La storia di Svrcek, nato in Slovacchia, cresciuto in Toscana

13.11.2021
7 min
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Questa è la favola di Martin Svrcek e del Team Franco Ballerini (di cui vi avevamo già accennato), iniziata il 10 novembre 2020 anno quando Andrea Bardelli, direttore sportivo, si mise a curiosare sul web fra i risultati del 2019. Si era accorto di lui agli europei di Plouay del 2020, dove era andato con Ponomar. La squadra non voleva uno straniero per il 2021, ma da allievo il piccolo slovacco aveva ottenuto dei buoni risultati nella corsa della Pace che si corre in Austria. Perciò Bardelli si mise a cercarlo su Facebook e scoprì che viveva a Zilina. Così contattò un ragazzo di lì che aveva avuto due anni prima all’Hopplà. I due erano amici. Perciò il… gancio fece da tramite e il giorno dopo ci fu il primo contatto. Davvero nessuno poteva immaginare come sarebbe andata a finire.

«Probabilmente avrebbe smesso di correre – sorride il tecnico toscano – perché in Slovacchia ci sono poche gare. Venne fuori che abita a 10 chilometri da Zilina e che conosceva Juray Sagan, il fratello di Peter che si occupa delle squadre giovanili. Devo dire che al momento di prendere le decisioni, la famiglia Sagan è stata molto presente. Ed è stato utile, perché ci siamo ritrovati in un mondo di squadre WorldTour e procuratori, in cui non avremmo saputo come muoverci».

Da che famiglia viene Martin Svrcek?

Sono cinque fratelli, tutti fenomeni dello sport. Un fratellino di 14 anni è un talento dell’hockey e presto andrà in America. Sono cinque ragazzi splendidi e autonomi. Il padre è un manager ed è venuto con lo zio per conoscerci. Sono rimasti per due giorni a Montecatini. Hanno fatto mille domande, visto dove avrebbe alloggiato Martin, poi sono risaliti in macchina e via. Del padre non ho neppure il numero di telefono, ma si è fidato. Martin è arrivato a gennaio. E noi ci siamo ritrovati in casa un ragazzo umile, con voglia di lavorare e la maturità per stare sette mesi via da casa.

E’ stato semplice?

L’ho trattato come un figlio, ma devo tutto alla famiglia Iacchi. Hanno due figli corridori, Alessandro e Lorenzo, ma già si prendevano cura di Stojnic. Poi lui si è rotto il femore e Martin si è ritrovato da solo. La mossa vincente è stato far venire giù la sua ragazza, che corre in bici. In quel momento Martin si è sentito a casa sua e ha capito che ci fidavamo di lui.

Quando ti sei accorto che fosse uno buono?

Al primo allenamento a Barberino del Mugello, di gennaio. Aveva viaggiato tutta la notte in macchina col padre. C’era un nebbione che metteva paura. Aveva 5-6 chili più del giusto. Facemmo un allenamento e i due ragazzi che erano con lui, mi dissero che quello lì avrebbe vinto 25 corse. C’era da scoprirne il carattere e se si sarebbe inserito, ma il corridore lo vedi subito. 

Svrcek e Alessandro Iacchi, come fratelli, hanno vissuto e si sono allenati insieme per un anno
Svrcek e Alessandro Iacchi, come fratelli, hanno vissuto e si sono allenati insieme per un anno
Cinque o sei chili di troppo?

Quando è arrivato (Bardelli ride, ndr) aveva l’abitudine slovacca di bere qualche birretta. Ma non siamo andati dal dietista o dal dottore, gli è bastato stare accanto ai ragazzi e mangiare in casa da corridore. Poi, siccome è molto sveglio, ha capito che la giusta alimentazione iniziava a fare la differenza. E’ veramente partito da zero.

Parlava italiano?

Il primo mese, in appartamento con Stojnic, cominciava a parlarlo. Quando poi Veliko si è infortunato ed è arrivata la sua ragazza, ha un po’ smesso. Lo studiava e lo studia ancora, ma è timido ed esigente, per cui con me in ammiraglia ci prova, ma nelle interviste non si fida. Alle prime corse, noi dicevamo le cose alla ragazza in inglese e lei da bordo strada traduceva in slovacco. Diciamo che alla fine (dice sorridendo, ndr) s’è messo a punto un dialetto tosco-anglo-slovacco.

