SWI Thrama, ecco il gioiello elvetico su due ruote

04.07.2022
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SWI lancia sul mercato Thrama, la sua prima bicicletta, destinata a soddisfare le esigenze di chi cerca un design pulito, che unisce tecnologia e materiali all’avanguardia. Una bici con un’attenzione artigianale tale da rendere ogni pezzo unico, proprio come un gioiello.

L’azienda svizzera ha scelto come brand ambassador Paolo Bettini e Luca Paolini. I due ex professionisti dal palmares mondiale, hanno contribuito alla fase di sviluppo del prodotto e per i test su strada. Un progetto ambizioso che mette al centro dei propri orizzonti l’utente e la realizzazione di un mezzo su misura pronto a soddisfare ogni aspettativa. 

Paolo Bettini e Luca Paolini hanno contribuito a sviluppare la bici con test e consigli tecnici
Paolo Bettini e Luca Paolini hanno contribuito a sviluppare la bici con test e consigli tecnici

Essenzialmente unica

L’anima di tutti i telai SWI è infatti composta esclusivamente da fibre di carbonio UD, ovvero unidirezionali. Questo materiale consiste in un pezzo continuo con filamenti orientati secondo un’unica direttrice, disposto in strati sovrapposti sottilissimi e con angolazioni diverse, per ottenere una struttura reattiva e rigida. Lo strato esterno di carbonio 3K disposto a spina di pesce invece dona alla Thrama un’estetica unica e inconfondibile. 

L’azienda svizzera dispone inoltre della UFSTM TECHNOLOGY. Questa tecnologia brevettata permette di costruire il telaio da un unico stampo, facendo dei telai SWI veri monoscocca. Grazie a queste caratteristiche è stato possibile controllare da parte dei progettisti la rigidità e l’elasticità nei punti di carico o di cedimento e allo stesso tempo ridurre il peso ai minimi termini. L’ago della bilancia infatti oscilla tra i 650 e i 760 grammi a seconda delle taglie, mantenendo il totale sempre intorno ai 6.8 kg comandanti dall’UCI.

La bici è compatibile solo con freni a disco e cambi elettronici di Shimano, Campagnolo e Sram
La bici è compatibile solo con freni a disco e cambi elettronici di Shimano, Campagnolo e Sram

Bettini approva

A metterci la faccia e a supportare la creazione di questa opera in carbonio c’è il due volte campione del mondo e campione olimpico Paolo Bettini. «Quando SWI mi ha proposto questa collaborazione ho accettato immediatamente mettendomi a disposizione del progetto. Appena ho provato la Thrama mi sono reso conto di avere a che fare con un prodotto di altissimo livello, sia dal punto di vista della performance che del comfort. Ha un design elegante e allo stesso tempo accattivante. Quello che lascia senza fiato è la reattività del telaio e la precisione di guida davvero fuori dal comune. Il segreto di questa bici va oltre a ciò che si vede, è nascosto nella sua anima, nelle sue caratteristiche tecniche più intrinseche».

Cucita addosso

SWI non è un marchio comune e sulla sua attenzione rivolta al cliente fonda la volontà di crescere e di distinguersi dalla concorrenza. La Thrama viene infatti proposta al pubblico attraverso la possibilità di prenotare online un Test Ride individuale o delle Bike Experience di gruppo. In questi momenti dedicati i clienti possono provare di persona la bicicletta e interagire con lo staff tecnico di SWI per la creazione del proprio gioiello personalizzato.

La customizzazione è alla base di questo progetto. «Il nostro approccio – dice l’ex pro’ Luca Paolini – si basa sui feedback provenienti dal cliente dopo il Test Ride dedicato, che ci permette di costruire assieme a lui la bici dei suoi sogni. Grazie alla THIN PLY TECHNOLOGYTM, una tecnologia usata in settori all’avanguardia come l’orologeria svizzera, applicata da SWI per la prima volta nel ciclismo. Siamo in grado di lavorare il carbonio partendo da strati sottilissimi che possono essere aggiunti, ruotati o tolti, per creare un telaio più rigido o più confortevole in base delle diverse necessità. In questo modo ogni cliente potrà avere una bici unica, proprio come lui».

Tutti i telai e le forcelle sono garantite a vita e l’assistenza dell’azienda è un altro pregio inconfutabile. Infatti i clienti entrano di diritto in un club esclusivo fatto di viaggi, Bike Experience uniche e lanci di prodotto dedicati.

SWI

Out Of sceglie Bettini come ambassador ciclo

11.05.2022
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Out Of è una start up davvero innovativa che si è fatta rapidamente conoscere nel mondo degli sport invernali. Di recente ha deciso di entrare nel mondo del ciclismo e per farlo ha scelto un ambassador di assoluto prestigio come Paolo Bettini, due volte campione del mondo, oro olimpico su strada ad Atene, oltre che vincitore di diverse classiche.

Il lancio ufficiale della collaborazione è avvenuto in concomitanza con l’ultima edizione del MIDO, il più grande evento internazionale dedicato al settore dell’eyewear. Nell’occasione Out Of si è presentata a pubblico e stampa con un’immagine completamente dedicata al ciclismo.

Out of ha scelto come ambassador il due volte campione del mondo Paolo Bettini
Out of ha scelto come ambassador il due volte campione del mondo Paolo Bettini

La passione di due fratelli

Out Of nasce dalla passione di due fratelli, Federico e Roberto Righi. Al momento della creazione del brand Federico si era appena laureato in Fisica mentre Roberto era ancora studente di Disegno Industriale. La passione per lo sci e la voglia di realizzare qualcosa di innovativo li hanno portati a creare il marchio Out Of. Oggi l’azienda è cresciuta e al progetto collaborano fisici, ingegneri, designer e sviluppatori che prima di tutto sono sportivi appassionati.

L’idea del fondatore Federico Righi, fisico e appassionato di sport invernali, era quella di sfruttare le sue competenze per rendere le ore sulle piste da sci ancora più confortevoli. Così, unendo le sue due grandi passioni, è nata la pluripremiata lente elettronica Irid con una piccola cella fotovoltaica integrata che alimenta un microchip e uno speciale film a cristalli liquidi. La lente è in grado di percepire la luminosità circostante, adattandosi istantaneamente alle minime variazioni di luce per fornire sempre la visione migliore. Tutto questo avviene in meno di un secondo e senza bisogno di batteria, in quanto il funzionamento della stessa dipende dall’energia solare. 

