Ogni body ha un’anima diversa: comanda la velocità

29.10.2021
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Con Simone Omarini di HardSkin abbiamo più volte preso di petto il tema dell’abbigliamento correlato all’aerodinamica, ma il filone non si è esaurito. I mondiali in pista e prima quelli della crono hanno davvero messo in evidenza come si vinca spesso per frazioni di secondo e si debba ricercare il vantaggio in ogni possibile situazione. Così se nel precedente confronto avevamo parlato di quali siano le linee guida generali per realizzare un body davvero aerodinamico, ora la curiosità si è spostata sulla possibilità di personalizzarlo perché nello stesso quartetto, ad esempio, convivono giganti come Ganna e Milan e atleti più compatti come Consonni. Non pretenderete mica che si vestano tutti allo stesso modo?!

«L’obiettivo – inizia Omarini – è sempre limare per ottenere un piccolo contributo dovunque si possa. Ci sono body da crono, da pista e da strada. E se la gara in pista dura quattro minuti, quanto vale quel vantaggio/minuto in una corsa come la Sanremo che è lunga 300 chilometri? E’ un po’ come il limare del corridore, che sta a ruota il più possibile per risparmiare energie da usare quando serve nel finale di gara».

Body e velocità media

Il body nasce in base alla velocità media della prova in cui sarà usato. Così, come detto poco fa, il body del quartetto sarà diverso da quello da crono per due motivi. Il primo è il tempo di utilizzo, che in pista è di pochi minuti e in strada può arrivare fino a un’ora.  Così come cambia la posizione in bici, che per 4 minuti può essere ben più estrema e scomoda, anche il body può essere meno comodo di uno da crono.

E poi c’è da considerare la velocità media, che su strada si attesta intorno ai 50 all’ora, mentre su pista può arrivare ai 65. Quei 15 km/h fanno una bella differenza e permettono di progettare e poi testare body diversi.

«Poi ci sono i body da triathlon – rilancia Omarini, dato che HardSkin è molto concentrata sulla disciplina – che sono tarati sui 40 all’ora. Quando si testa un atleta in galleria del vento, è importante capire cosa succede con l’aria alla velocità di gara, ma anche sopra e sotto quella soglia. In base a quello che emerge si valutano i tessuti e le loro tridimensionalità. Si studia atleta per atleta, anche per capire se le forme diverse incidono sul rendimento del body. Non succede spesso, ma è facile intuire che la risposta fra Ganna e Yates potrebbe essere diversa».

Tessuti diversi

Personalizzare significa progettare, ma partendo da basi di conoscenza già note. Nessuno inventa niente, semmai la frontiera degli studi si concentra parecchio sui tessuti, che vengono testati per capire in quali parti del corpo performino meglio con le loro rugosità.

«Si gioca col liscio e con le tridimensionalità – spiega Simone – si crea il prototipo e si testa in galleria del vento. Alla lunga, si migliora sempre e più si sta in galleria e più segreti si scoprono. Ci si rivolge a chi produce tessuti per impiego sportivo, difficilmente trovi l’azienda che produce un tessuto studiato per una determinata configurazione aerodinamica. Al massimo, se hai collaborazione con qualcuno che li produce, puoi offrire qualche feedback sulla resa di certe rugosità. La scelta degli ingegneri avviene fra vari tessuti, cercando di individuare quelli che si pensa possano essere i più veloci. A quel punto si fa il body di prova, giocando con le varie rugosità per ottenere il miglior risultato possibile».

Simone Omarini a Montichiari in una sessione di lavoro sulla posizione con gli azzurri
Simone Omarini a Montichiari in una sessione di lavoro sulla posizione con gli azzurri

I dettagli in gioco

E poi entrano in gioco i dettagli. La posizione della cerniera davanti o dietro, l’alloggiamento della radiolina. Non esiste una soluzione migliore di altre, semplicemente ciascun atleta avrà vantaggio da una soluzione o dall’altra.

«I test si fanno sui corridori – spiega – un manichino sarebbe comodo, ma costa tanto ed è statico. La variabile nell’uso degli atleti è che durante i test si stancano e quindi si muovono, anche se di solito i cronoman sono bravissimi nel mantenere a lungo la stessa posizione. Ogni variazione deve essere testata e ritestata, proprio perché magari l’atleta ha sovrapposto i pollici e le condizioni sono cambiate. Può andare subito bene, come anche il contrario. Magari si scopre che il tessuto non è così veloce o si prova una nuova cucitura perché quella pensata inizialmente non chiude bene e fa qualche piega.

