Per Taaramae un ritiro speciale, nel cuore dell’Africa

13.11.2022
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Rein Taaramae è una colonna dell’Intermarché Wanty Gobert. Una sorta di regista in corsa, che gode della massima stima da parte di Valerio Piva e di tutto lo staff del team. Ma Taaramae è anche un personaggio molto sfaccettato, che cerca di prendere dal ciclismo molto altro, a livello di esperienze e sensazioni, rispetto a quello che una gara può semplicemente dare. Da qualche anno il corridore estone è una sorta di testimonial del progresso ciclistico africano. Da anni si reca in Ruanda per preparare la stagione. Con il Paese ha stretto un rapporto che va molto al di là di quanto normalmente avviene per i campioni del pedale.

Interpellato sul tema proprio mentre era in ritiro prestagionale a titolo completamente personale, Taaramae si è ben prestato alla chiacchierata. E’ diventato quasi un inviato sul posto, preoccupandosi personalmente della parte fotografica. Per trasmettere attraverso parole e immagini il profondo legame che ormai lo lega a quella parte di mondo.

I paesaggi dove Taaramae si allena sono incantevoli e tutti a una grande altitudine
I paesaggi dove Taaramae si allena sono incantevoli e tutti a una grande altitudine

«La prima volta che sono stato in Ruanda è stato nel 2019, per il locale Tour con il team TotalEnergies – ricorda – Non sapevo affatto che cosa mi aspettava, temevo soprattutto le difficoltà legate al cibo: mangerò 10 giorni solo riso in bianco perché probabilmente la gente non ha nient’altro. Nella mia mente avevo l’Africa dei pregiudizi: molto caldo, pessimi hotel e sicuramente nessuno parla inglese. La realtà era l’esatto opposto: Paese tropicale pulito, temperature per lo più 20-25 quindi non troppo calde. La maggior parte delle persone comunica un inglese migliore rispetto all’Italia o alla Francia. Sono molto gentili e onesti e anche gli hotel e il cibo sono buoni. Basta avere piccole accortezze: non mangiare insalata fresca, che è deliziosa ma semplicemente non va bene per il nostro corpo e non bere l’acqua del rubinetto».

Che percorsi hai trovato in Ruanda?

Ci sono abbastanza strade per allenarsi. Le condizioni stradali sono molto buone, senza buche, larghe e belle. Il paese dove risiedo è collinare ma la maggior parte delle salite dura 10 -30 minuti, qualcuna anche di più. Le pendenze sono limitate, mai più del 6 per cento, ma la sua altitudine ricorda un po’ la Colombia. In pratica l’altezza media è sempre di circa 2.000 metri, come una cima dello Stelvio senza scalare troppo… Il vantaggio è che non hai problemi con le auto come nella maggior parte dei Paesi europei. Guidano a una velocità di circa 50-70 chilometri orari perché qui l’auto è costosa e non vogliono davvero rovinarla. Inoltre ci sono molti autovelox e agenti di polizia e le multe sono salate.

In Ruanda le strade larghe sono un grande vantaggio e gli automobilisti sono molto disciplinati
In Ruanda le strade larghe sono un grande vantaggio e gli automobilisti sono molto disciplinati
Ci sono pericoli?

Per pedalare qui bisogna guardare sempre davanti! Perché c’è sempre un sacco di gente a lato della strada, tanti ciclisti occasionali che a volte attraversano la strada senza guardare. Hanno un’abitudine molto bella qui, puoi sempre guidare in mezzo alla strada senza spaventarti che qualche macchina ti investa. Quando arrivano dietro di te fanno solo un colpo di clacson, nessuno si arrabbia con i ciclisti qui sulle strade.

Per quanto tempo rimarrai ad allenarti lì e sei da solo o con altre persone?

In realtà nel 2019 ho scoperto che il suo posto ideale per fare un training camp in quota, a 100 chilometri dal capoluogo è il paese di Musanze. C’è un piccolo centro speciale solo per il ciclista, con rifugi e ristorante dove il cuoco ti prepara tutto ciò che chiedi con tutti i servizi necessari per ciclisti, meccanici, lavanderia. Ero stanco di andare ogni anno nella Sierra Nevada in Spagna, magari per rimanere in camera perché c’è neve o cadere per il ghiaccio. Qui non abbiamo questo tipo di problemi. Un grande vantaggio è che il viaggio non è così lungo. La mattina prendi il volo in Europa e la sera sei a Kigali, senza cambi di fuso orario. Ora sono qui con mia moglie, è la campionessa estone a cronometro e possiamo guidare facilmente insieme e goderci il “bikepacking”. Rimaniamo 10 giorni e facciamo 700 chilometri in giro per il Paese, da un posto all’altro.

In quest’occasione l’estone è partito con sua moglie Hanna Caroline, campionessa nazionale a cronometro
In quest’occasione l’estone è partito con sua moglie Hanna Caroline, campionessa nazionale a cronometro
Sei molto impegnato anche nell’aiutare la popolazione locale: cosa hai portato quest’anno?