Occhiali Out Of, modello Piuma
Occhiali Out Of, modello Piuma

La scelta Bettini

Oggi Out Of ha deciso di entrare nel ciclismo mettendo a frutto tutta l’esperienza acquisita nel mondo sci. Per farsi conoscere ed apprezzare ancora di più è stato scelto come testimonial Paolo Bettini. A raccontarci le motivazioni alla base di tale scelta è Federico Righi, CEO di Out Of.

«Siamo orgogliosi – dice – di avere suggellato questa collaborazione. Paolo Bettini è un’icona del ciclismo e la sua carriera è di grande ispirazione per tutti noi. La sua attitudine verso il ciclismo è esattamente in linea con i nostri valori aziendali. L’adrenalina, la passione per le attività outdoor, la vita all’aria aperta e la libertà di evadere dalla routine. Sono tutti elementi che uniscono la filosofia del brand con una personalità vulcanica come la sua».

Dal canto suo Bettini si è dimostrato entusiasta della nuova collaborazione: «Da sempre sono attratto da tutto ciò che è innovazione e tecnologia applicata al mio sport e non solo» ha esordito. «Quando Out Of mi ha proposto questa collaborazione ne sono rimasto particolarmente soddisfatto. La tecnologia Made in Italy di questi prodotti è davvero incredibile e sono tra i più leggeri e comodi che io abbia mai indossato. Non vedo l’ora di testare personalmente tutta la linea e le prossime novità».

Questo, invece, è il modello Rams
Questo, invece, è il modello Rams

Due modelli per il Grillo

Attualmente Paolo Bettini sta utilizzando i modelli Piuma e Rams. I Piuma, come suggerisce il nome, sono leggerissimi. Pesano infatti solo 16.8 grammi. Hanno lenti fotocromatiche polarizzate che si schiariscono e scuriscono a seconda della luce ambientale eliminando i riflessi fastidiosi provocati dall’asfalto e dalle macchine.

Il modello Rams pesa 21.6 grammi. E’ dotato di lenti Zeiss per una chiarezza ottica veramente eccezionale. Presentano un trattamento Ri-Pel oleofobico e idrofobico.

La leggerezza di entrambi i modelli è dovuta alla costruzione in Grilamid infusa di fibra di carbonio. Ogni pezzo ha una percentuale di fibra diversa così da ottenere il perfetto mix tra peso e comfort.

Out of

Bettini e Garzelli ricordano la Liegi del 2002: la doppietta Mapei

24.04.2022
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Alla Liegi-Bastogne-Liegi del 2002, sul traguardo di Ans, ci fu uno degli arrivi più iconici della storia del ciclismo: la doppietta storica della Mapei, con protagonisti Bettini e Garzelli. In quella che viene definita come la “Classica degli italiani” e mai nome fu più azzeccato. Se allarghiamo l’occhio sull’ordine di arrivo si nota come nei primi 5 posti sventoli la bandiera tricolore. Dietro al duo della Mapei si piazzarono: Ivan Basso, Mirko Celestino e Massimo Codol.

Sono proprio Stefano e Paolo, che a vent’anni di distanza, ricordano quella giornata. I giorni precedenti, gli scherzi, i pensieri della sera prima e l’emozione di aver scritto un pezzo di storia, nella terra che ha accolto tanti migranti dal nostro Paese. Che nelle miniere del Belgio hanno lottato e sofferto, e per un giorno, si sono presi una gran bella rivincita: quella di vedere il Belgio inchinarsi alla forza del ciclismo italiano.

Paolo Bettini sul podio della Liegi in mezzo a Garzelli a sinistra e Basso a destra
Paolo Bettini e Stefano Garzelli sul podio della Liegi 2002

Il ricordo del “Grillo” 

«La Liegi è sempre stata una corsa speciale per me – racconta Bettini – da quando l’ho vinta per la prima volta nel 2000. Lì ho capito che avrei potuto fare grandi cose nel ciclismo, e così è stato. Nel 2002 siamo arrivati con un progetto di squadra ben preciso, Io ero l’uomo deputato a vincere, mentre “Garzo” (Stefano Garzelli, ndr) era venuto a supportarmi. Anche perché proprio lì sarebbe arrivata la seconda tappa del Giro d’Italia (tappa vinta proprio da Stefano, ndr)».

«Già dai giorni precedenti alla corsa – riprende Paolo – si respirava un’aria particolare. Durante la ricognizione del venerdì eravamo arrivati all’attacco del San Nicolas, nel pieno del quartiere degli italiani. Curva a destra, comincia la salita, e ci tuffiamo nel cuore della comunità italiana in Belgio, era pieno di bandiere tricolori, uno spettacolo immenso. Si respirava proprio la voglia di rivincita, del legame profondo che quelle persone avevano con la loro terra di origine».

22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia
22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia

E quelli del “Garzo”

Non è raro fare progetti la sera prima di una corsa così importante, un po’ per stemperare la tensione, un po’ perché sognare non costa nulla. E mai come prima di quella Liegi le parole avevano anticipato la realtà.

«La sera prima in hotel – dice Garzelli – immaginavamo la corsa, pensavamo dove attaccare e che sarebbe stato bello arrivare insieme sul traguardo. Se ci penso mi viene la pelle d’oca, un conto è sognarlo ma realizzarlo…

«Quando correvamo, la sera prima della gara si passavano tanti bei momenti insieme, si scherzava e si rideva di tutto. Capitava di parlare della corsa e di come sarebbe stata o di come speravamo potesse andare, ricordo che quella sera c’era qualcosa di magico nell’aria e così è stato».

Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003, poi ha continuato con la QuickStep fino al ritiro, avvenuto nel 2008
Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003

La corsa

«Il nostro atteggiamento in gara è stato azzardato – confessa il due volte campione del mondo –  avevamo visto che ad 80 chilometri dall’arrivo il gruppo era ancora folto. Così Stefano ed io, sulla Cote du Rosier, ci siamo guardati e abbiamo detto “meniamo!”. Abbiamo tirato fuori il primo gruppo, in cui c’erano già tanti italiani, su 30 corridori eravamo in 15. 