«Si lavora finché non si ottiene la soluzione che funziona e di solito si crea una matrice di prova per essere certi della ripetibilità del test. Parliamo di 3 prototipi di body e 5 di calze. Si provano insieme, anche in combinazione. Poi si usano differenti tipi di casco per valutare se la sua azione danneggi o modifichi il comportamento del body. Visti i costi, in galleria si entra con i tempi già suddivisi e sapendo quali prove si faranno. Ogni tempo morto costa, quindi la giornata è già tutta programma al minuto».

Confini da varcare

Perché si cambia quando si raggiunge il body perfetto? Perché magari arriva il rappresentante di tessuti e ne propone alcuni più veloci, oppure perché il precedente aveva qualche criticità.

«Nelle grandi aziende magari si cambia anche per ragioni di marketing – dice Omarini – da noi invece la ragione è piuttosto tecnica».

E poi però ci sono le considerazioni finali sul fatto che in galleria del vento si riesca anche a studiare la scia. E si scopre allora che avere una moto alle spalle ti agevola e così pure portarsi qualcuno a ruota. Lo sgradito… ospite infatti in realtà allunga la forma e a parità di superficie frontale si ha un vantaggio aerodinamico. Mai come quello di chi sta dietro, questo è chiaro, ma avendo le gambe per farlo, conviene staccarlo il più vicino possibile all’arrivo.

E poi si potrebbe studiare e misurare gli effetti della ventilazione in un velodromo si potrebbe ragionare sulla ventilazione del velodromo. Capire se i record del mondo di Tokyo siano stati frutto di un ambiente favorevole. Ragionare sulla spinta che gli atleti in gruppo girando imprimono all’aria mettendola in moto, oppure se la ventilazione forzata di un velodromo possa influenzare la prestazione stessa degli atleti. Ci sono confini ancora inesplorati e menti vivide che stanno già pensando al modo per varcarli.

La bici da corsa e le regole Uci che ne impediscono lo sviluppo

17.09.2021
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All’Italian Bike Festival abbiamo visto parecchie novità per quel che riguarda il mondo gravel, qualcosa in meno per quel che riguarda la Mtb e quasi nulla per le bici da strada. L’innovazione ha riguardato di più accessori, componenti, caschi…  Perché? La specialissima ha raggiunto lo stato dell’arte attuale? E’ una questione di marketing? Lo sviluppo non procede perché è bloccato dalle regole Uci?

Tutte questioni che abbiamo analizzato con un ingegnere super partes, Simone Omarini di Hardskin. Come sappiamo, lui è un vero esperto di aerodinamica, ma anche in fatto di materiali non è da meno.

Bianchi Oltre XR4 Jumbo
Per la Bianchi Oltre XR4 profilo dei tubi più aero: la tendenza è quella di proporre sezioni alari ma i limiti Uci non lasciano ampi margini
Bianchi Oltre XR4 Jumbo
Per la Bianchi Oltre XR4 profilo dei tubi più aero: la tendenza è quella di proporre sezioni alari ma i limiti Uci non lasciano ampi margini
Simone, partiamo dalle regole: quanto incidono?

Senza dubbio le regole Uci sono stringenti e anche un po’ arretrate. Di fatto dai tempi di Coppi e Bartali il disegno della bici è rimasto quello. Mentre nel triathlon per esempio non ci sono regole e infatti si vedono disegni differenti. Ci sono bici senza triangolo centrale, prive di piantone e propongono altre soluzioni.

Ed è più performante come tipologia di telaio?

A livello di aerodinamica? Difficile dirlo. Bisognerebbe fare dei test specifici, ma é difficile fare dei confronti. E’ come mettere a confronto le pere con le mele. Perché bisognerebbe utilizzare gli stessi manubri, gli stessi componenti e anche le stesse posizioni. Basta pensare che nel ciclismo c’è il vincolo sull’arretramento della sella, sull’altezza e lunghezza delle protesi e nel triathlon no.

E dove si può fare innovazione?

