iconica tappa delle strade bianche di Siena al Giro.

«Io non penso che pioverà anche l’anno prossimo – precisa Bennati – però questo non lo possiamo sapere. La strada bagnata da un certo punto di vista penalizza lo spettacolo, perché lo scorso anno alla prima accelerazione rimasero in sei e non fu bello per la tappa di chiusura in un palcoscenico così bello. Devo dire che da velocista, non è stato bello vedere i corridori da tutte le parti e gruppetti che si rilassavano per arrivare al traguardo. Obiettivamente se dovesse essere nuovamente così, preferirei il circuito classico. Non perché ero velocista e ho vinto su quell’arrivo, ma perché secondo me rendeva l’ultima tappa molto più adrenalinica».

Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata
Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata

Da zero a 100 in un attimo

L’ultima tappa del prossimo Tour misura 130 chilometri, che si porteranno a termine senza un dislivello di rilievo, fatta salva la salita di Montmartre. Ciò significa che i corridori, soprattutto i velocisti, avranno nelle gambe i circa 54.450 metri di dislivello delle tre settimane precedenti. Questo significa che l’ultima tappa piatta sarà una passeggiata di salute? No, sarà esattamente il contrario.

«La salita in sé non è durissima – annuisce Bennati – se la paragoni a qualsiasi muro del Fiandre è molto più leggera. Anche il pavé è abbastanza sconnesso, ma non troppo, quindi è abbastanza leggero. Però arrivi con tre settimane nelle gambe, per cui se il Pogacar della situazione vuole vincere l’ultima tappa, per i velocisti si fa comunque dura. Quelli di classifica hanno doti superiori di recupero rispetto a un velocista, quindi potenzialmente sono avvantaggiati.

«Tornando al discorso della tappa breve, per esperienza personale l’ultima tappa del Tour, del Giro o della Vuelta non è mai una passeggiata. Vieni da tre settimane molto impegnative e nei primi chilometri ci sono i festeggiamenti e un’andatura super blanda. Di conseguenza il ricordo che è sempre stato quello di una fatica tremenda quando si inizia ad accelerare sul circuito. Su un percorso del genere, sono sempre avvantaggiati corridori come Van Aert e Van Der Poel, anche se non sono scalatori. Perché il velocista ha provato a fare le volate e magari ha lottato per la maglia verde, quindi ha speso più di loro. Quindi per assurdo una tappa così corta potrebbe trasformare quella salitella in un bel problema. I velocisti dovranno mettere davanti tutti i compagni rimasti».

L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata
L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata

I velocisti ringalluzziti

Il senso però è che questa volta i velocisti potrebbero avere lo spazio per ricucire e giocarsi la volata. Magari non tutti, perché non tutti avranno le gambe per reggere quel tipo di accelerazione e il successivo inseguimento.

«Il Bennati che vinse a Parigi – dice il toscano, ricordando – negli ultimi giorni stava meglio rispetto alla maggior parte dei velocisti, perché probabilmente aveva un recupero migliore. C’è da capire se, correndo oggi, avrei messo davanti la squadra per fare Montmartre al mio ritmo, perché probabilmente il peso della corsa se lo prenderebbe Pogacar, soprattutto se vuole attaccare e provare a vincere. Magari per uno come lui 15 chilometri non sono una gran cosa, ma questo sarà un altro bel motivo per aspettare la corsa con grande curiosità».

Tour de France 2025, Parigi, podio Campi Elisi, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar

Vingegaard fra la voglia di Giro e la prigione del Tour

07.11.2025
5 min
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Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.

«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».

Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.

Tour de France 2023, Morzine, Jonas Vingegaard, TAdej Pogacar
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono

Il sogno del Giro

Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.

«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».

Vuelta Espana 2025, Bola del MUndo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso
Vuelta Espana 2025, Bola del Mundo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mundo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso

Il Tour non si molla

Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.

«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».

Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei
Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei

In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?