«Sul San Nicolas – spiega Paolo – avevo paura che Garzelli potesse saltare e che mi mettessero in mezzo. Abbiamo voluto tastare il polso dei nostri avversari e ho detto a Stefano di allungare, nessuno lo ha seguito e così ho capito che erano tutti cotti. Allora con un’azione di potenza ho deciso di riportarmi sotto, consapevole che se mi avessero seguito avrei dovuto rallentare e far lavorare gli altri. Invece, nessuno ci ha seguito e una volta insieme abbiamo “menato” fino agli ultimi 600 metri».

«In 18 anni di carriera non sono mai andato così forte come quel giorno – riprende con un entusiasmo ancora vivo Stefano – su 70 chilometri di attacco ne ho passati 40 davanti a fare l’andatura. Sulla Redoute ho fatto un bel forcing e ho scremato ancor di più il gruppetto. Sul San Nicolas, Paolo ha fatto qualcosa di davvero intelligente dal punto vista tattico. Mi ha fatto allungare e poi, visto che si sentiva ancora bene, ha allungato anche lui rientrando in solitaria». 

Tutti per uno ed uno per tutti

«In Mapei – racconta Bettini – non si sarebbero mai permessi di dirci chi doveva vincere o meno. Per questo la considero una vittoria tripla: per Stefano, la Mapei e per me. Se guardate bene le immagini si nota che io mi tolgo l’auricolare della radiolina per la parte finale, guardo Stefano e lo ringrazio con un cenno».

«Ricordo che all’ultimo chilometro – replica Garzelli – il direttore sportivo ci ha fatto i complimenti e poi ci ha detto di giocarcela. Io ero stanco e più lento in volata di Paolo, lui poi era il capitano unico di giornata e meritava la vittoria. Ho dato il cento per cento per la squadra e la mia condizione mi ha permesso di conquistare il secondo posto. Non mi sono mai tirato indietro nel lavorare per un compagno ed un amico come Paolo, questo è il vero spirito di squadra».

Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002
Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002

Un movimento cambiato

A 20 anni di distanza la Liegi ha smesso di essere la classica degli italiani, l’ultima vittoria risale al 2007 con Di Luca. Qualche piazzamento nelle ultime edizioni (il secondo posto di Nibali e Formolo rispettivamente nel 2012 e nel 2019 e poi nulla).  

«E’ un po’ la sindrome del ciclismo italiano – dice Garzelli – la generazione mia e di Bettini aveva un’abbondanza incredibile di talenti. Ora facciamo più fatica, ma non lo reputo un fatto generazionale, semmai “evolutivo”. Il ciclismo in Italia non è cresciuto di pari passo rispetto a quello estero rimanendo ancorato a certe tradizioni. La mancanza di una squadra WorldTour sicuramente ha contribuito al declino del movimento».

Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici
Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici

«Se ci pensate – prosegue – i ragazzi italiani vanno forte da junior e under e quando passano professionisti si perdono. Forse in queste categorie si spremono troppo i corridori e si cerca subito il risultato perché gli sponsor vogliono questo. Io sono passato professionista a 23 anni, ora se non passi a 20 sei considerato scarso, i ragazzi, soprattutto così giovani, sentono la pressione. La mia impressione è che la categoria under 23, in Italia, non esista più. Ora i team fanno le squadre Development, non è una novità, la Mapei l’aveva fatta 20 anni prima. Però in queste squadre i ragazzi sono seguiti con l’obiettivo, e la sicurezza di lavorare per entrare nella squadra WorldTour dopo un bel percorso di crescita. Da noi si lavora per il tutto e subito e così i ragazzi li bruci».

Uno di noi ai mondiali duathlon: vi ricordate Passuello?

14.04.2022
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Dopo aver vinto i campionati italiani ai primi di aprile, il 7 maggio Domenico Passuello prenderà parte al mondiale di duathlon a Viborg, in Danimarca. In una stessa frase i ricordi si condensano e si intrecciano. A Viborg un secolo fa si svolse il primo team building alla Riis, con i corridori della CSC (Basso, Lombardi e Peron fra loro), vestiti e armati come militari per combattere dei finti terroristi. E poi c’è quel nome, Domenico Passuello, che riporta la memoria al 2000, quando correva fra gli under 23 e agli anni successivi quando approdò alla Quick Step. Il suo nome potrebbe dire anche poco oggi nel ciclismo, ma nel triathlon è uno di quelli che contano, seguendo il cammino che prima di lui è stato di Massimo Cigana.

«Ho visto che in Danimarca ci sarà questo mondiale molto duro – spiega – e ho capito che c’era l’occasione per essere coinvolto. La Federazione mi ha dato carta bianca per la mia affidabilità degli ultimi anni e secondo me possiamo fare bene. La vittoria al campionato italiano di Pesaro è stata inattesa, perché a 5 settimane dal mondiale la condizione non era al massimo, ma insieme è stata anche una conferma. Il duathlon come pure il triathlon è uno sport molto esatto. Devi stare a 12 metri dal corridore davanti e i giudici controllano. I conti sono abbastanza attendibili. Insomma, sono fiducioso». 

Chi è Passuello?

Già, si chiederanno i più, ma chi è questo Passuello? Suo padre Giuseppe, classe 1951, era un corridore e così a un certo punto anche Domenico, livornese classe 1978, salì sulla bici e seguì tutta la trafila fino al professionismo. Lo conoscemmo ai tempi del Team Casprini, squadrone under 23 costruito da Franco Gini, con Daniele Tortoli sull’ammiraglia (due figure di spicco che non ci sono più). Un corridore di talento, un po’ incostante forse, con una decina di vittorie nei dilettanti, che nel 2002 arrivò alla Colombia-Selle Italia di Savio e l’anno dopo alla Quick Step in cui ancora correvano Paolo Bettini, Bramati e Paolini (nella foto di apertura alla Freccia Vallone del 2003).

Come fu che dal ciclismo passò al triathlon e il cammino fino alla convocazione ai mondiali di duathlon è il motivo di questo viaggio, a metà fra ricordi e futuro.