Beh, in pista c’è dell’innovazione, almeno per quel che concerne l’aerodinamica. E’ la F1. Mentre la F1 dei materiali e dei componenti è la Mtb. Per esempio i freni a disco, il monocorona le gabbie lunghe dei deragliatori vengono da lì. Ecco, un’innovazione che personalmente mi piaciuta molto su strada sono stati i rapporti di Shimano con l’ultimo Dura Ace presentato. Loro hanno proposto il 54-40, quindi corone grosse invece che piccole. Ci guadagna la resa e la scorrevolezza della catena che ha meno attrito girando su corone più grosse. Anche perché con le 12 velocità e i pacchi pignoni 11-32 vai praticamente ovunque.

I materiali attuali sono ancora migliorabili? Oppure, viste le necessità i tipi di carbonio attuali sono più che sufficienti?

In realtà il vero nome di questo materiale sarebbe composito, che noi volgarmente chiamiamo carbonio. Composito perché è un insieme di varie tipologie di fibre, tenute insieme da delle resine. Ma questo materiale non è isotropo, a differenza dei metalli, cioè non reagisce allo stesso modo se tirato o compresso in direzione diverse da quella dell’orientamento delle fibre. Per questo motivo si mettono più strati di carbonio uno sull’altro, con direzione delle fibre diverse, per renderlo più resistente e più simile ad un materiale isotropo. Il composito è molto resistente, leggero e rigido ed è per questo che è adatto ai telai da bici da corsa.

Quello che noi chiamiamo carbonio è un composito di fibre (in foto) e resine
Quello che noi chiamiamo carbonio è un composito di fibre (in foto) e resine
E quindi come si riconosce un buon composito?

Deve avere alta resistenza e alta elasticità, il giusto mix tra queste due caratteristiche che a loro volta dipendono dalle resine, che lo devono rendere un pezzo unico, e dall’orientamento dei fogli di composito: 45°, -45°, unidirezionale…

Secondo te c’è margine di miglioramento?

Sicuramente c’è margine, perché oggi la priorità è quella di arrivare a produrre telai in modo efficiente, veloce e a basso costo. Si lavorerà sempre su fibre e resine per ottimizzare i processi produttivi, garantendo la qualità del prodotto finito. Sicuro oggi c’è un limite, che è lo stampo e quindi di fatto che i telai sono disponibili in taglie, senza troppa possibilità di personalizzazione. Sarebbe bello avere dei telai personalizzabili, come geometrie intendo, poiché dovrebbe essere il telaio ad adattarsi alle esigenze del ciclista e non viceversa.

Però questo si può fare con un telaio fasciato…

Sì, ma resta un prodotto di nicchia come alcuni metalli, vedi il titanio, acciaio o alluminio. Sicuramente è possibile fare un telaio artigianale su misura, ma pesi ed aerodinamica sono spesso lontani da un telaio standard.

E di base un telaio fasciato è meno performante di uno monoscocca?

Se è ben fatto, no.

Partendo dai disegni attuali come si potrebbero migliorare le bici?

A livello di aerodinamica con un diverso profilo dei tubi. Un profilo più alare. Ma ci sono delle regole Uci che limitano i rapporti tra sezione e lunghezza dei tubi. Pertanto fin che ci saranno queste norme è difficile vedere qualcosa di diverso da quello che vediamo oggi.

Nell’efficienza aerodinamica del “pacchetto” (bici + atleta) incide moltissimo la posizione, ma anche questa è inficiata dalle regole Uci
Nell’efficienza aerodinamica del “pacchetto” (bici + atleta) incide moltissimo la posizione, ma anche questa è inficiata dalle regole Uci
Oggi molti costruttori propongono due modelli: uno più aero e uno per la salita…

Vero, ma ormai vedo che si va verso la bici unica. Ormai il peso è limitato anche per bici aero. Quindi si ha un compromesso tra peso ed aerodinamica.

Dal punto di vista aerodinamico la bici è un oggetto efficiente?

Se i tubi non fossero tondi, sì. Servirebbero dei profili alari per i tubi del telaio, e manubri per governare meglio le turbolenze a valle. E poi l’efficienza aerodinamica va considerata anche con il ciclista e la sua posizione. Ecco io lavorerei molto sulle posizioni. Il vero guadagno si ha lì perché il ciclista occupa tanta area frontale.

E quanto possono essere migliorate in percentuale l’aerodinamica e la posizione?

