EDITORIALE / Questioni di cuore, da non prendere alla leggera

10.07.2023
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Il primo di cui ho memoria si chiamava Joachim Halupczock, polacco, classe 1968. Vinse il mondiale dilettanti del 1989 a Chambery, dopo aver preso l’argento nella 100 Chilometri vinta dalla Germania Est, che l’anno prima aveva già battuto la sua Polonia alle Olimpiadi di Seoul. Halupczock passò professionista con la Diana Colnago, ma alla fine del primo anno saltò fuori un problema di cuore: un’aritmia cardiaca a causa della quale dovette fermarsi per tutta la stagione successiva.

Lo conobbi nel 1992, quando rientrò alle corse con la MG-GB nata dalla fusione fra la Del Tongo e il gruppo belga di Patrick Lefevere, fra Ballerini e Chioccioli, Museeuw e il connazionale Zenon Jaskula. Corse per un solo anno, ma quel cuore troppo grosso continuò a dargli problemi e lo convinsero a smettere, questa volta definitivamente. Morì per un infarto nel 1994 durante una partita di calcetto.

A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)
A Niwki, la sua città natale in Polonia, sorge il monumento a Joachim Halupczock (foto CC BY-SA 3.0)

Haussler, Polanc e Vanmarcke

Il cuore è una cosa seria: la vera differenza. In base alla sua capacità si distinguono i campioni dagli altri. Le leggendarie frequenze bradicardiche di Bartali e Coppi, come pure di Indurain erano la base di quel loro essere tanto resistenti e forti. Del cuore ti devi fidare. Non lo vedi come le gambe, semmai lo senti che pulsa nel collo e nel petto. In certi momenti pompa così forte da superare i 200 battiti: che cosa succede se di colpo senti di non poterti più fidare?

Eppure casi di corridori costretti a smettere per sopraggiunti problemi cardiaci sono sempre stati cosa rara. Basta chiedere ai medici delle squadre. Di recente è capitato semmai di imbattersi in atleti sottoposti ad ablazione per risolvere aritmie o fibrillazioni, che avrebbero potuto metterli a rischio, le cui origini sono state rintracciate in episodi vecchi di anni.

Invece in questa stagione, tre professionisti di squadre WorldTour hanno appeso la bici al chiodo per sopravvenute complicazioni cardiache: Haussler, Polanc, Vanmarcke (nella foto di apertura), atleti già grandicelli, ma per anni in perfetta efficienza. Sommando le loro vicende a quanto successo nel 2022 a Sonny Colbrelli, la voglia di fare una riflessione più approfondita è rimasta a lungo sulla punta della penna. Ogni caso merita infatti una trattazione a parte: cadere nel qualunquismo è l’ultima cosa che si vuole, ma la tempistica è insolita.

Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)
Non tutte le federazioni nazionali hanno mantenuto il protocollo di ripresa dopo il Covid (foto WavebreakMediaMicro)

Il caso Masciarelli

Qualcuno infatti a questo punto sarà già in piedi puntando il dito sui vaccini contro il Covid. Il tema è noto ed è stato dibattuto a lungo, ma si ferma (ancora) contro l’assenza di una letteratura clinica che possa suffragare o sconfessare la tesi. Di certo però gli anni della pandemia hanno lasciato qualche strascico. E se anche non si tratta del vaccino, varrebbe la pena fare una riflessione sui tempi con cui alcuni atleti sono ripartiti dopo aver avuto il virus.

Se infatti le tecniche di indagine clinica sono sempre le stesse e le visite di idoneità non si discostano da quello che erano nel 2019, al momento soltanto l’Italia costringe i suoi atleti al protocollo Return to Play, sia pure più blando di quanto fosse all’inizio, prima di riprendere l’attività agonistica. All’estero ciò non succede. Vanmarcke si è fermato dopo un’aritmia percepita agli ultimi campionati nazionali e la scoperta di tessuto cicatriziale sul muscolo cardiaco (lo stesso che ad esempio deriva dalla miocardite), che in prospettiva avrebbe potuto creare problemi maggiori. Intendiamoci, anche con una ripresa incauta dopo la mononucleosi si incorre nello stesso rischio, ma il Covid potrebbe averlo accentuato.

Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso
Polanc si è ritirato quest’anno per irregolarità cardiache: nel 2022 ha corso al Vuelta aiutando Ayuso

Una visita approfondita fatta con anticipo avrebbe rilevato prima il problema? Probabilmente sì. Il caso di Masciarelli è lampante. Se non fosse stato per la caduta di maggio e il conseguente ricovero in ospedale, l’abruzzese del Team Colpack-Ballan non avrebbe scoperto la pericardite per la quale è stato subito fermato. Lorenzo è rimasto fermo per due mesi, ha da poco ottenuto l’idoneità ed è pronto a ripartire da Livigno. Un percorso simile l’ha seguito Gianmarco Garofoli, fermato a lungo a tutela della sua salute.

Mancata condivisione

Con il cuore non si scherza. Ciò che potrebbe aiutare a fugare i dubbi e ad individuare una via d’uscita comune e sicura per tutti, anche per gli amatori che magari non hanno mai approfondito il loro stato di salute prima di tornare in sella, sarebbe la condivisione delle esperienze, come ha fatto Vanmarcke. Tutti gli altri che si sono chiusi dietro il legittimo diritto alla privacy impediscono di fatto di capire qualcosa di più. E quella letteratura clinica di cui si lamenta la mancanza farà sempre più fatica a formarsi.

Laigueglia, dominio UAE… Seppur con qualche “errorino”

02.03.2022
6 min
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Fra i “tre litiganti” il quarto gode. E fortunatamente per il UAE Team Emirates il quarto, Jan Polanc, era uno di loro. Oggi è andata proprio così al Trofeo Laigueglia. Dominio netto, nel risultato e nell’andamento della corsa, da parte della squadra di Mauro Gianetti. 

Sono i suoi ragazzi, guidati in gruppo da Diego Ulissi e Davide Formolo, a fare la corsa. Anche quando mancava tanto all’arrivo sono stati loro (e la Ineos-Grenadiers) a chiudere. E sempre loro, a ripetizione, sullo strappo e nella discesa di Colla Micheri hanno fatto il resto.

Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle lo sprint dei compagni che vedrà secondo Ayuso e terzo Covi
Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle, secondo Ayuso e terzo Covi

Stoccata da manuale

Una corsa preparata al dettaglio dal loro diesse Fabrizio Guidi. C’era lui a dirigere l’orchestra dall’ammiraglia, a gestire quel nervosismo nel finale con Alessandro Covi e Juan Ayuso che tenevano a bada un bellissimo Lorenzo Rota. Alessandro e Juan si parlavano, si guardavano, spesso hanno hanno fatto anche delle finte con la radiolina per farci cascare Rota ma niente.

Ad un certo punto, Covi è in testa dopo lo scatto. Rota lo rintuzza. Covi si volta e fa probabilmente finta di parlare alla radiolina, Ayuso si lascia sfilare 5 metri e scatta a tutta per cercare di passarli al doppio. Ma niente da fare. Rota è ancora lì. Piva ce lo aveva detto: «Quest’anno mi aspetto molto da questo ragazzo. Lo scorso anno ha perso San Sebastian per una sfortuna».

Rota è lì, ma lì ci sono anche gli inseguitori. E che inseguitori: Carlos Rodriguez, in primis, e appunto Polanc. Loro a dispetto dei tre davanti su Capo Mele vanno regolari in salita e regolari in discesa. Piombano sul terzetto allo scoccare del triangolo rosso in fondo allo strappo. Senza fermarsi Polanc tira dritto. Si porta dietro la velocità della discesa. Rodriguez tentenna un decimo di troppo. Gli altri si aprono. Gara finita.

Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Ayuso e Covi
Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Covi e Ayuso

Rota c’è…

«Avevo paura di perdere il podio – ci ha detto Rota a mente fredda – come poi è stato. Sono stato onesto con Covi e Ayuso. Ho tirato, pensando ci fosse un tacito accordo, per arrivare a giocarcela allo sprint… anche se in quella situazione era quasi impossibile vincere per me. Che dire: se invece di scattarci in faccia avessimo fatto come dicevo io, saremmo arrivati. Invece nell’ultimo chilometro ci siamo ritrovati fermi in mezzo alla strada e noi che siamo stati i protagonisti della corsa non abbiamo vinto».