Sedici vittorie, un bel bottino…

Negli ultimi tre anni abbiamo fatto tanta attività internazionale. Ci siamo fatti un nome e correre da noi è una bella vetrina, soprattutto se poi finisci nel WorldTour. Portare questo nome (Franco Ballerini, ndr) è un orgoglio, abbiamo tutti gli occhi addosso.

Svrecek ha chiuso i mondiali al quarto posto. Eccolo nello sprint accanto all’azzurro Oioli
Svrecek ha chiuso i mondiali al quarto posto. Eccolo nello sprint accanto all’azzurro Oioli
Sì però un ragazzino che parte da zero e dopo un anno passa nel WorldTour non ti suona un po’ strano?

I primi contatti sono iniziati a maggio, aveva vinto sette corse fra cui l’Eroica Juniores. Io non sono d’accordo, ma il ciclismo è cambiato. Sono contento perché abbiamo preso il manager belga che segue anche Alaphilippe e concordato un avvicinamento graduale. Martin farà prima sei mesi nella Biesse-Carrera di Milesi e Nicoletti.

Non è presto?

E’ pronto di testa. Qui lavoriamo in modo diverso, ho cambiato dopo aver lavorato nei dilettanti. Durante la settimana, i nostri si allenano da soli. Gli diamo il supporto di un allenatore come Pino Toni e poi sta a loro imparare a gestirsi le giornate. Anche se abitiamo a un chilometro di distanza, non ho mai seguito Martin in allenamento. Non mi piace coccolarli come si fa in Italia.

Perché è pronto di testa?

Dopo aver firmato il contratto a luglio, temevo che mollasse. Invece ha tenuto duro fino al mondiale. E a quel punto, invece di fare festa, sapeva quanto io tenessi alla Roubaix per il ventennale dalla morte di Franco (Ballerini, ndr) e ha tenuto duro fino lì. Ha la capacità di restare concentrato e grande correttezza.

Cosa sa di Franco Ballerini?

Il 7 febbraio scorso venne alla commemorazione e si accorse di quanta gente ci fosse a Casalguidi. Poi ha visto i video e ha capito il perché di tanta attenzione all’estero. Un giorno mi ha chiesto: «Come avete fatto a prendere uno sconosciuto come me?». Davvero non gli tornava che la squadra di Tiberi e Ponomar lo avesse cercato. Non si sentiva all’altezza di correre in Italia

Un bell’esempio di umiltà…

Al di là delle 16 vittorie, ha insegnato tanto a quelli di primo anno. Erano abituati a mille attenzioni e ad uscire solo con il direttore sportivo dietro. All’inizio è stato duro, poi però sono arrivati i risultati. Noi direttori dobbiamo farli crescere, non pensare solo ai risultati. Perché quando poi arrivano nei dilettanti, sono da soli e non sanno come gestirsi.

Parigi-Roubaix juniores, l’ultima corsa 2021 di Martin Svrcek, in onore di Ballerini
Parigi-Roubaix juniores, l’ultima corsa 2021 di Martin Svrcek, in onore di Ballerini
Cosa farete nel 2022 senza Svrcek?

Avremo 16-17 juniores e 7 allievi. Senza un’individualità così forte, ma una delle squadre più forti che ho mai avuto. C’è un canadese che sarà la rivelazione e fra gli allievi, un secondo anno ligure che sarà il nuovo Tiberi. Con gli junior dovremmo cominciare il 27 febbraio alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e abbiamo già l’invito per il Giro delle Fiandre. Mi piacerebbe portare fuori anche gli allievi, ma è tutto in fase di programmazione. Eppure la vittoria più bella…

Qual è stata?

La cena di fine anno. Martin non c’era, ma ha mandato un video. Lorenzo Iacchi ha fatto un discorso sulla stagione e su Franco che ha commosso tutti. Si è messo a piangere e ha pianto anche la Sabrina (moglie di Ballerini, ndr). Lui è il nostro asso nella manica. A 18 anni ha già tutti i tesserini da direttore sportivo, tutti i contatti con i nuovi corridori li ha presi lui. Ora va negli under 23, ma per il futuro credo di aver già trovato il mio successore.