A crono, fino ad un 10-13% rispetto a chi non ha grandi studi alle spalle. Ovviamente non per un Ganna o un Dennis, perché da anni studiano ed ottimizzano la posizione. Su strada è più difficile da stabile. Si parte sempre dalla posizione dell’atleta, mani alte, mani basse… Ma anche dall’insieme dei componenti: bici, casco, scarpe, vestiario, ruote… anche perché magari il margine di miglioramento è più piccolo, ma si protrae per tanti chilometri. Pensiamo alla Sanremo: anche se piccolo, un miglioramento su 300 chilometri fa risparmiare tantissime energie a fine gara.

Con Hardskin vediamo come nasce un body aerodinamico

20.08.2021
6 min
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Torniamo sulla tecnica. Ormai sappiamo che nulla è lasciato al caso, che tutto è più curato in ogni dettaglio. Soprattutto quando si parla di aerodinamica ogni millesimo conta e quello che abbiamo scoperto parlando con Simone Omarini, ingegnere meccanico e super esperto in materia, è che il vestiario incide moltissimo. Omarini ci mostra come si lavora in Hardskin, azienda specializzata proprio nell’abbigliamento supertecnico ed aerodinamico (ma non solo).

Quando si va in galleria del vento il prodotto deve essere in uno stato molto avanzato. E se qualcosa non va… si ricomincia
Quando si va in galleria del vento il prodotto deve essere in uno stato molto avanzato. E se qualcosa non va… si ricomincia

Aerodinamica fondamentale

«L’idea di un abbigliamento tecnico – spiega Omarini- nasce dal fatto che l’aerodinamica conta per il 90% della potenza erogata dal ciclista. Poter controllare l’abbigliamento che lo stesso ciclista indossa è un vantaggio sensibile. Se pensiamo che a 40 all’ora l’aerodinamica incide per il 90% dello sforzo e a 50 all’ora passa a 95- 96%, va da sé che ridurre l’impatto aerodinamico è fondamentale. Ma come?

«L’altra volta quando parlavamo dei manubri abbiamo detto che il ciclista è l’insieme dell’atleta più la bici. Ebbene, la prima cosa su cui lavorare è la posizione del corridore, la seconda è come viene vestito il corpo umano».

Le rugosità della pallina golf le consentono di arrivare più lontano perché più aerodinamica
Le rugosità della pallina golf le consentono di arrivare più lontano perché più aerodinamica

Obiettivo, ridurre la scia

A questo punto Omarini fa un discorso più in generale sull’aerodinamica. E più precisamente sugli studi delle forme che portano poi alla nascita del body.

«Il corpo umano può essere paragonato ad una forma tozza, parlando in termini di aerodinamica. Non è una forma allungata o alare. E il modo migliore per rendere aerodinamici questi corpi tozzi è migliorarne la superficie. Come? Con delle rugosità. Che poi è lo stesso concetto della pallina da golf, che ha dei tondini più profondi, delle fossette che “energizzano il flusso”. Noi dobbiamo pensare che mentre pedaliamo siamo in un oceano di aria e più la scia che lasciamo è piccola e più l’impatto aerodinamico sarà minore. Pertanto, l’obiettivo è la riduzione della scia, questo significa che c’è meno differenza di pressione tra monte (alta pressione, aria frontale all’atleta) e valle (bassa pressione, area in uscita ed alle spalle dell’atleta). Se riduco la scia a valle, cioè la zona in bassa pressione alle spalle dell’atleta, la resistenza aerodinamica sarà minore».

In tutto non va dimenticato l’impatto frontale che più è piccolo e meglio è. E torniamo al discorso di prima: la cosa più importante è avere una buona posizione del ciclista. Una volta raggiunta questa posizione si va a lavorare sul vestiario e le scie. E ancora: una volta ridotto l’impatto frontale, si cerca di creare un tutt’uno con il resto del corpo, per quanto possibile. L’esempio più classico è creare un continuum tra casco schiena.

Hardskin all’avanguardia

Fatto questa doverosa introduzione per far comprendere meglio l’argomento di base, andiamo a vedere come nasce un body aerodinamico e nello specifico un body aerodinamico di Hardskin. Ore ed ore di lavoro. Si parte da un foglio bianco (visto che l’azienda è giovane ed ogni progetto è nuovo), si stabiliscono le caratteristiche che si vogliono creare e sulla base delle conoscenze e delle esperienze si lavora con tessuti, macchinari e galleria del vento.

