Da Bartoli a Basso, le storie di “mastro” Archetti

01.01.2021
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Dici Giuseppe Archetti e subito pensi ai meccanici indaffarati tra bus e ammiraglie. Il lombardo ha iniziato a stare là in mezzo nel lontano 1989. Arrivò nella Carrera di Bontempi, Ghirotto, Chiappucci, Chiesa… Fu suo cognato, meccanico nella stessa squadra, a lasciargli il posto. Carrera aprì l’azienda Podium, lui si tuffò nella nuova avventura e per Giuseppe si spalancarono le porte nella squadra. Una passione mai doma, che ancora lo lega a nomi come Piero Piazzalunga, meccanico e mentore storico, o Ernesto Colnago. «Lavoro oggi con le sue bici e quando vado da Colnago – dice Archetti – è sempre un’emozione. Ancora imparo qualcosa. Scopro che le vecchie specialissime erano fatte molto bene, come quelle di adesso».

In questo primo giorno dell’anno, nell’ozio del divano, è il momento di riaprire “l’album dei ricordi”. E Archetti ne ha tanti. Il meccanico della UAE ci racconta quelli a cui è più legato. O semplicemente quelli che gli vengono in mente prima…

L’aggancio del pedale ideato da Archetti per Simoni
L’aggancio del pedale speciale di Simoni

La bici leggerissima di Simoni

«Era il 2002 e Gilberto voleva assolutamente arrivare a limite dei 6,8 chili. Sembrava facile ma in realtà non era così, soprattutto all’epoca. O andavi a cercare materiali chissà dove, che però non davano sicurezza o era un bel problema. E la squadra, la Saeco, non voleva che usassimo certi pezzi. A quell’epoca ce ne furono di rotture di cerchi, di forcelle… Così iniziai a cercare presso ditte sicure. Time per la forcella, Mavic per le ruote, Cannondale per un certo tipo di telaio e così arrivammo a quel peso. Ancora lo ricordo: 6,810 chili… con la nostra bilancia. Corti, il team manager mi disse: metti su 50 grammi, che te ne frega, siamo parecchio al limite e non vorrei avere problemi con la bilancia dell’Uci. Ma Simoni non ne voleva sapere. Puntuale vado alla pesa e la bici è sotto i 6,8 chili! Non vi dico quante me ne ha dette Corti. Cambiai il tutto in quattro e quattr’otto. Presi un altro telaio Cannondale “più pesante” e me la cavai. Era il Cannondale Caad 6, che spettacolo che era: carta velina, tutto in alluminio.

«Sempre con Gibo a forza di togliere peso qua e là avevamo trovato dei pedali Time molto leggeri. Tuttavia lo stesso Simoni diceva che non sentiva il giusto appoggio quando spingeva. Mi procurai dei dischi di carbonio e iniziai a lavorare di lima e fresa e ideai una base adatta. Ma poi c’era il problema della tacchette, che effettivamente erano pesanti. Quelle fornite erano in ottone. Io le feci fare in titanio, tutte scavate. Fu un lavorone».

La sfida di Cipollini

«Eravamo di ritorno dal Romandia, quindi ormai a ridosso del Giro. Era quello del 2000 che scattava da Roma. Cipollini mi fa: “Se hai gli attributi, per la partenza del Giro mi fai trovare un telaio bianco perla”. Cavolo! Una volta non era mica come adesso. I telai erano su misura, serviva tempo per realizzarli. Fatto sta che mi ricordo che la bici da crono di Roberto Petito aveva le stesse misure di quella di Mario. Chiamo Guido Bontempi, allora direttore sportivo, e gli faccio smontare la bici di Petito. Passo a casa e vado da un verniciatore di mia conoscenza e gli faccio togliere anche il nome di Petito. Alla partenza da Roma, Cipollini aveva la bici che voleva. Non si era accorto che non fosse la sua. E non ha mai saputo (fino ad oggi, ndr) che quella bici era di Petito. Lì, mi sono salvato proprio in calcio d’angolo!»

Chiappucci in azione e in ammiraglia (dietro a Sandro Quintarelli) un giovane Archetti
Chiappucci in azione e in ammiraglia un giovane Archetti

Le fisse di Chiappucci

El Diablo anche non deve essere stato un corridore semplicissimo da gestire, anche sul fronte della meccanica.