Nel 2001 Passuello ha corso alla Maltinti, vincendo 10 corse, l’anno dopo il passaggio tra i pro’
Nel 2001 Passuello ha corso alla Maltinti, vincendo 10 corse, l’anno dopo il passaggio tra i pro’
Perché lasciasti il ciclismo?

Perché dopo l’anno in Quick Step, rimasi scottato e non ho più trovato la squadra giusta. Andai all’Amore&Vita e feci anche qualche risultato, ma con biciclette che non andavano e situazioni lontane dal mondo che volevo. Certe squadre per un verso vanno ringraziate, per altri è difficile rimettersi davvero in gioco.

Iniziasti subito col triathlon?

No, passai parecchio tempo senza fare sport. E’ naturale, quando investi tutto su qualcosa, è brutto dover rinunciare sul più bello. Anche quando correvo in bici, mi piaceva andare a piedi. E un giorno mi misi a nuotare finché mi proposero di provare col triathlon. Era il 2005, si vide che avevo qualcosa di più. La corsa c’era, il ciclismo era il punto forte, il nuoto il tallone d’Achille. Uscivo sempre tardi dall’acqua e mi toccava ogni volta rincorrere. Un anno che correvo in un team spagnolo, feci secondo al campionato nazionale di Spagna. Finché cominciai a vincere i campionati italiani. E oggi che ho 44 anni, ho un rendimento migliore di quando ho cominciato.

Si può parlare di professionismo?

All’inizio iniziai a firmare dei contratti a termine. Lavoravo, ci poteva stare. Oggi, dopo qualche anno, posso dire che non ci sono risultati economici enormi, ma sono riuscito a farne un mestiere. Se fossi tedesco, sarebbe meglio. In Germania la popolarità del triathlon è inimmaginabile.

Tanto di più?

Per capirci, nonostante io abbia vinto tre Ironman, svariati campionati italiani e altri titoli internazionali, la bicicletta ho dovuto comprarmela. Il casco da crono m lo sono comprato. Le scarpe Shimano me le sono comprate. Gli integratori devo comprarli. Ho un team di Milano che mi appoggia, il Tritaly Triathlon, cui devo tanta gratitudine, ma mi chiedo perché gli sponsor non investono su un atleta che fa questi risultati? Ho mandato qualche mail in giro, ma con nessun risultato. Non posso essere io a occuparmi di marketing, io devo allenarmi e gareggiare.

Hai più partecipato a gare di bici?

Qualche Gran Fondo ogni tanto, ma solo per tenermi in allenamento. E perché a qualche sponsor tecnico fa piacere di vedermi lì.

Il mondiale può cambiare le cose?

E’ una speranza, che magari la maglia azzurra mi faccia conoscere un po’ anche in Italia. In effetti ho gareggiato tanto a livello internazionale, la gente non sa chi io sia. Vediamo se un bel risultato cambierà le cose. Di certo, nel ciclismo ci sono giornalisti e siti che se ne occupano, mentre nel triathlon la divulgazione è al minimo. Qualche articolo me lo sono scritto da solo. Qualcun altro mi ha chiesto soldi per scrivere di me.

Suo padre Giuseppe è stato professionista dal 1977 al 1986
Suo padre Giuseppe è stato professionista dal 1977 al 1986
Cosa ti resta del ciclismo?

Tantissimo, soprattutto il metodo di lavoro. L’alimentazione, il riposo, la gestione della settimana. Nel ciclismo c’è più disciplina, qui solo nella corsa si tende a essere molto scientifici. Ma c’è da studiare tanto, perché solo con le doti atletiche non sarei arrivato lontano. Nel frattempo ho preso la licenza da Ironman Coaching, che mi aiuta nella preparazione e magari servirà in futuro. Però adesso mi concentro sul mondiale. Magari il 7 maggio sarà davvero un giorno importante e in qualche modo si pareggerà il conto.

BikeandTaste, in sella alla scoperta dell’Italia con un click

20.02.2022
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Il panorama delle esperienze ciclistiche in Italia è vastissimo e i territori che si possono scoprire altrettanto. BikeandTaste è il portale che le racchiude tutte insieme e alla portata di tutti. Con pochi semplici click si possono scegliere tra le attività più interessanti da scovare tra una regione e l’altra tra salite, cibo e vino.

Sulla strada non solo percorsi ma anche campioni, come Paolo Bettini, ambassador d’eccezione di questo progetto che guiderà i cicloturisti di persona alla scoperta di un lembo di Toscana racchiuso nel territorio di Pomarance e della alta Val di Cecina. 

Le strade presenti, sono anche quelle percorse da Bettini durante i suoi allenamenti
Le strade presenti, sono anche quelle percorse da Bettini durante i suoi allenamenti

Che cos’è BikeandTaste

Bikeandtaste è un portale che promuove le destinazioni turistiche ad alto valore cicloturistico, ponendo particolare attenzione all’enogastronomia e allo slow bike. Sono tanti i pacchetti acquistabili, i quali comprendono esperienze di ogni tipo. Attraverso le due ruote ogni ciclista che sia abituale oppure occasionale, può visitare tutte le bellezze selezionate a misura di bicicletta. Tra percorsi gravel e strada, foreste e borghi, BikeandTaste promette esclusività e  divertimento, all’insegna dei prodotti tipici.

Il portale si divide in quattro sezioni. Bike Experience, dove il percorso e la storia delle sue strade sono i protagonisti. Taste experience, volto a far assaporare tutte le specialità in sella alla propria bici. Food & Wine, tra cibo e cantine dell’Italia. E infine Accomodation, dove si ha la possibilità di prenotare strutture pronte ad accogliere il ciclista ed il suo mezzo. 

Le strutture per tutti i ciclisti

Alberghi, agriturismi, B&B…le strutture che aderiscono a questo progetto sono estremamente diverse tra loro ma accomunate dal desiderio di offrire un soggiorno unico all’insegna delle tradizioni, della sostenibilità e della natura. La bicicletta non è più un elemento superfluo ma necessita di un attenzione significativa che va dalla sua manutenzione al posto sicuro soprattutto quando si viaggia.