«I punti più importanti sui quali siamo concentrati sono le zone tonde (spalla, manica e coscia) e le cuciture – riprende Omarini – In particolare sulle forme tonde è stato importante introdurre quelle rugosità che energizzano il flusso. Anche le cuciture sono importanti, soprattutto per i body più specifici come quelli per la pista o per la crono. E sono ridotte al minimo. Proprio questi body non hanno tasche, comprimono molto e tendono a chiudere le spalle. Non sono confortevoli quando si sta in piedi, ma debbono esserlo quando si sta in bici. Se ci facciamo caso, prima di una crono si vedono i corridori con le cerniere aperte sul petto. Sono body che comprimono molto, sono pensati per una determinata posizione, inoltre essendoci pochissimo materiale sulla pancia è anche difficile distendersi correttamente.

«Un body con queste caratteristiche ha un coefficiente aerodinamico migliore del 3-4% rispetto alla media. Ma questa percentuale può arrivare anche al 7% rispetto ad un body o ad un abbigliamento di bassa qualità, che in uno sforzo di un’ora si traduce in minuti. Spesso si pensa che sia esagerato intervenire sul vestiario, ma il vantaggio è tangibile. Per fare un paragone, quando si sostituiscono le pulegge del cambio con quelle oversize il guadagno è davvero minimo».

Due modelli per il ciclista…

In Hardskin ogni colore corrisponde ad una disciplina. L’arancione per le specialità più veloci (pista e crono), il verde per il triathlon, l’azzurro per il ciclismo classico, ma tutti i capi hanno un taglio aero.

Lo Strouhal Aerosuit TT LS è il body top di gamma. E’ da prestazione pura, anche grazie alle maniche lunghe, una delle parti che incide di più. Questo body riassume tutte le caratteristiche che abbiamo elencato prima: compressione, poco materiale sul ventre, assenza di tasche, cuciture al minimo, materiale non troppo elastico per chiudere in modo corretto le spalle ed agevolare l’atleta a stare nella posizione da crono.

Il Reynolds è più o meno il corrispettivo dello Strouhal ma a manica corta. Resta un body molto aerodinamico. La cerniera arriva fin sopra l’ombelico e anche questo aspetto lo rende più versatile, tanto che può essere utilizzato sia per le gare più lunghe che per un allenamento, in quanto la la parte superiore si apre esattamente come una maglia. In più ha le tasche. Senza contare che con questo body posso stare eretto normalmente. Rispetto allo Strouhal il materiale è più traspirante.

Hardskin al vertice anche nel triathlon: ecco il Von Karman Arosuit Tri a manica corta
Hardskin al vertice anche nel triathlon: ecco il Von Kármán Arosuit Tri a manica corta

E uno per il triathleta

E poi c’è un terzo modello proposto da Hardskin: il Von Karman, specifico per il triathlon. La prima cosa che lo differenzia sono le cuciture, specie sulla spalla che deve essere più libera pensando alla frazione di nuoto. Il tessuto sulla spalla è lo stesso dei due precedenti in quanto la frazione in bici è piuttosto lunga e l’aerodinamica conta molto. Mentre la parte del dorso e della schiena sono più elastici e il materiale si “muove” in quattro direzioni. Non sono stati fatti troppi studi idrodinamici in quanto i triathleti utilizzano la muta che dice Omarini: «E’ esageratamente più performante del body in acqua (il body viene indossato sotto la muta)».

Il Von Karman è volutamente ottimizzato per la frazione in bici (la più lunga), dove è possibile guadagnare parecchi secondi o minuti, ma consente anche di risparmiare energie nella frazione di corsa. Ad esempio, pensando ad una frazione di bici di 70 chilometri percorsa ad una media di 38 all’ora, il miglioramento in termini di tempo indossando un body aero è calcolato intorno ai 2′, con un risparmio di circa 12-15 watt.

La tecnologia di Hardskin e il manubrio 3D dei quartetti azzurri

15.08.2021
6 min
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Millimetri, millesimi. Spazio e tempo. Bici e atleta. Torniamo sul quartetto delle meraviglie di Tokyo 2020. E lo facciamo da un punto di vista tecnico. Con Simone Omarini, ingegnere di Hardskin, scopriamo come sono nati gli ormai famosi manubri 3D. O meglio ancora, cosa c’è a monte della loro realizzazione.