«Chiappucci s’inventava spesso di cambiare bici durante la tappa. Magari correva con quella ordinaria e poi prima della salita voleva quella speciale. Ne prendeva una in titanio, una rarità per l’epoca. Il problema è che magari te lo diceva la mattina prima di partire. Una volta non avevamo bici pronte come oggi. Non c’erano i camion attrezzati e non c’era spazio per lo stoccaggio delle bici pronte all’uso. Le dovevi montare ogni volta. Mi ha fatto fare certe corse. E poi soprattutto in quei momenti voleva rapporti particolari. Di solito partiva con il 13 e andava a salire, perché li preferiva in sequenza: quindi 19, 20, 21…».

Bartoli a Valkenburg

Campionati del mondo di Valkenburg 1998. L’Italia parte con uno dei favoriti più accreditati, Michele Bartoli. Il toscano aveva l’abitudine di cambiare spesso le scarpe prima degli appuntamenti a cui teneva di più. Diceva di sentire la spinta più “pronta”. E lo fece anche quella volta.

«E succede – riprende Archetti – che pronti via e Bartoli rompe una tacchetta. Non si riusciva a farlo fermare ai box. In ammiraglia avevamo una scarpa di scorta e gliela passai (foto in apertura, ndr). Lui mi diede quella con la tacchetta rotta. E quella rivoleva. Avevo un paio di tacchette di scorta in ammiraglia e senza attrezzi specifici gliela rimontai e anche bene. Ma non fu facile tra le curve, in piena corsa». Michele riprese la scarpa desiderata e concluse terzo alla spalle di Camenzind e Van Petegem. «E continuò ad usarla anche dopo quella corsa».

Giro 2010, Basso in azione nella tappa di Montalcino
Giro 2010, Basso in azione verso Montalcino

Montalcino peggio della Roubaix

Ma uno dei ricordi che più coinvolge in tutto e per tutto Giuseppe Archetti è la mitica tappa di Montalcino al Giro d’Italia 2010.

«Mamma mia, i componenti delle bici hanno sputato terra per i quattro giorni successivi! Neanche nella peggiore delle Roubaix ho visto una cosa del genere. Facemmo un sopralluogo prima del Giro e dopo quella ricognizione chiedemmo a Veloflex di farci dei tubolari più larghi: da 26 e 28 millimetri. Il resto tutto sommato era standard. Ricordo che Nibali abbassò un pochino la sella e che Basso pregava perché non piovesse. Ma le previsioni davano pioggia e così anche tenendo conto delle previsioni utilizzammo quei tubolari maggiorati. Adesso non ricordo chi, ma furono usati sia i 26 che i 28 millimetri, una novità per quegli anni. 

«Fu un lavoro enorme anche nei giorni successivi. Cambiammo nastri, fili, catene, pignoni… di tutte le bici. Tutte. E per assurdo quelle che stavano sulle ammiraglie erano messe peggio di quelle usate dai corridori. Sarà che si alzava il pulviscolo dalle macchine ma avevano fango e terra ovunque. Gli oli? Non si poteva usare quelli più grassi altrimenti lo sporco si accumulava, ma neanche gli altri normali. Ideai un miscuglio, ma tanto per come andò ci potevo mettere anche l’olio d’oliva!».

Giuseppe Archetti al Giro 2019

Meccanici cosa si ricompra per la nuova stagione?

26.11.2020
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Durante la stagione i meccanici cambiano una miriade di componenti soddisfacendo le richieste dei corridori. Ci siamo chiesti se ci sono degli attrezzi o dei materiali che all’inizio di quella nuova non devono proprio mancare. Così abbiamo sentito alcuni meccanici di alcune squadre per farci raccontare le loro esigenze.

Il calibro non deve mancare

Iniziamo da Giuseppe Archetti, responsabile dei meccanici dell’UAE Team Emirates e anche meccanico della nazionale italiana.
«Direi che attrezzi da lavoro tipo chiavi esagonali, forbici, pinze varie, non li cambiamo spesso, almeno che non si siano rotte – esordisce così Archetti – ma è difficile, di solito durano qualche anno».

Il discorso cambia un po’ se cambia il marchio dei gruppi in dotazione alla squadra. «Nel caso in cui si cambia l’azienda che fornisce i gruppi allora bisogna cambiare alcune chiavi particolari per i serraggi, perché ogni marchio ha la sua».

Ma c’è un attrezzo che proprio non deve mancare: «E’ il calibro per il forcellino del cambio posteriore, perché con gli spazi stretti dei cambi moderni se non hai questo attrezzo, che ti permette di tenere la catena in linea con la ruota posteriore, allora sono guai».