«Voglio ringraziare la mia squadra per il gran lavoro svolto e il nostro capitano, Bakelands, che ha fatto un’azione stupenda e ha portato via il gruppetto dei venti. Per il resto, sono soddisfatto della mia condizione. Vengo dall’altura, nelle prime due corse in Francia ho sofferto un po’, ma sento che va sempre meglio. E per questo sono fiducioso… per me e per la squadra che sta andando fortissimo».

Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello
Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello

Perfetti ma non troppo

Una corsa davvero intensa, una corsa che a tratti è sembrata una partita di scacchi. Quel voltarsi continuo, il tirare di Rota. Il distacco che era buono ma non rassicurante, come poi si è dimostrato…  Ma in tutto ciò, il direttore sportivo della UAE Team Emirates fa un’analisi più che intelligente. Non si lascia trasportare dal risultato, anche se chiaramente è contentissimo.

«Farà un po’ ridere – spiega Guidi – perché avendo fatto primo, secondo e terzo non è facile da dire, eppure non siamo stati perfetti. Abbiamo fatto qualche “errorino”, ma i ragazzi sono giovani e ci sta.

«Ayuso continuava a spingere forte perché voleva staccarlo (il riferimento è a Rota, ndr) pensava di farlo e di arrivare in due. Alla fine sapevano che erano più veloci in volata, ma sapete com’è: non si sa mai. Meglio evitarla, specie quando si può.

«Polanc è andato d’istinto. Veniva da dietro e ha tirato dritto. Ma il bello è questo. Non si corre col computer in mano, decidono i corridori. Io posso dargli qualche informazione ma poi la corsa ce la devono avere in testa loro».

Fare tripletta e non essere perfetti. Perché? Perché anziché tirare forte forse era meglio scattare: prima uno e poi l’altro. E infatti, riprende Guidi:«Cosa gli dicevo dalla macchina? Di attaccare! Ma ripeto: sono giovani. L’importante è che anche situazioni apparentemente perfette come questa, diventino occasioni su cui riflettere. Perché non sempre poi le cose vanno così bene. Spesso sono i dettagli che fanno la differenza».

«La cosa buona veramente di oggi è che i ragazzi hanno parlato molto fra loro. E su un percorso così tortuoso, con l’ammiraglia dietro, è importante. Loro devono essere in grado di prendere iniziative, di decidere. Cosa si dicevano? Aumenta, rallenta, mi muovo io, ti muovi te… Ed è tutto qui quel che serve: unità di squadra e comunicazione».

Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates
Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates

Vigilia proficua

«Ieri – racconta con passione Guidi – avevamo provato il percorso. Conoscere le strade su una gara del genere è importante. Eravamo partiti dallo strappettino del circuito (Colla Micheri, ndr) e poi avevamo fatto il giro grande con il Testico e tutto il falsopiano in cima. Lassù i ragazzi si sono fermati e hanno deciso la tattica. Ma un conto è deciderla da fermi e un conto è farla in corsa».

«Oggi Ulissi, che era il più esperto, ha dato il via a questa tattica. Dopo il primo passaggio sul Testico è venuto all’ammiraglia e mi ha detto: Fabrizio, è il primo giro e già siamo rimasti in 40, andiamo via come abbiamo detto ieri. E infatti al secondo passaggio hanno fatto il forcing verso la cima. Una volta in pianura ci eravamo tenuti due uomini, Suter e Oliveira, per non far rientrare nessuno. A quel punto ci hanno aiutato anche altre squadre e la corsa è andata».

Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996
Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996

Stato di grazia

Unità di squadra e comunicazione. E’ anche questo, secondo Guidi, uno dei motivi per cui la UAE sta crescendo così tanto e sta vincendo molto. Dall’inizio della stagione già in parecchi hanno gioito: McNulty, Covi, Gaviria, Pogacar e ieri Trentin…

«In UAE si respira un bell’ambiente. Abbiamo fatto già tante gare e alla base c’è lo spirito di vincere della squadra. La voglia di vincere di Mauro (Gianetti, ndr) e la programmazione sempre ben ponderata di Matxin. C’è molta collaborazione fra tutti.

«Anche tra noi diesse. Io per esempio oggi ero collegato con un diesse a casa che vedeva la tv e mi confrontavo con lui. E con questo spirito stiamo crescendo ancora. Poi chiaramente per vincere servono i corridori buoni e con le gambe».