BikeandTaste mette al servizio dell’utente un vasto numero di strutture adibite e attrezzate ad ospitare amanti e utilizzatori occasionali della bici fornendo gli stessi servizi. Non solo il giro in bici ma anche il prima e il dopo fanno parte dell’esperienza proposta. Dal massaggio di recupero alle torte fatte in casa, vanno a completare una full immersion dove l’unico pensiero è quello di riempire la borraccia e allacciarsi il casco. 

Bettini uno di loro

Ambassador d’eccezione di questo progetto è Paolo Bettini, campione olimpico e pluri iridato che guiderà i cicloturisti di persona alla scoperta dell’affascinante impiego dell’energia pulita della geotermia fino alle acque cristalline delle Riserve Naturali del territorio di Pomarance e della alta Val di Cecina in Toscana.

«Ho passato un’intera carriera ad allenarmi sulle strade di queste colline e sono felice che finalmente ci sia un progetto concreto sulla valorizzazione di un territorio straordinario come quello della geotermia». Ha spiegato Paolo Bettini.  «I numeri ci confermano che il ciclismo è sempre di più sinonimo di libertà, oggi in tantissimi scelgono le due ruote per viaggiare, godersi l’aria aperta e riscoprire un modo di vivere più slow». 

Un nuovo modo di scoprire il territorio a distanza di un click.

BikeandTaste

Trent’anni di storie, apriamo l’album di “Checco” Villa

08.12.2021
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Fra una cosa e l’altra, con Francesco Villa abbiamo cominciato insieme: anno 1992. Chi vi scrive, col taccuino in mano. Lui, con le chiavi da meccanico alla Gatorade di Bugno. E adesso che l’inverno sta scendendo e che la sua avventura nel ciclismo delle squadre sta per concludersi, una chiacchierata fra… veterani è quello che ci vuole per passare quest’8 dicembre decisamente freddino.

Per chi non lo conoscesse, smessi i panni del meccanico a fine 2002, Francesco è stato autista dei pullman, dal Team Bianchi con Ullrich, alla Quick Step con Bettini, al Team Cervelo di Sastre e Hushovd, alla BMC delle meraviglie, alla Tinkoff di Sagan e Contador e da ultimo alla Dimension Data, poi NTT e ora Qhubeka che, almeno in apparenza, sta lottando per non sparire. Dite che qualcosa da raccontare la troveremo?

Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Prima squadra?

Gatorade-Chateau d’Ax nel 1992, con Bugno, Corti e Stanga. Carminati guidava il bus. Ci sono rimasto fino al 1994, poi seguii Gianni alla Mg-Technogym e di lì passai alla Mapei. Sempre come meccanico. Poi ho lavorato alla Quick Step e, a parte un anno con la Vittoria, sono stato sempre con le squadre…

Parlaci di Bugno.

Per noi era un riferimento. Nel 1992 avevo 22 anni, ero suo tifosissimo: lavorare per lui era un sogno. Il capo era Giovanni Tonoli, suo meccanico di fiducia. Fu lui a volermi accanto, perché la tradizione era che i vecchi insegnassero il mestiere ai “bocetti”, ai ragazzini. Non lavoravano bene con altri d’esperienza, perché non avevano tempo né voglia di discutere, ma Tonoli era bravissimo a insegnare. Purtropppo morì nel 1993 per un brutto male, a soli 46 anni, e a quel punto Gianni volle portarmi con sé. Un campione cui eravamo affezionati. C’ero nel 1992 quando fece terzo al Tour e anche quando nel 1994 vinse il Fiandre.

Nell’anno di passaggio fra Team Bmc e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Nell’anno fra BMC e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Meccanico e autista del pullman, quali differenze?

Da meccanico entri nel cuore della corsa, sei sull’ammiraglia. Il bus ti dà il contatto più frequente con il corridore. Ci sono momenti in cui stare zitti e quelli in cui dargli coraggio e qualche consiglio, soprattutto ai più giovani. Ma ad esempio le Liegi di Bettini dall’ammiraglia sono indimenticabili.

Storia parallela a quella di Carminati, che abbiamo già raccontato. Cosa ricordi della Mapei?

Era una famiglia. Il dottor Squinzi era presente con il suo appoggio morale, non dava soldi e basta. Quella squadra ha rivoluzionato il ciclismo, anche per l’investimento tecnologico che facemmo con Colnago.

Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi diventata Ntt e Qhubeka
Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi Ntt e Qhubeka
Eri ancora meccanico, con chi legasti di più?

Molto con Bartoli, ero nell’ammiraglia dietro di lui quando vinse la Freccia Vallone del 1999 sotto la nevicata. Poi Bettini, si vide subito che aveva una gran classe. Paolo, come prima Gianni, devo ringraziarlo perché creò il suo gruppo e pensava prima a noi e poi a se stesso. Parlo di Bramati, Tonti, Zanini, i massaggiatori Cerea e Bignotti, Fausto Oppici come altro meccanico. Ci chiedeva se fossimo a posto e poi andava a firmare il suo contratto.

Iniziasti da autista alla Bianchi, chi ti aveva insegnato a guidare il pullman?

Giacomo Carminati. Mi ha insegnato a guidarlo e ad amarlo, prendermene cura. Mi ha insegnato un mestiere, per questo lo considero come un fratello maggiore.

Cosa ricordi di Ullrich?

Uno dei più grandi corridori che abbia mai incontrato, gradevole come persona. Anche lui, come Bugno, un po’ troppo sfruttato dall’entourage e purtroppo neanche lui aveva grande personalità, come purtroppo si è visto negli anni successivi. Nel 2003 andava fortissimo e gli fecero perdere il Tour dall’ammiraglia. Lui voleva attaccare, soprattutto essendosi accorto che Armstrong non era brillantissimo. Invece continuarono a dirgli di aspettare, così Armstrong tornò forte e vinse anche quella volta.

Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
La Tinkoff di Contador e Sagan?

