Archetti, il Giro da casa e il ruolo del meccanico

12.05.2021
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«Simoni mi faceva impazzire – racconta Giuseppe Archetti, meccanico tra i più esperti del gruppo – “Quello lì” quando si metteva in mente una cosa… ciao! E la dovevi fare…

«La sua bici sulla quale feci più interventi fu quella per lo Zoncolan nel 2003. Certe cose ormai non le ricordo più con precisione, ma di sicuro montò il 38 davanti e mi sembra il 30 al posteriore. Aveva un telaio particolarmente leggero, solo per le salite. Credo che la sua sia stata la prima bici in assoluto dei pro’ a raggiungere il famoso limite dei 6,8 chili, 6,810 per la precisione. E sapete cosa mi disse? Ma quei 10 grammi li possiamo togliere?».

Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera
Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera

Meno “magie”

Archetti dopo molti anni non è al Giro d’Italia. Il motivo? Scelte tra lui, la Fci e la Uae, la sua squadra, che lo vogliono anche tra gli “azzurri” in partenza per Tokyo. Mastro Archetti infatti è anche il meccanico della nazionale. Quello è l’obiettivo principale e per il quale si sta preparando. Anche lui deve essere in forma per la trasferta a Cinque Cerchi. Con lui cerchiamo di capire se il suo lavoro cambia in vista delle tappe più dure, come ci ha raccontato per Simoni sullo Zoncolan.

Una volta, ma non un secolo fa, 10-15 anni fa, specialmente prima delle tappe più dure e a cronometro, il meccanico poteva essere l’arma in più per il corridore. Era quasi un inventore, forse un artista, di certo un vero artigiano.

«Oggi la figura del meccanico è molto cambiata – spiega Archetti con filo di nostalgia – C’è una tale quantità di materiali e di direttive, di regole da rispettare, che siamo molto più vincolati». Sono finiti i tempi in cui si limavano le viti, si tagliavano i reggisella, si foravano le pieghe manubrio. «Oggi tutto questo è impossibile. Almeno per noi in Uae è così, ma sono certo che vale anche per altri team. Ci sono norme sulla sicurezza e assicurative che certe cose non le puoi fare. 

«Anche per le tappe di montagna il lavoro è lo stesso di una qualsiasi altra tappa, soprattutto se si ha l’uomo di classifica. Si prepara tutto prima di partire. Il giorno che precede il tappone si decidono giusto i rapporti ed eventualmente le ruote da utilizzare. Ormai si fanno i sopralluoghi, si sa tutto prima di partire. A volte è capitato che ci sia andato anche il meccanico a farli, ma ormai lui è più un esecutore di ciò che gli dicono il preparatore e il corridore. Non dico che siamo dei manovali, ma quasi. Una volta per avere una particolare cassetta posteriore per Ivan Basso impazzimmo con Campagnolo, ma riuscimmo a dargliela. Adesso dobbiamo montare ciò che ci danno».

Il peso conta sempre

Movimenti limitati, dunque. Strettamente legati anche alle imposizioni del marketing, però il lavoro del meccanico conta ancora. Specie quando si parla di peso che con i freni a disco è tornato leggermente a salire.

«I 6,8 chili sono la normalità per tutti. O almeno così era prima dei freni a disco. A noi della Uae, Colnago dà la possibilità di utilizzare i freni tradizionali per le tappe di salita proprio per limare quei pochi etti di differenza. Le bici le carichiamo sul camion già prima di partire per il Giro e alla vigilia di quella tappa le tiriamo fuori. Sono già tutte a misura».

Una volta si alzava leggermente la sella, per favorire il riporto della gamba in salita, questione di millimetri che servivano quasi più per la testa che per i muscoli, però si faceva.

«No, nessuno cambia più nulla. Oggi il 99% dei corridori parte con delle misure e le mantiene, anche perché avendo molte bici hanno meno “fisse mentali”. Una volta ne avevano una sola. Pensate che venivano alle corse con la bici con cui si allenavano! Poi ne hanno avute due, una a casa e una alle corse. Adesso ne hanno molte e quindi passano da una specialissima ad un’altra senza troppi problemi. Non utilizzando sempre la stessa avvertono meno eventuali differenze. Differenze che poi con i moderni strumenti per la misurazione praticamente non esistono. L’unica cosa a cui sono ancora sensibili è la sella nuova. Essendo più “dura”, flette meno e può capitare di abbassare il reggisella, ma di un millimetro».

rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33
Rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33

Ruote e rapporti

Ma se non ci si può più inventare nulla e si deve utilizzare il materiale originale che viene fornito, si può scegliere cosa utilizzare. E quando ci sono tappe molto dure o salite estreme il primo intervento chiaramente riguarda i rapporti.

«Oggi in tanti usano il 34 e il 36, la tendenza è quella. Aumenta l’utilizzo del 32 al posteriore. Vedo che però a volte me lo riportano pulito, segno che poi non lo usano. Vale il discorso che più la catena lavora dritta e più si riducono gli attriti. Dicono…

«Mentre sulle ruote noi in Uae abbiamo una regola semplicissima: alto profilo per le tappe di pianura e medio profilo per quelle di montagna. Quindi 45-60 millimetri per chi utilizza i tubeless e 50 i tubolari. Mentre diventano 33 millimetri per i tubeless e 35 per i tubolari. Il set con i tubolari è un po’ più leggero ma la scelta è totalmente soggettiva, spetta al corridore».