Simone Omarini ha seguito anche lo sviluppo dei manubri per le ragazze
Simone Omarini ha seguito anche lo sviluppo dei manubri per le ragazze

Omarini: ingegnere, corridore.

Simone è un ingegnere meccanico. Si è laureato al Politecnico di Milano e lì è rimasto per quattro anni a fare ricerca. La galleria del vento era la sua seconda casa e questo gli ha permesso di acquisire una conoscenza ed un’esperienza enormi. Negli anni infatti ha lavorato con campioni e aziende di vertice in ambito aerodinamico. In più lui aveva il vantaggio di essere un (fresco) ex corridore e pistard, e questo ha agevolato non poco le cose.

«Esatto – ha detto Omarini – anche sul piano del linguaggio, del modo di comprendersi. Ero l’ingegnere, ma anche il corridore. Sapere cosa prova un atleta e cosa deve fare durante dei test è importante. La collaborazione con il quartetto passa attraverso il contatto con Pinarello. Essendo slittate di un anno le Olimpiadi si sono avuti dei mesi in più per ragionare meglio sul quartetto. E così siamo stati chiamati dall’azienda trevigiana per svolgere queste scansioni 3D ai ragazzi, ma anche alle ragazze, sempre del quartetto».

Sulla pelle e sul body si notano i riflessi dello strumento che esegue la scansione
Sulla pelle e sul body si notano i riflessi dello strumento che esegue la scansione

Precisione totale

«Per arrivare al manubrio finale, il primo passo è la scansione 3D. Siamo stati a Montichiari e lì, nel centro dell’anello, abbiamo colto l’occasione della presenza di tanti atleti tutti insieme e abbiamo iniziato le scansioni.

«Il momento “critico” è la taratura dello strumento che esegue la scansione. Questo ha bisogno di una luce particolare, che non sia troppo diretta su nessuno dei lati dell’atleta, ma neanche troppo bassa. Lo strumento è talmente preciso che rileva anche le rugosità del body, ha un’accuratezza di 0,1 millimetri. Una volta tarato, si gira attorno all’atleta e lo strumento esegue tantissime foto al secondo. Il risultato è una nuvola di punti, milioni o miliardi di punti… dai quali poi emerge il file 3D finale, dopo un’attenta fase di post-produzione a PC, che è ciò che fornisce Hardskin al costruttore (Pinarello, ndr)».

Dalla scansione derivavano tanti punti dai quali trarre il file da dare poi al costruttore
Dalla scansione derivavano tanti punti dai quali trarre il file da dare poi al costruttore

Hardskin e il dettaglio

Omarini spiega come ogni cosa sia pensata e studiata per ottenere il massimo. Gli atleti prima di posizionarsi sulla bici, la stessa che poi hanno utilizzato a Tokyo, eseguivano un riscaldamento per avere una posizione che fosse il più possibile vicino a quella che avrebbero mantenuto in gara. Non bisogna essere né stanchi, né freddi e la scansione inizia quando l’atleta di sente perfettamente in sintonia sulla bici.

Ogni scansione durava circa un minuto. E in questo lasso di tempo l’atleta doveva restare immobile. Indossavano body, caschi, scarpe, guantini se necessario… esattamente come in gara.

«A lezione – riprende Omarini – ai miei ragazzi dicevo sempre che il ciclista è una macchina perfetta, in cui l’atleta è il motore, ma è anche carrozzeria (aerodinamica) e pilota (posizione comoda ed efficiente per spingere e guidare la bici). Bisogna trovare il giusto compromesso fra tutti questi elementi. Perché io posso rendere la posizione ancora più aero, ma se poi il corridore non rende a cosa serve? Piuttosto ogni posizione o cambiamento devono essere allenati, perché all’inizio può risultare scomodo, ma poi ci si può abituare».

Scansioni a febbraio

Queste scansioni sono state fatte a metà febbraio (e noi c’eravamo). Dopo una settimana di lavoro ecco arrivare i primi file 3D a quel punto la palla è passata a Pinarello che alcune settimane prima di Tokyo è riuscita a fornire i manubri alla nazionale. A quel punto però non c’era più tempo per eventuali modifiche?

«E’ sconsigliato fare modifiche prima di una competizione importante, sicuramente qualche aggiustamento si può fare, ma non modifiche sostanziali, non sarebbero poi efficaci».

E così fatta la scansione, come detto, è toccato a Pinarello. La realizzazione dei pezzi si poteva fare sia in carbonio che in titanio.