Una squadra che senza Riis (il danese fu allontanato da Oleg Tinkoff a marzo del 2015, ndr) si capiva non sarebbe durata. C’era il gruppo di Contador, quello di Sagan, gli italiani… Con Alberto legai parecchio. Nel 2016 fu sfortunato, era già in fase discendente, ma sempre una grande persona. Non si fidava di lasciare le scarpe sul pullman, al massimo lo faceva se le chiudevo a chiave in un armadietto. Aveva paura del sabotaggio, molto diffidente. Lasciava avvicinare inizialmente solo il suo meccanico Faustino, io me ne stavo sulle mie. Non sono un adulatore, se hanno bisogno chiedono loro e alla fine diventammo amici.

Riis però l’hai trovato alla Ntt l’anno scorso…

Una persona molto preparata, che non è stata capita. Io ero abituato a Ferretti e Stanga, non mi faceva paura e lavoravo bene, gli altri hanno fatto fatica e infatti non è durata. Al Tour del 2020 venne al bus e mi disse che dal giorno dopo non avrebbe più voluto vedere lattine di Coca e Fanta, perché i corridori erano grassi. Per me era un’osservazione giusta, gli altri non lo capirono.

Che rapporto hai con il pullman?

E’ la mia casa. Devo pulirla, tenerla in ordine. Ne sono molto geloso, discuto con i corridori che non mostrano rispetto. Per fortuna i campioni aiutano, loro sono sempre i più educati. Sastre era un modello, Cavendish se vedeva disordine, sgridava i compagni: «Siamo in una stalla?». Il pullman per un autista è come il camion officina per il meccanico: serve passione per il lavoro, sennò lo trascuri.

Che rapporto hai avuto con Cavendish?

Grandioso, come con Bettini. Alla Dimension Data si stava spegnendo, ha fatto bene ad andare via ed ero certo che sarebbe tornato. Con Lefevere e Bramati alla Deceuninck-Quick Step la sola ricetta è pedalare, conosco quell’ambiente. Sono contento che abbia firmato per un altro anno, anche con la clausola che non farà il Tour. E poi secondo me certe cose le dicono anche per dargli grinta

Hai scelto di mollare, ti dispiace?

Sicuramente mi mancherà tantissimo. Ma abbiamo due bimbe di 11 e 7 anni e a un certo punto sei costretto a fare delle scelte. Non potevo più fare 180 giorni via, in casa c’è bisogno del papà. Mia moglie non mi ha mai ostacolato, ma vedevo che la fatica per gestirle aumentava. Ho fatto per 30 anni la vita che qualunque tifoso di ciclismo sognerebbe, è giusto che adesso lasci spazio ad altri.

Trentin e le volate ristrette: che cosa si è inceppato?

26.10.2021
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E’ possibile che una volata, nello specifico quella di Harrogate del 2019, ti rimanga nella testa e ti condizioni al punto da sbagliare le successive? Ce lo siamo chiesti parlando di Matteo Trentin, che da quel 29 settembre del 2019 non è più riuscito a vincerne una e per alzare le braccia è dovuto arrivare da solo al Matteotti dello scorso 19 settembre.

Quarto a Kuurne. Terzo alla Gand. Secondo nella 13ª tappa della Vuelta dietro Senechal, sprint a due. Secondo all’Agostoni dietro Lutsenko, sprint a due. Secondo al Giro del Veneto dietro Meurisse.

Secondo qualcuno – Paolo Bettini, ad esempio – il collegamento con quello sprint di due anni fa ha fondamento. Secondo altri, più semplicemente, Trentin spende troppo e arriva stanco alle volate. Allora partiamo da lui, dal trentino del UAE Team Emirates e sentiamo cosa dice.

L’esplosività perduta

Ieri è stato il suo primo giorno di vacanza e l’ha passato… lavorando. Tornato dal ritiro negli emirati, Matteo si è infatti dedicato con sua moglie Claudia all’organizzazione del criterium Be King che si svolgerà a Monaco il 28 novembre, con amatori accanto ai campioni e la raccolta fondi per due associazioni benefiche. Ma il tema è un altro e Matteo risponde.

«Ho perso qualcosa come esplosività – dice – è un po’ che ci ragiono su quelle sconfitte. Sono migliorato sui percorsi più duri, come ad esempio l’Agostoni, ma bisognerà mettersi a tavolino e fare una riflessione approfondita. Con l’età perdi sempre qualcosa, ma credo che una bella fetta di responsabilità ce l’abbiano avuta la pandemia e il fatto che le palestre siano rimaste a lungo chiuse. A casa puoi fare qualcosa, ma è diverso».

Manca la base?

Il discorso regge, anche se altri come ad esempio Colbrelli hanno lavorato in palestra per tutto l’anno e non hanno avuto questi problemi.

«Concentrarsi sulle volate va bene – dice – però mi è mancata la base di partenza. E poi quest’anno sono arrivato a farle solo nella seconda parte di stagione e ho trovato sulla mia strada sempre squadre piene di uomini veloci. La Deceuninck-Quick Step, ad esempio, e la Alpecin. Meurisse che mi ha battuto al Giro del Veneto è un signor corridore, ma di sicuro è al mio livello. Ci dovremo ragionare. Perché arrivo dove devo essere e a fine anno mi ritrovo 25° nella classifica Uci. Non male, considerati tutti i punti che ho buttato. Nella volata con Lutsenko, è stato bravo lui a mettermi al gancio e quando è partito io ero girato dalla parte sbagliata. Mi manca qualcosa, ma non la serenità. Quella è la stessa di sempre.

Sul podio della Agostoni, il pensiero di un’altra volata persa traspare nello sguardo
Sul podio della Agostoni, il pensiero di un’altra volata persa traspare nello sguardo

«E sul fatto che spendo troppo… Adesso lo dicono anche di Van der Poel perché hanno capito come fregarlo e non vince più. Prima quando vinceva era un fenomeno. E’ tutto relativo, questione di punti di vista…».

Bettini non è d’accordo

E proprio perché si tratta di punti di vista, Paolo Bettini ha una diversa visione del problema, partendo dall’esperienza personale.

«Vedete – dice – che trova già la scusa di non aver lavorato bene in inverno? Calato di potenza… Sì, ci può stare che magari ti manchi qualcosa a febbraio, marzo, aprile. Ma diciamo che poi arriva un certo punto che ti rimetti in pari. Non credo che sia quello. Anche perché vai forte e se poi arrivi lì e sei in due/tre e normalmente sei veloce, ci sta che ne sbagli una. Che ne sbagli due ci sta un po’ meno, ma è possibile. Se però ne sbagli tre su tre, dagli indizi si passa alle prove».

