MAGENTA – Il gruppo, visto da lontano, arriva sul traguardo come un’onda pronta ad infrangersi sugli scogli. Tutto si risolve in un batter d’occhio, in un colpo di reni. Attimi racchiusi nella mente di Luke Lamperti (in apertura foto LaPresse), il quale tagliata la linea bianca e non esulta. La sfida con Bruttomesso è stata così incerta da necessitare del fotofinish. Tutti i corridori fanno la stessa domanda: «Chi ha vinto?».
Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)
La stoccata di Lamperti
Sul gradino più alto del podio, alla fine, sale Lamperti, l’americano che ha imparato a fare tutto con la bici: soprattutto a vincere. Il Giro Next Gen è arrivato a Magenta, città nella quale, nel mese di giugno del 1859, si combatté la famosa battaglia, da cui partì poi l’unificazione dell’Italia. Il fatto che la corsa rosa under 23 passi in questi territori ha un bel significato ed è giusto sottolinearlo. La battaglia di oggi l’ha vinta la Trinity Cycling, i corridori di Kennaugh hanno avuto il treno migliore.
Lamperti in una recente intervista ci disse di non essere uno sprinter puro, invece oggi si è trovato a vincere la tappa più piatta del Giro Next Gen.
«E’ vero – racconta nel caos post tappa – oggi era la classica frazione dedicata ai velocisti. La squadra ha giocato un bel ruolo e negli ultimi chilometri sono stati eccellenti. Siamo riusciti ad arrivare in tre negli ultimi 500 metri, così ho sfruttato al meglio il lavoro dei compagni. In arrivi del genere bisogna sempre stare attenti, ci sono tante rotonde e molti ostacoli da superare».
La fuga ha avuto un vantaggio massimo di 8 minuti, tanti da recuperare nel finale (foto LaPresse)Lamperti con la vittoria si è messo sulle spalle anche la maglia ciclamino (foto LaPresse)La fuga ha avuto un vantaggio massimo di 8 minuti, tanti da recuperare nel finale (foto LaPresse)Lamperti con la vittoria si è messo sulle spalle anche la maglia ciclamino (foto LaPresse)
Crescita graduale
Il tema di queste prime tappe di Giro Next Gen è come certe gare vengano dominate da corridori abituati a gareggiare in contesti di alto livello. Lamperti arriva da 32 giorni di corsa, tra i quali conta ben cinque corse a tappe: tutti step che gli hanno permesso di crescere ed arrivare pronto qui in Italia.
«Fare tante corse a tappe – spiega – mi ha aiutato ad arrivare pronto a questo Giro. E’ stato molto utile correre molto ed entrare in forma gradualmente. Ho iniziato dal Gran Camino in Spagna a febbraio e sono arrivato fino al Tour of Japan di fine maggio. Correre in tutte le parti del mondo mi ha dato una grande mano, soprattutto per confrontarmi con tanti atleti diversi. E’ chiaro tuttavia che il sogno è partecipare alle grandi classiche, come Fiandre e Roubaix».
Bruttomesso, secondo con un po’ di rammarico, si è detto affamato di rivincitaAnche la Colpack di Persico, 6° sul traguardo, si è messa a lavorare per chiudere il gapBruttomesso, secondo con un po’ di rammarico, si è detto affamato di rivincitaAnche la Colpack di Persico, 6° sul traguardo, si è messa a lavorare per chiudere il gap
Bruttomesso: rimpianto e rivincita
All’ultima curva, lontana dal traguardo, Bruttomesso era nelle prime posizioni, ma la fatica fatta per rimanere a galla nel gruppo alla fine gli è rimasta sulle gambe. Il corridore del Cycling Team Friuli ha lanciato lo sprint da solo e tutto sommato questo secondo posto vale oro. Soprattutto gli è stato utile per prendere le misure.
«Secondo di poco – sbuffa – anche in rimonta, ma ho perso di mezza ruota. Oggi c’era da chiudere gli occhi e buttarsi, abbiamo fatto una lotta mai vista per le posizioni. Il finale era un po’ insidioso: con rotonde e strade strette. Sono uscito anche giusto, ma loro (la Trinity, ndr) erano in di più e si sono fatti valere. Peccato, ma ci saranno ancora due o tre occasioni per riprovarci: l’ultima a Trieste, ma anche quella di casa a Povegliano. Forse anche quella di Manerba».