Sono stato qui a gennaio e ho incontrato i ciclisti locali, sembrava che avessero tutto, in forma, bei vestiti, belle bici… ma poi vado in giro con il mio amico e il primo giorno aveva una gomma a terra perché entrambe le gomme erano già completamente usate, poi ha rotto la catena perché era troppo vecchia, un altro dice che non può guidare perché aveva solo un paio di vestiti e li ha rovinati… Poi parlo con gli allenatori dei club locali e mi hanno detto che avere il materiale è un grosso problema in Ruanda. Quindi ora vengo qui con 4 grandi bagagli con circa 75 chili di cose usate e nuove.

Dove le prendi?

Le squadre WT buttano tanto materiale riutilizzabile, ad esempio con casette e catena quando in squadra non si usano più, sono validi per 10.000 chilometri di allenamento, lo stesso con tutte le altre cose, borracce, abbigliamento… Io raccolgo il possibile, ma l’Uci può fare qualcosa in questo senso. Basta contattare tutti i team e, ad esempio, supportare una squadra con cose vecchie di un Paese africano, può essere davvero importante per le immagini della squadra e per l’intero ciclismo locale.

Parte del materiale portato dall’estone in Ruanda e distribuito fra i ciclisti locali
Parte del materiale portato dall’estone in Ruanda e distribuito fra i ciclisti locali
Cosa significa per te essere in grado di aiutare il popolo ruandese?

E’ qualcosa che devo alle mie radici. Quando ho iniziato a pedalare negli anni ’90, l’Estonia era un Paese povero, era difficile avere un abbigliamento nuovo e buono e altro materiale. Ora è giusto che mi adoperi per chi è nella mia condizione di prima.

In Ruanda si faranno i mondiali del 2025: pensi che sarà pronto per organizzare un evento così importante?

Penso di sì, hanno buoni hotel nella capitale, anche le strade sono buone. Mi fa un po’ paura che alla gente piaccia andare in bicicletta e nelle gare ci sono migliaia di persone vicino alla strada, se c’è più pubblico nel mondo non è facile tenerli lontani dalle strade. L’organizzazione di Eanyway Td Rwanda era quasi perfetta, quindi perché non può essere lo stesso nel 2025.

Per Taaramae una stagione 2022 poco fortunata, con 8 Top 10 e il titolo estone a cronometro
Per Taaramae una stagione 2022 poco fortunata, con 8 Top 10 e il titolo estone a cronometro
Eri soddisfatto della tua ultima stagione e cosa ti aspetti dalla prossima?

Sono stato abbastanza bene per tutta la stagione, penso di aver fatto davvero un buon lavoro per la squadra. Personalmente mi rammarico per due vittorie sfuggite di poco, la terza tappa sulla cima dell’Etna al Giro e la terza frazione della Vuelta. Fino a quando non sei un atleta puoi fare il tuo lavoro in modo scadente, ma a volte anche i bravi lavoratori hanno bisogno di avere la loro giornata, io non ce l’ho avuta. La prossima stagione è un po’ diversa, solo un grande tour e molte gare settimanali. Spero che tutto vada con un po’ più di fortuna.

Nel 2025 compirai 38 anni: quando ci saranno i mondiali, speri di esserci?

Fino a quando avrò lo stesso atteggiamento e una buona squadra, continuo. A 35 anni prendi le cose anno dopo anno. Mi piace davvero e amo quello che faccio, ma non so mai quando sarà la mia ultima stagione, anche se non ho avuto una grande carriera. Se faccio un altro anno va bene, se ne faccio 5 è anche meglio!

Il Rwanda incorona “Natalino” e aspetta i mondiali

16.03.2022
5 min
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Del movimento ciclistico africano avevamo già parlato con Daniele Nieri dopo le Olimpiadi di Tokyo. Ora, dopo l’ufficialità che i mondiali del 2025 si correranno in Africa, più precisamente in Rwanda, vogliamo immergerci nell’atmosfera che attenderà i corridori. Ce la facciamo raccontare da Leonardo Canciani, diesse della Drone Hopper-Androni, reduce dal Tour du Rwanda, vinto dal team italiano con Natnael “Natalino” Tesfatsion (foto di apertura).

Doppio leader

«Lui ha vinto questa corsa due volte – inizia Leonardo – la prima nel 2020, con la nazionale dell’Eritrea e quest’anno con noi. Solitamente al Tour du Rwanda andiamo con una squadra di scalatori visto che si svolge tutta in altura e la pianura è solo un ricordo da quelle parti. Anche quest’anno, infatti, uno degli uomini di classifica era Restrepo, con l’incognita sul livello di condizione di Tesfatsion. Mentre Jhonatan aveva la maglia di leader, ha avuto un disturbo intestinale che gli ha fatto perdere dei minuti. Natnael ne ha “approfittato” portando a casa la vittoria finale, sfruttando anche la sua ottima condizione».