Pochi giorni dopo l’Agostoni, per Trentin battuta d’arresto al Veneto contro Meurisse
Pochi giorni dopo l’Agostoni, per Trentin battuta d’arresto al Veneto contro Meurisse

Quella volta con Riccò

Solita franchezza, ancor più credibile perché appoggiata sull’esperienza personale che, almeno quella, poco si presta a interpretazioni.

«E’ capitato anche a me – dice – personalmente. Una volata brutta, fatta male, ti rimane addosso. La superi facilmente se riesci a ricredere in te stesso e a rivincere. A volte ci vuole poco, a volte invece te la porti dietro. Di sicuro che quella volata lì, per il peso specifico che aveva, secondo me ce l’ha ancora addosso. Lui era già convinto di avere la maglia e abbiamo visto com’è andata a finire.

«Una che mi sta veramente sulle scatole è una volata in una tappa del Coppi e Bartali del 2006 a Sassuolo, pertanto si capisce che perdere una volata in quella situazione non pesa come perderla in un mondiale… Mi girarono abbastanza le scatole perché mi fregò un giovane di nome Riccò, che sottovalutai. Attaccai io, feci selezione. Questo ragazzino sempre a ruota. Feci la volata convinto di averla vinta e invece mi passò».

Dopo quella volata, Paolo arrivò secondo alla Liegi dietro Valverde, fece tre podi in altrettante volate del Giro e si sbloccò a Brescia, nella 14ª tappa, vincendo proprio in volata. E certo conveniamo sul fatto che una tappa alla Coppi e Bartali pesi meno dell’arrivo di un mondiale…

Repower e L’Eroica, connubio vincente

21.10.2021
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Repower, gruppo leader nella mobilità sostenibile, è stato protagonista dell’ultima edizione de L’Eroica. Evento che ogni anno riunisce a Gaiole in Chianti, in provincia di Siena, migliaia di appassionati che vogliono rivivere il ciclismo dei tempi eroici. In occasione della manifestazione è stato presentato il progetto DINAclub. Si tratta del club che riunisce tutte le strutture dotate di strumenti di ricarica Repower per biciclette a pedalata assistita e che vuole elettrificare tutte le ciclovie italiane.

Davide Damiani, PR and Sales Promotion Manager Repower, Giancarlo Brocci, Paolo Bettini
Davide Damiani, PR and Sales Promotion Manager Repower, Giancarlo Brocci, Paolo Bettini

A battesimo da Bettini

A tenere a battesimo il nuovo progetto è stato Paolo Bettini. Il campione olimpico e due volte campione del mondo ha fatto da testimonial al lancio del progetto DINAclub avvenuto alla vigilia de L’Eroica. Lo stesso Bettini nelle prossime settimane sarà protagonista delle attività di comunicazione che Repower legherà alle crete senesi. L’incontro con L’Eroica segna infatti per Repower l’inizio della collaborazione con Terra Eroica. Progetto di valorizzazione dei percorsi permanenti di Eroica Gaiole in Chianti e Montalcino. Si tratta di un progetto finalizzato alla creazione di un club di prodotto destinato a coinvolgere le strutture di eccellenza locali. E per di più vuole anche promuovere le terre dell’Eroica come una destinazione ciclabile 365 giorni l’anno, con ogni tipo di bicicletta.

Il progetto di Repower è quello di valorizzare i percorsi permanenti dell’Eroica Chianti e Montalcino
Il progetto di Repower è quello di valorizzare i percorsi permanenti dell’Eroica Chianti e Montalcino

Un QR code dedicato

Cardine del progetto è lo strumento di ricarica DINA, firmato dallo studio del Compasso d’Oro alla carriera Makio Hasuike. Ad ogni struttura appartenente al circuito DINAclub è associato un QR code. Una volta scansionato l’utente ha la possibilità di raccogliere punti utili per riscattare gratuitamente le mappe regionali all’interno della piattaforma komoot. La partecipazione al circuito non è vincolata all’utilizzo dello strumento di ricarica. L’attività è aperta agli utilizzatori di ogni tipo di bicicletta, tradizionale oppure a pedalata assistita.

Un esempio della struttura DINAclub che permetterà di riscattare le mappe regionali all’interno della piattaforma komoot
Un esempio della struttura DINAclub che permetterà di riscattare le mappe regionali all’interno della piattaforma koomot

L’importanza della bicicletta

Fabio Bocchiola, amministratore delegato di Repower, non ha mancato di sottolineare l’importanza della bicicletta come strumento principale di una nuova mobilità. Ha così dichiarato: «Repower vede nella bicicletta uno straordinario mezzo per la scoperta del territorio, un elemento chiave di una nuova mobilità nella quale crediamo fortemente. È questo il principio su cui abbiamo costruito il progetto DINAclub, il primo network di ricarica dedicato alla pedalata assistita che punta ad elettrificare le ciclovie italiane. Siamo felici di presentare DINAclub in occasione di un evento il cui nome parla da solo. L’Eroica è capace come pochi di esprimere lo spirito di un ciclismo profondamente legato ai territori. È, inoltre, un modo per viaggiare riscoprire una terra di grande pregio, in piena sostenibilità

Repower

Bettini, dica lei: come è fatto il cittì della nazionale?

17.09.2021
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Chissà se al momento di cercare un sostituto per Cassani qualcuno ha pensato per un secondo a Paolo Bettini. Il campione olimpico di Atene lasciò la nazionale alla fine del 2013, dopo aver visto sfumare il mondiale di Firenze con la caduta di Nibali. Alla partenza dal diluvio di Lucca, tutto l’ambiente si era accorto della presenza di Fernando Alonso. Il pilota spagnolo aveva rotto gli indugi e sembrava sul punto di lanciare la sua squadra di ciclismo. Bettini gli diede fiducia. Rinunciò a essere il cittì azzurro, ma alla fine non se ne fece niente.