E poi c’è la chiave dinamometrica: «A forza di prendere una botta di qua e una di la ogni tanto la cambiamo perché si sballa un po’, ed è importante averla per i serraggi corretti».

chiave dinamometrica
La chiave dinamometrica è tra gli strumenti più controllati
Chiave dinamometrica
La chiave dinamometrica è una delle più controllate e tenuta con maggiore cura

Il camion deve essere funzionante

Matteo Cornacchione è uno dei meccanici del Team Ineos Grenadiers e anche lui ci fornisce particolari interessanti.

«Diciamo che noi siamo ben messi con Unior – dice – che è l’azienda che ci rifornisce di attrezzatura. Non ci sono chissà quali chiavi da sostituire, perché di solito durano qualche anno. Ti dico che le uniche che cambiamo ogni anno sono le brugole da 2, 3 e 4 millimetri, perché sono quelle che usiamo maggiormente per i serraggi dei manubri e selle. Quelle un po’ si rovinano e allora le cambiamo a inizio anno per stare sicuri».

Ma c’è un grande lavoro che i meccanici della Ineos fanno ogni anno prima della stagione ed è quella di controllare che tutto funzioni sul camion.

«A dicembre, la settimana prima del raduno con i corridori – spiega – controlliamo che tutto funzioni sul camion officina. Controlliamo l’idropulitrice, perché se non funziona quella sono guai. Guardiamo se il frigorifero, la lavatrice, le scalette interne e i cassetti sono tutti funzionanti. Una volta fatto questo, il camion va a fare il tagliando e poi lo riforniamo con il materiale che ci può servire per almeno un mese di gare».

Cavaletto Bicisupport
Anche i cavaletti più rovinati vengono sostituiti
Cavaletto Bicisupport
Anche i cavaletti più rovinati vengono sostituiti a inzio stagione

Occhio alla dinamometrica

Passando in casa Trek Segafredo, Mauro Adobati è più o meno sulla stessa linea.

«Non cambiamo molte chiavi – spiega – le uniche che si usurano durante la stagione e preferiamo avere nuove ogni anno sono le torx e le brugole da 4 e 5 millimetri, che sono quelle che usiamo per stringere i manubri, le pinze dei freni a disco e il reggisella».

Anche per Adobati la dinamometrica è un attrezzo da tenere in ordine.
«La dinamometrica non la cambiamo tutti gli anni – dice – però cambiamo l’innesto alla chiave per non rischiare. Sai, a forza di stringere, gli innesti si arrotondano e si rovinano. Poi cambiamo i cavalletti più rovinati, ma più per una questione estetica a cui gli sponsor tengono molto, giustamente».

Mauro Adobati ci fa notare che: «cambiando le bici tutti gli anni, abbiamo tutto nuovo e quindi non c’è una grande usura degli attrezzi. E poi veniamo riforniti di molto materiale ogni anno quindi abbiamo tutto in abbondanza».

Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite all’inizio di ogni stagione

Se cambia il gruppo, allora…

Uno dei meccanici più esperti del gruppo è Nazareno Berto che ora è in forze alla Bardiani CSF.
«A inizio anno – dice – cambiamo qualche chiave torx e le brugole da 2, 3, 4 e 5 millimetri, per il resto abbiamo i nostri attrezzi che usiamo finché non si rompono, ma è difficile».

Berto ci conferma quanto detto da Archetti: «C’è bisogno di attrezzi nuovi solo quando si cambia il marchio del gruppo, se passi da Shimano a Campagnolo o Sram. In quel caso ti servono attrezzi specifici per ogni marchio, soprattutto per l’impianto idraulico dei freni a disco, perché ogni azienda ha il suo sistema, le sue pastiglie, le guaine, le siringhe per l’olio, le pinze freni diverse. In quel caso allora bisogna rifornirsi di nuovo e non deve mancare nulla»

Archetti: «La fissa di Tadej? La leggerezza»

29.10.2020
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Leggerezza. A quanto pare è questa la parola d’ordine di Tadej Pogacar per la sua bici. Ce lo confessa il meccanico della UAE Team Emirates, Giuseppe Archetti. Avevamo già parlato della Colnago V3Rs dello sloveno. Stavolta torniamo sull’argomento, approfondendo un po’ più i gusti e le scelte del corridore.

Il meccanico bresciano ne ha avuti di campioni tra le mani o, meglio, le loro bici. E come spesso accade chi va molto forte come lo sloveno è poco esigente. Per la serie poche fisse e pedalare.