«Ai fini aerodinamici – dice Omarini – non cambia assolutamente nulla. Posso dire che il carbonio, una volta realizzato lo stampo… quello resta, in termini di geometria. Il titanio ti consente di realizzare pezzi diversi, se stampato in 3D. Quello che varia è la rigidità. Sono entrambi due materiali molto rigidi, ma questo dipende soprattutto da come vengono lavorati, dalle geometrie e dagli spessori».

Manubrio 3D e stessa procedura anche per le ragazze del quartetto. Qui: Balsamo, Guazzini, Barbieri e Paternoster
Manubrio 3D e stessa procedura anche per le ragazze del quartetto. Qui: Balsamo, Guazzini, Barbieri e Paternoster

CFD, il vantaggio di Hardskin

E a proposito di costi, il vantaggio di poter eseguire delle scansioni alla lunga va ad incidere proprio sui costi. Infatti, un conto è lavorare con scansioni 3D e modelli di calcolo (CFD, Computational fluid dynamics) e un conto è andare ogni volta in galleria del vento.

«Con un modello numerico validato sperimentalmente, ogni volta posso testare nuovi prodotti e posizioni e vedere l’efficacia aerodinamica, senza scomodare l’atleta o la galleria del vento. Posso poi fare stima della prestazione dell’atleta in gara. Oggi conosciamo i wattaggi dell’atleta, sapendo poi le condizioni del vento, le resistenze al rotolamento… si può calcolare la durata della gara, la velocità media e si può calcolare il dispendio energetico. Tutto ciò permette di fare delle scelte accurate prima della prestazione. Per esempio quali ruote utilizzare o quale body indossare. Se per il quartetto so che farò 64 chilometri orari di media, utilizzerò (e creerò, ndr) un body che sia performante a quella velocità. Nel triathlon invece si va a 40 all’ora ed utilizzerò un body che sia performante a 40 all’orari. Oggi con i dati che si hanno si può predire il futuro e di conseguenza fare le scelte giuste.

«In Hardskin – conclude Omarini – la scansione 3D consente non solo di concentrarsi sul manubrio e quindi su una parte del sistema, ma sul connubio “bici + atleta” per renderlo più aerodinamico. L’obiettivo è un modello CFD completo che sia di supporto alla progettazione e allo sviluppo di telai, ruote, caschi…».

Anche a 40 di media, ci sarà da battere il vento. Ecco perché

27.07.2021
6 min
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E’ da un po’ che si ragiona sulla cronometro di Tokyo e adesso che manca davvero poco per dare un peso ai pronostici, il discorso si sposta anche sul piano tecnico. Malori l’ha detto chiaro: la crono dovrebbe essere un esercizio di velocità, premiando gli specialisti e le migliori dotazioni tecniche. Se invece, come a Tokyo per la gara maschile, la crono diventa una prova di resistenza con più salite e discese che pianure, qual è l’impatto del pacchetto aerodinamico? Conta ugualmente tanto infilarsi bene nel vento?

Vento, il primo nemico

Ci siamo voluti togliere la curiosità bussando nuovamente alla porta di Simone Omarini, responsabile prodotto di Hardskin, che fino a qualche anno fa lavorava come ingegnere meccanico presso la galleria del vento del Politecnico di Milano.

«Ovviamente – dice entrando subito nel tema – conta tanto la velocità media di cui si parla, ma anche a 40 km/h la principale resistenza all’avanzamento è aerodinamica. Se la pendenza è contenuta, facendo un bilancio energetico, ci si rende conto che la resistenza aerodinamica è il fattore più importante da vincere. Il ciclista deve fare i conti con il vento. Circa il 90 per cento dell’energia spesa dall’atleta serve a vincere la resistenza aerodinamica. E se il vento è laterale, bisogna capire in che modo si opponga all’avanzamento. Lo scopo di ogni studio e lavoro in questo campo è ridurre la resistenza aerodinamica».

Neppure Van Aert è uno specialista, ma in bici è perfetto. In apertura Remco Evenepoel
Neppure Van Aert è uno specialista, ma in bici è perfetto. In apertura Remco Evenepoel
Si passa sempre dalla galleria del vento?

In realtà, ci sono tre possibilità. Si può procedere con l’analisi numerica. Si può andare in galleria del vento. Oppure ricorrere a test su campo, ad esempio in velodromo.

Differenze?