«Gestire una tappa del genere in cinque non è semplice – continua – appena abbiamo visto che la fuga aveva troppo margine ci siamo messi a tirare. Ho parlato con la Colpack e la Trinity, i bergamaschi hanno messo davanti un paio di uomini, la Trinity no. Hanno preferito così ed aspettare l’arrivo».
ROVERETO – Nel 2020 grazie al dominio di Tom Pidcock al Giro U23, abbiamo imparato a conoscere la Trinity Racing: in pratica un serbatoio di talenti, molti dei dei quali sono protagonisti ora in diversi team WorldTour. Da due stagioni alla sua guida c’è Peter Kennaugh, un ragazzo che era considerato una delle stelle più promettenti fra i corridori che stavano rilanciando il ciclismo britannico.
Il 33enne nativo dell’Isola di Man nel 2012 era riuscito a conquistare su pista un oro mondiale e uno olimpico con l’inseguimento a squadre. Su strada aveva raccolto belle soddisfazioni (su tutte spiccano due tappe al Delfinato), ma meno di quelle che gli avrebbero consentito le sue potenzialità. In totale ha corso per dieci stagioni fra Team Sky e Bora-Hansgrohe, nella quale quattro anni fa decise di smettere. O meglio, inizialmente doveva essere una sorta di pausa di riflessione, ma nel giro di poco tempo divenne una scelta definitiva. Il motivo è (sempre) lo stesso dei giorni nostri: lo stress. Al Tour of the Alps abbiamo incontrato Kennaugh ed è stata l’occasione per parlare con lui sia del suo ruolo sia della sua squadra, oltretutto sempre ben riconoscibile in gruppo per effetto di maglie a piccoli rombi bianconeri.
Tablet alla mano e descrizione dei punti chiave. Per Kennaugh le riunioni sono sempre più legate alla teconologiaSciandri ha guidato Kennaugh quando era il cittì della nazionale britannica U23. Avevano una base a QuarrataLa Trinity Racing è un team continental piccolo, ma ben organizzato. Puntano a diventare professional entro due anniTablet alla mano e descrizione dei punti chiave. Per Kennaugh le riunioni sono sempre più legate alla teconologiaSciandri ha guidato Kennaugh quando era il cittì della nazionale britannica U23. Avevano una base a QuarrataLa Trinity Racing è un team continental piccolo, ma ben organizzato. Puntano a diventare professional entro due anni
Peter saresti stato ancora oggi un corridore forte e tutto sommato giovane. Sei pentito di esserti ritirato così presto?
Non ho rimpianti, sono contento della mia decisione. Devo dire la verità che ci sono stati giorni in cui pensavo e ripensavo che mi sarebbe piaciuto essere lì a gareggiare a questo livello. Poi riflettevo con calma e mi accorgevo che non mi dispiaceva aver smesso. Ero arrivato in un momento della mia vita in cui non ero più felice. Era stata una decisione a caldo, difficile, magari per fermarmi per uno o due anni. Non avevo più passione per fare risultato e così nel frattempo ho iniziato a fare questo lavoro come tecnico di giovani corridori. E stare con loro mi ricorda l’amore che avevo alla loro età e anche il motivo per il quale avevo iniziato a pedalare.
Pensi che ci sia troppa pressione nel ciclismo attuale come ci ha detto il tuo ex compagno Sagan nelle settimane scorse?
Assolutamente sì. Adesso la ricerca del risultato è molto cambiata. Ogni cosa è monitorata e si conosce, dall’allenamento a quello che mangi. Obiettivamente per me è un po’ troppo. Credo che Peter abbia ragione, ma è così che va lo sport in generale. Anzi, lo sport di adesso lo trovo completamente differente da quando sono passato io professionista. I giovani corridori attuali non riescono a notare o comprendere questa importante diversità.
Ultima vittoria. Nel 2018 Kennaugh in maglia Bora-Hansgrohe conquista il Gran Prix CeramiKennaugh trionfa all’Alpe d’Huez al Delfinato. E’ una delle sue undici vittorie da pro’Kennaugh (a destra) vince l’oro mondiale nell’inseguimento a squadre. Farà il bis alle olimpiadi di Londra 2012Ultima vittoria. Nel 2018 Kennaugh in maglia Bora-Hansgrohe conquista il Gran Prix CeramiKennaugh trionfa all’Alpe d’Huez al Delfinato. E’ una delle sue undici vittorie da pro’Kennaugh (a destra) vince l’oro mondiale nell’inseguimento a squadre. Farà il bis alle olimpiadi di Londra 2012
Per quale motivo?