In Rwanda le tappe si corrono principalmente sulle strade statali che non hanno nulla da invidiare a quelle europee
Si corre principalmente su strade statali che non hanno nulla da invidiare a quelle europee

Tanta altura, poca pianura

Il discorso si sposta subito sulle piccole e grandi curiosità. Approfittiamo della disponibilità di Leonardo che ci racconta le sensazioni e le emozioni del correre in questo continente affascinante.

«Kigali, la capitale, è una città molto popolosa e moderna – continua – le sue strade sono belle. Si trova a 1.500 metri d’altitudine ed è il punto più basso di tutto il Paese. Tutte le strade che dalla città portano fuori sono in costante salita, il Rwanda è composto da tante vallate e per raggiungerle sei sempre costretto a fare due o tre salite. Kigali stessa è stata costruita su una zona collinare che rende impossibile trovare un metro di pianura».

Il Rwanda è un Paese con molte salite, è difficile trovare dei tratti di pianura
Il Rwanda è un Paese con molte salite, è difficile trovare dei tratti di pianura

Un percorso difficile

Già dalle prime parole di Leonardo si capisce come il percorso del primo storico mondiale africano sarà di non facile interpretazione. 

«Rischia di essere un mondiale davvero duro dal punto di vista altimetrico – conferma – se poi a tutto ciò si aggiunge l’altitudine diventa una gara ad eliminazione. Dal punto di vista tecnico le strade in Rwanda sono molto curate, sia quelle della Capitale che le statali sulle quali si è corso il Tour.

«Se devo immaginare un percorso per il mondiale fatico a disegnarlo (rincalza Leonardo con voce viva, ndr). Ne parlavo anche con gli organizzatori del Tour du Rwanda. Ci dicevamo che effettivamente sarà difficile pensarlo, si corre il rischio che diventi troppo duro. Anche dentro Kigali ci sono due o tre strappi sul pavè che arrivano al 20 per cento di pendenza, da un certo punto di vista sono simili ai muri delle Fiandre. Se devo immaginare un percorso, lo penso adatto a due categorie di corridori: scalatori se si fanno salite dure come il Mont Kigali oppure a corridori con grande fondo ed esplosività».

Il movimento ciclistico africano è in grande crescita, sono sempre di più i team WorldTour che prendono corridori da questo continente
Il movimento africano è in crescita: i team WorldTour prendono corridori da questo Continente

Movimento che cresce

Il ciclismo africano abbiamo imparato ad apprezzarlo grazie ai suoi atleti, uno su tutti è proprio Natnael. Ma sono molti i ragazzi di questo grande continente che hanno grandi margini di miglioramento. Ora molti corridori sono immaturi dal punto di vista tattico e tecnico ma entro il 2025 tutti noi ci aspettiamo un grande passo in avanti di questo movimento.

«I corridori africani a numeri sono da top mondiale – dice Canciani – non scherzo, Natnael fa dei valori nei test davvero impressionanti. Poi pecca di malizia tattica e questo lo penalizza, un esempio è l’arrivo di Bellante alla Tirreno. Era nel gruppo di testa con i migliori ed ha attaccato, venendo ripreso e finendo ventiduesimo. Se avesse atteso sarebbe finito nei primi dieci.

«Parlavo di questo con un giornalista sudafricano che mi ha chiesto cosa potessero fare i corridori africani per migliorare in ottica mondiale… Io gli ho detto che se alcune nazionali, come Eritrea e Rwanda ma anche Etiopia, riuscissero a correre in Europa per un paio di mesi ogni anno, imparerebbero molto aumentando la loro competitività. Immaginare un campione del mondo africano ora è difficile, ma nel 2025 chissà. Non montiamo loro la testa, ma dal punto di vista atletico ci battono a mani basse».

La gente a bordo strada era numerosa durante tutte le tappe
La gente a bordo strada era numerosa durante tutte le tappe

Bambini sulle strade

«L’interesse intorno a noi – dice ancora Canciani – era veramente molto alto. Non dico migliaia di persone a bordo strada, ma centinaia sì. Di ciclismo non sanno nulla, ma sono molto curiosi. Li vedi che si aggirano per le strade o intorno alle partenze e agli arrivi, con gli occhi pronti a catturare ogni dettaglio. I più belli da vedere erano i bambini a bordo strada, ogni volta che attraversavamo un villaggio erano tantissimi. Un fatto che mi ha fatto sorridere, ma anche riflettere, è che ogni volta che passavamo su una salita ci correvano dietro. Avevano ai piedi delle infradito o addirittura scalzi e li vedevi venire su accanto all’ammiraglia per centinaia di metri a 15-16 all’ora… La prima cosa che abbiamo pensato è stata “se gli diamo una bici chissà cosa sarebbero in grado di fare”».