Ruote alte e freni a disco: Pogacar in una tappa di “pianura”
Ruote alte e freni a disco: Pogacar in una tappa di “pianura”

Quella sera alla Vuelta

«L’unica fissa di Tadej – racconta Archetti – se così possiamo dire è la leggerezza. Quando la sua bici è a 6,830 chili e gliela fai vedere sulla bilancia, lui è contento. E non è che lo controlla sempre, lo fa soprattutto nelle tappe importanti, quelle in salita. Quel peso infatti è legato alle ruote. Quando la strada sale usa quasi sempre le Campagnolo Bora con profilo da 35, può capitare che utilizzi anche quelle da 50, ma è più raro. Mentre in pianura monta quelle con profilo da 60, che chiaramente pesano un po’ di più. 

«Questa cosa del peso è nata l’anno scorso alla Vuelta. Deve averne parlato in gruppo. Una sera è venuto e mi ha chiesto: quanto pesa la mia bici? Gliel’ho fatta vedere e una volta assicuratosi che stava sui 6,8 chili si è tranquillizzato».

La Colnago VR3Rs è già di suo una bici molto leggera. E quando Pogacar utilizza il set di ruote per la salita, Archetti dice che la belva va zavorrata. Vengono inseriti dei piccoli pesi nella zona bassa del movimento centrale.

Quando la sua bici è a 6,830 chili e gliela fai vedere sulla bilancia, lui è contento

Giuseppe Archetti, meccanico UAE

«Li mettiamo lì perché la bici ha meno scompensi – riprende Archetti – e la guida ne risente di meno. Peso di 6,830 chili con il Garmin. Senza Garmin, saremmo stati, come dire, molto al limite! Il nostro addetto stampa nei post tappa aveva sempre con un computerino nella tasca, pronto a montarlo sulla bici nel caso qualcuno l’avesse voluta pesare».

Tubolare se piove

Un altro elemento a cui Tadej presta attenzione sono le gomme. Il suo range di pressioni oscilla tra le 6 e le 6,8 bar, a seconda che sia asciutto o bagnato, se ci sono strade rovinate o buone, se opta per i tubolari o tubeless. Il loro fornitore è Vittoria. Di solito nelle tappe più dure o quando piove Tadej preferisce i tubolari, in quanto gli danno più sicurezza.

«Il tubeless per me è il futuro – dice Archetti – soprattutto al di fuori delle competizioni. Dopo 35 anni in questo settore resto dell’idea che un buon tubolare non sia inferiore. L’anno scorso Pogacar mi chiedeva qualche consiglio, ma alla fine, come ripeto, si è regolato con il tubeless nelle tappe più facili e il tubolare in quelle di salita».

Pedivelle da 172,5 millimetri su strada e da 170 a crono
Pedivelle da 172,5 millimetri su strada e da 170 a crono

Pedivelle variabili

Non è un maniaco della bici quindi Pogacar, ma gli piace testare i materiali. Vuol sapere che cosa sta usando.

«E’ molto attento – continua Archetti – alla scelta delle pedivelle. A cronometro utilizza quelle da 170 millimetri, mentre nelle tappe normali quelle da 172,5.

«Lo trovate strano? Ormai ci sono numeri e strumenti che certificano il rendimento dell’atleta. Lo dicono i test effettuati in pista. Pensate che Brandon McNulty che è alto 1,87 metri al Giro d’Italia a crono utilizzava pedivelle proprio da 170 millimetri.

«Le uniche cose sulle quali Tadej ci ha messo un po’ a decidere sono stati la sella e il manubrio, ma una volta fatta la scelta non ha più toccato nulla. Per quanto riguarda la sella è passato alla Prologo Scratch M5. Quando è arrivata se l’è portata a casa, ci si è allenato e poi sentendola più comoda l’ha scelta definitivamente. Sul manubrio invece c’è stato qualche “cambio”. Aveva la piega Deda Sl (Superleggera, ndr), ma quando ha visto l’Alanera l’ha voluta provare. Dopo però è tornato all’Sl per poi optare definitivamente per l’Alanera, che è una piega integrata».

Chissà, forse un po’ avrà inciso anche l’impatto estetico, che in effetti è notevole con quella piega.

Ultima chicca (e che chicca) è la corsa dei freni. «Pogacar ama una corsa breve, sia all’anteriore che al posteriore. E anche una leva vicino alla piega. Tuttavia il comando Campagnolo (Super Record 12V, ndr) non consente questa regolazione. Ho fatto io un lavoro artigianale, di fresatura, e gliel’ho avvicinata. La stessa regolazione che mi chiedeva Gilberto Simoni».