Per la prima non usi l’atleta, se non per una scansione 3d iniziale in assetto da gara, ma servono computer o server di calcolo molto potenti. Inserisci l’atleta, gli “spari contro” un vento computerizzato e vedi cosa succede. Non sono simulazioni veritiere finché non sono validate in galleria del vento o in velodromo. Una volta che però hai un modello validato, puoi usarlo per valutare componenti e situazioni. o per progettare nuovi materiali

Il percorso di Tokyo è troppo duro per Ganna? Se è in condizione, se la gioca. Guardate quelle righe sulle maniche…
Il percorso di Tokyo è troppo duro per Ganna? Se è in condizione, se la gioca. Guardate quelle righe sulle maniche…
La galleria del vento?

E’ la più veritiera. Controlli il flusso, la temperatura, l’angolo di incidenza del vento. Hai tutto sotto controllo e puoi simulare le situazioni di gara. Se la galleria è anche grande abbastanza da contenere la scia a valle dell’ultimo atleta, puoi testarci un quartetto intero. Sotto all’atleta si mette una bilancia dinamometrica che permette di valutare tutte le forze e le coppie che agiscono. Tenendo conto della direzione e della velocità del vento e della densità dell’aria, si calcola la resistenza aerodinamica, moltiplicando il coefficiente di drag per l’area frontale. In velodromo queste cose puoi farle, ma spesso non hai la ripetibilità del test. Basta che cambino la temperatura, l’umidità, la resistenza e la densità dell’aria e non hai più le variabili costanti fra i vari test fatti.

Pogacar non è uno specialista, ma se il percorso è duro se la cava con la forza
Pogacar non è uno specialista, ma se il percorso è duro se la cava con la forza
Una volta che si è fatto il test base, come si procede?

Fai le varie comparazioni, misurando lo scostamento che si determina usando body, caschi, ruote e componenti diversi. Ogni atleta fa storia a sé. In questo modo ci si rende conto che lo stesso body, ad esempio, può essere più veloce su uno piuttosto che su un altro. Per questo a volte ti accorgi che lo specialista usa un materiale e lo scalatore ne usa un altro. Si parla di differenze minime, i famosi marginal gains, che richiedono di ripetere più volte il test.

Stessa cosa per il casco?

Il casco deve coniugarsi bene con la postura dell’atleta. Un corridore molto fermo e grande può usare un casco largo e con la coda lunga. Un atleta magro, che magari si muove tanto perché guarda spesso il computerino, andrà meglio con un casco senza una grande coda.

Dennis ha vinto il mondiale 2019 su un percorso molto duro
Dennis ha vinto il mondiale 2019 su un percorso molto duro
Stessa cosa per il manubrio?

Certamente, ascoltando l’atleta. Determini l’altezza delle protesi e la loro larghezza. Fai serie di spostamenti, anche significativi, ma devi sempre passare per il feedback dell’atleta. E’ lui che deve esprimere la potenza necessaria per vincere la resistenza aerodinamica e sempre lui deve guidare la bici. Per cui si studia la posizione, poi gli si dà il tempo di allenarsi e alla fine si ripete il test.

Questo significa che a volerla fare bene, si potrebbe creare un body in base alla velocità stimata?

Esattamente. Lavorando sui tessuti si può fare proprio questo. Ci sono team WorldTour che cambiano materiale in base al percorso che dovranno affrontare. E vi do per certo che è proprio l’abbigliamento che risente maggiormente delle variazioni della velocità media.

Nella crono di Tokyo vedremo in mischia anche Dumoulin, 44° nella prova su strada
Nella crono di Tokyo vedremo in mischia anche Dumoulin, 44° nella prova su strada
Su cosa si interviene per variare l’abbigliamento in base alla velocità?

Dato che il corpo umano è di base un corpo tozzo, coprendolo di tessuto puoi controllarne la penetrazione. Si fa variando la rugosità del tessuto. I buchetti sulla pallina da golf nascono da studi simili, perché si è capito che la pallina in quel modo è più veloce nel vento. Con i body è lo stesso. Si sceglie una velocità media e si valuta il tessuto. Se poi ci sono altri fattori, come ad esempio il grande caldo, si inseriscono fibre come il grafene che dissipano meglio il calore, soprattutto nelle crono. Per cui anche se andranno più piano, l’aerodinamica avrà certamente il suo peso. Sicuro!