Paolo era diventato cittì subito dopo la morte di Ballerini, per una sorta di obbligo morale dopo la lunga strada percorsa accanto all’amico Franco. La sua gestione azzurra, a parte alcune tensioni con il presidente Di Rocco, aveva avviato la nazionale lungo la direzione poi ripresa e sviluppata da Cassani. E soprattutto, nella nazionale di Bettini, i corridori stavano bene. C’erano i ritiri con i giovani delle altre categorie. I piloti dei caccia militari che parlavano di motivazioni. C’era l’orgoglio di appartenere a un club esclusivo, il cui comandante era uno di loro. Sceso da poco di bici, dopo aver vinto appunto tutto quello che c’era da vincere.

Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Perciò, caro Paolo, diccelo tu: cosa serve per fare il tecnico della nazionale?

Devi essere un grande psicologo con un’altrettanto grande esperienza sul campo. Un selezionatore che non prepara i suoi atleti. Nessun cittì dei professionisti prepara i suoi atleti, malgrado quello che a volte si sente dire. Il cittì attinge al patrimonio nazionale e crea il miglior gruppo squadra per caratteristiche personali e resa. Non è la pallavolo in cui scegli in base agli avversari. Da noi comanda il percorso.

Un… gioco facile, insomma?

Non scherziamo. La parte più brutta è scegliere. Lo capii al debutto, nel 2010. Non era un mistero che Pozzato e Bennati non si prendessero e io non ero Alfredo Martini, che era capace di mettere insieme Moser e Saronni. Perciò per Geelong scelsi Pippo e significò rovinare i rapporti con Bennati. Li abbiamo ricuciti da poco, ora andiamo d’accordo, ma non fu facile.

Bello poter scegliere…

Allora c’erano tanti corridori, più di adesso. Le generazioni non sono mai uguali, ma non significa che fosse più facile. Devi comunque amalgamare il gruppo e Cassani lo ha fatto bene, riprendendo il mio lavoro che a sua volta seguiva da quello di Ballerini. Con lui si può essere critici quanto si vuole, ma al suo palmares manca solo il mondiale. Il resto l’ha vinto.

Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Che cosa può aver sbagliato?

Detto che ha lavorato bene, siamo diversi perché io sentivo la gara come un corridore. A Londra vennero i grandi del Coni e provarono a forzarmi la mano per portarmi alla cerimonia inaugurale. Mi dissero che non era possibile che prima da corridore e poi da tecnico io non avessi mai visto quell’evento. Ce la misero tutta, ma io dissi che sarei rimasto senza anche quella volta. I miei ragazzi avevano bisogno di me. In quei momenti, anche se nella vita di ogni giorno fanno i fenomeni, hanno bisogno di appoggio. Una vicinanza psicologica e il cittì deve esserci. Prima, durante e dopo la gara. Ricordate le barzellette di Alfredo ?

Impossibile dimenticarle…

Con le sue battute e i suoi racconti che contenevano il mondo, facevamo anche mezzanotte la sera prima del mondiale. Quest’anno Davide si è isolato con la squadra prima degli europei di Trento e ha parlato della vigilia più bella. Ecco, se posso, le vigilie avrebbe dovuto viverle tutte così. Senza dover seguire le prove di tutte le categorie, insomma. E se mi permetto questa critica, è perché queste cose le ho fatte.

Adesso alla guida delle nazionali c’è Amadio.

Credo che sia la persona migliore in quel ruolo. Prima delle elezioni mi chiesero di fare un nome per il possibile commissario tecnico e io feci il suo, ma così è anche meglio. Mi ricordo nel garage di Stoccarda quando Ballerini gli disse che dopo l’esclusione di Di Luca non avrebbe fatto correre Nibali, ma avrebbe richiamato Tosatto. Ricordo gli urli di quel giorno. Per cui quando vennero i mondiali del 2013, in cui non avrei convocato nessuno dei suoi atleti della Liquigas, ero pronto a discuterci. In più, avrei dovuto chiedergli la presenza di Archetti come meccanico e il camion officina. Invece mi spiazzò. Mi disse che capiva che stavo facendo delle scelte e mi disse di chiedere quello che mi serviva e lui me l’avrebbe dato.

Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Dicci la verità, ti hanno proposto di tornare?

La verità? No e penso che la minestra riscaldata non sia buona. Ma parliamo di nazionale e avrei mancato di rispetto alla maglia azzurra se, qualora me lo avessero chiesto, non ci avessi almeno pensato.

Si parla di Fondriest, Pozzato, Bennati…

Maurizio è un grandissimo amico. Abbiamo condiviso tanti viaggi crociere con la Gazzetta e Giri d’Italia con Mediolanum. Però fa anche il preparatore e il procuratore. Pozzato uguale. Il più libero al momento è proprio Bennati. Ma questi sono discorsi teorici, perché se vale la regola che non devono esserci altri incarichi, Cassani sarebbe stato il primo a non poter essere nominato. Io fui etichettato come “cittì marchettaro”, perché il primo Giro d’Italia da tecnico lo feci con Mediolanum, senza costare un euro alla Federazione. Una parte della stampa mi asfaltò, mentre ora non ci si fa più caso.

Sei d’accordo con l’idea di un cittì a giornata?

Neanche per sogno. Significherebbe che la nazionale è diventata una baracchetta e il ciclismo smetterebbe di essere il secondo sport nazionale. Piuttosto, inventiamo il mestiere di tecnico della nazionale. Guardiamo ad esempio quanto guadagna quello del basket. Facciamo che il nuovo tecnico debba lasciare tutto quello che ha in ballo e firmi con la Federazione un contratto a progetto di 4 anni ben retribuito. Io sono andato avanti con contratti annuali, esposto alle critiche di 40 milioni di commissari tecnici. Ero l’ultimo a dover accettare quell’incarico, ma dissi di sì per rispetto verso Martini e Ballerini.

Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, in ricognizione sul percorso iridato
Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, sul percorso iridato
Quindi la strada giusta resta la loro?

Secondo me sì. Sono convinto che sia un ruolo talmente importante da dover essere un punto fisso. Il calendario ormai è strapieno di impegni, pari a quello delle altre discipline olimpiche, in cui il tecnico della nazionale è una figura di riferimento. E va pagato, come accade nelle altre federazioni.