Tutto è legato alla tecnologia. I ragazzi vogliono sapere tutto. Loro pensano che i risultati dipendano solo da questo. Lo vedo durante le riunioni pre-gara sul bus. Quando correvo io, bastavano meno informazioni. Prendevamo il road book e ci dicevano ad esempio dove erano i punti della salita al 10 per cento, dove si iniziava a salire o dove si scendeva e dove era l’arrivo. Ora io – dice mentre indica il suo tablet –mi trovo a dare tutte le informazioni del giorno. Su questa “app” possiamo vedere dove sono posizionate le nostre zone rifornimento oppure mostriamo foto di come sarà la strada o altre cose di questo genere. Ogni informazione per ogni singolo giorno. E’ cambiata la cultura, quasi che non esista più il diritto all’errore.
Secondo te è un bene questo aspetto?
Diciamo che adesso, con questo cambiamento, il ciclismo è diventato uno sport dove tutti possono provare a dare il loro meglio o trarre i migliori vantaggi in tanti modi. Si può sostenere lo sviluppo di questo cambiamento in una buona maniera. E in un certo senso questo è un bene perché ad esempio non abbiamo più casi di doping come prima. Ora si può puntare a nuovi obiettivi laddove ce n’è più bisogno, anche in piccole percentuali. Ricordo che quando il Team Sky aveva iniziato la sua attività, faceva già queste cose, che poi sono diventate sempre più stressanti.
Luke Lamperti esulta alla Volta Alentejo mentre il suo compagno Max Walker finisce terzo (foto Trinity Racing)La Trinity Racing ha un roster di venti atleti tutti U23 Luke Lamperti esulta alla Volta Alentejo mentre il suo compagno Max Walker finisce terzo (foto Trinity Racing)La Trinity Racing ha un roster di venti atleti tutti U23
E’ un argomento contraddittorio alla fine…
Non so dirvi se tutto ciò sia una buona o una cattiva notizia per il ciclismo ma, come dicevo prima, è lo sport che si è sviluppato così. Chiaramente il corridore ogni tanto può fare qualcosa di meno a causa dello stress. Bisognerebbe restare entro un certo limite perché altrimenti non ci si diverte più. Però attenzione, ci sono ragazzi a cui piace ricevere tante informazioni o numeri. Sono situazioni figlie delle generazioni. Io appartengo a quella di Peter (riferendosi sempre a Sagan, ndr) e insieme abbiamo vissuto questa transizione.
Il progetto della Trinity Racing invece cosa prevede?
E’ una bella domanda. Possiamo considerarci come un devo team, con la nostra filosofia ben precisa di allevare corridori. Tuttavia nei prossimi due anni la società vorrebbe diventare un team professional. Ora come ora, vogliamo far crescere i nostri ragazzi per poi mandarli nelle squadre professionistiche più importanti, come hanno già fatto molti di loro negli anni precedenti. Sto pensando a tanti programmi di corse, di allenamenti per i corridori e di altri lavori. Fare gare come il Tour of the Alps è importantissimo per noi. Ci fa migliorare davvero tanto.
Finlay Pickering, ventenne scalatore, ha cercato di fare classifica al Tour of the Alps (foto Trinity Racing)La filosofia della Trinity Racing è quella di far crescere giovani da mandare nel WorldTourFinlay Pickering, ventenne scalatore, ha cercato di fare classifica al Tour of the Alps (foto Trinity Racing)La filosofia della Trinity Racing è quella di far crescere giovani da mandare nel WorldTour
Cosa insegna Peter Kennaugh ai suoi ragazzi?
Al momento sono team manager e diesse e cerco di trasmettere con enfasi l’esperienza che ho guadagnato da pro’. Voglio mostrare loro cosa devono fare in corsa. Ad esempio al “TotA” dicevo a Pickering di stare attento per portare a casa il miglior piazzamento possibile nella generale. Ma in generale dico ai ragazzi di… chiudere gli occhi e seguire la ruota davanti a loro (dice ridendo mentre ci saluta e raggiunge la sua squadra per gli ultimi dettagli pre-gara, ndr).