Nella sua ultima intervista rilasciata a Cyclingnews ripercorrendo il suo 2022, Enric Mas si è soffermato sui problemi riscontrati in discesa, soprattutto prima e durante il Tour: «Mi sono fatto prendere dal panico – ha confessato il corridore della Movistar – avevo paura a ogni curva, così frenavo entrando in curve che puoi affrontare anche a 80 chilometri orari. E non importava quanto tempo e quanto terreno perdevo, perché in alcuni momenti faticavo anche a controllare la bici».
Mas è riuscito ad affrontare il problema con l’aiuto di uno psicologo e facendo esercizi mirati per un mese. Affrontando ripetutamente alcune discese riguardandosi poi al computer e lavorando dietro motori. Tanti spunti di discussione considerando anche che Mas non è certo il solo a soffrire le discese, c’è chi ha visto la propria carriera stoppata proprio dalla paura, con fughe vanificate curva dopo curva.
Abbiamo quindi pensato di rivedere le parole di Mas al vaglio di chi è da sempre considerato un maestro della discesa, Paolo Savoldelli che entra subito nel nocciolo della discussione parlando della “cura” adottata da Mas: «Se si tratta di affrontare discese e rivedersi può avere senso e utilità, ma seguire una moto in discesa proprio no. La moto piega in maniera differente a ogni curva, non ti dà assolutamente nulla».
Su che cosa bisogna lavorare allora?
Credo che il primo aspetto tecnico da affrontare sia la posizione in bici. Serve una posizione idonea e tutti, con i nuovi mezzi, hanno la tendenza a essere molto avanti sulla sella, cosa che non va assolutamente bene. Poi si può certamente lavorare sull’impostazione delle curve, su come usare tutta la strada per trovare la traiettoria migliore. L’intervista a Mas sottolinea però un aspetto: la paura.
Si può vincere?
Ecco, su questo ho qualche dubbio, ma sicuramente è l’aspetto maggiore sul quale lavorare. Se hai paura sbagli, è matematico, perché non sei freddo in bici, cambi traiettoria, alla fine rischi molto di più. La discesa è qualcosa che deve venire naturale.
E’ una dote, quella di saper andare in discesa, che si acquisisce da bambini, soprattutto con i giochi sulla bici, sull’equilibrio?
Sì, se si intende vincere la paura di cadere. Ma anche chi è arrivato subito alla bici da strada può riuscire, tenendo però presente un fattore importante: saper andare in discesa è innanzitutto una dote naturale, una di quelle cose che si fa anche fatica a spiegare. Io ho sempre saputo andare in discesa: ricordo che da bambini con gli amici io andavo e alla fine aspettavo sempre gli altri che finivano… Da junior, in una delle prime gare, la strada era bagnata: presi la discesa da primo della fila, pensavo di avere tutti dietro invece alla fine ero solo e con un vantaggio enorme.
Nell’affrontare la discesa bisogna avere un pizzico d’incoscienza?
No, neanche da bambini. Bisogna solo essere attenti e sapere che cosa fare. Anch’io ho avuto le mie cadute: una volta sono scivolato a 50 metri dal cancello di casa, non ho visto un sasso sulla mia traiettoria e sono volato via. L’imprevisto è sempre dietro l’angolo. C’è poi anche un fattore legato alle bici, che rispetto a quando correvo io sono molto più rigide per essere performanti e questo porta a perdere aderenza con più facilità.
Si può migliorare?
Con l’esercizio, soprattutto se si affronta da giovani. E’ importante perché in discesa sei in fila indiana e devi stare a ruota. Quello davanti può andare più veloce e allora lo perdi, oppure va più piano e allora ti fa da tappo e devi saperlo superare. Ognuno ha un suo limite, bisogna esserne consapevoli e sfruttarlo al meglio.
C’è nel ciclismo attuale un altro Savoldelli?
Se si intende qualcuno che possa far la differenza, direi di no. Io recuperavo minuti. L’ultima vera impresa in discesa l’ha firmata Jasper Stuyven alla Sanremo 2021, scendendo dal Poggio rischiò davvero tantissimo. Gli è anche andata davvero bene in qualche tratto.
Si è sempre parlato della discesa come il tallone d’achille di Evenepoel: secondo te può migliorare?
Penso di sì perché ha iniziato molto tardi ad andare in bici, per certi versi è ancora grezzo e ci si può lavorare. In sella Remco è molto rigido. Un esempio in tal senso è Froome: anche lui aveva iniziato tardi e inizialmente in discesa proprio non sapeva andare, poi si è esercitato ed era migliorato al punto che qualche volta ha anche attaccato.
In conclusione, l’esercizio deve essere qualcosa di imprescindibile per ogni ciclista?
Assolutamente, prendendolo anche come un divertimento. Io ad esempio quando mi allenavo affrontavo la picchiata da Rosetta a Lovere. C’era un tornante a U dove era obbligatorio frenare, ma questa cosa non mi andava giù. Io smettevo di pedalare, andavo giù per forza di gravità, ma volevo fare quella curva senza toccare la leva. Prova oggi, prova domani, alla fine ci riuscii e da allora non frenai più…