La regola di Archetti in questo caso è vera per quel che riguarda la soggettività delle scelte, ma neanche così netta. Come abbiamo visto nelle foto in precedenza solo ieri, verso Sestola, in Uae c’erano almeno quattro setup diversi. E pur essendo salita qualcuno ha usato i freni a disco e l’alto profilo.

«Anche per lo sterrato ormai non si cambia più molto – conclude il meccanico – La bici è quella. Cambiano le coperture. Noi in Uae usiamo orami sempre il 25 o 26 millimetri, magari qualcuno monterà il 28 salendo verso Campo Felice».

Soprattutto quando si parla di tecnica bisogna essere realisti e bisogna prendere atto che nel mondo del ciclismo che si evolve a velocità mai viste prima, anche il ruolo del meccanico sta cambiando. Le “invenzioni” particolari sono sempre meno. Ma come abbiamo visto con i corridori della Uae, per esempio, sono le scelte del tanto materiale a disposizione a fare la differenza e a rendere in qualche modo ancora “naif” l’intervento del meccanico.

UAE tour 2020

I lavori forzati dei meccanici (e delle bici) allo UAE Tour

09.02.2021
5 min
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Si avvicina la partenza dell’UAE Tour che si terrà dal 21 al 27 febbraio. Certamente non è una manifestazione come le altre, ma presenta alcune peculiarità organizzative. Una su tutte è quella di non avere le proprie ammiraglie, ma bisogna usare quelle fornite dall’organizzazione. Ci siamo fatti raccontare da quattro meccanici come si organizzano e cosa cambia rispetto alle altre gare.

Portabici diversi

Partiamo in rigoroso ordine alfabetico con Mauro Adobati, meccanico del Team Trek Segafredo.
«Per l’UAE Tour bisogna impacchettare tutto il materiale che usiamo di solito e lo spediamo – ci spiega Adobati – la grande differenza rispetto alle altre gare in Europa è che i portabici sulle ammiraglie portano massimo cinque biciclette, mentre sulle nostre ne teniamo otto».

Il numero ridotto di biciclette su ogni ammiraglia costringe a fare qualche scelta: «Delle cinque biciclette solo due sono con le ruote già montate ed ovviamente mettiamo quelle dei corridori di punta. Sulla seconda macchina mettiamo le altre bici, e facciamo in modo che le due complete di ruote siano una taglia grande e una piccola, così siamo coperti anche dietro».

Adobati ci ha detto nelle edizioni precedenti è capitato che si fossero fatti spedire anche i loro portabici, ma che ora è un’operazione che si fa soltanto per le gare in America.

Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette
Le ammiraglie all'ultimo UAE Tour  2020 con cinque biciclette
Le ammiraglie all’ultimo UAE Tour con cinque biciclette

Temperature e sabbia

Abbiamo chiesto se con le temperature elevate si usino delle pressioni delle gomme differenti.
«In realtà in questo periodo le temperature negli Emirati Arabi sono come le nostre di fine maggio – precisa il meccanico della Trek Segafredo – quindi non ci sono differenze nelle pressioni dei pneumatici».

Ma c’è un elemento che nel deserto può dare fastidio agli ingranaggi e richiedere un surplus di lavoro.

«La sabbia del deserto da fastidio, perché si attacca alla catena e penetra negli ingranaggi. Per lo UAE Tour usiamo un olio apposta per la polvere, che nasce per la mountain bike e ha una formulazione più fluida. E poi la sera bisogna lavare molto bene tutte le biciclette. Quando torniamo a casa cambiamo tutte le catene».

L’esperienza di Archetti

Problemi simili anche per chi potremo dire “gioca in casa”, vale a dire Giuseppe Archetti meccanico dello UAE Team Emirates.

«Per quanto riguarda il materiale – dice – non ci sono grandi problemi, mettiamo tutto dentro delle casse e le biciclette vengono spedite con le borse Scicon di cui siamo equipaggiati. Quello che cambia è che le ammiraglie possono portare solo cinque biciclette, invece delle otto nostre, e visto che corrono in sette mettiamo sulla prima ammiraglia quelle dei corridori che si giocano la vittoria».

Olio più fluido

Anche per Archetti a livello di pressioni delle gomme non cambia nulla rispetto alle altre corse, però la sabbia rimane un problema.
«Quando tira vento ti accorgi che la sabbia entra ovunque – continua – la sera dobbiamo curare di più i movimenti centrali, i mozzi delle ruote e lavare molto bene le catene. Usiamo un olio della WalBike che è più fluido rispetto al solito, così evitiamo che si attacchi ancora di più sulla catena».

Archetti ci ha poi raccontato dell’esperienza dell’ultimo ritiro della squadra proprio negli Emirati Arabi: «Dopo l’ultimo ritiro di 16 giorni abbiamo dovuto cambiare tutte le catene, non perché fossero consumate dal logorio, ma perché la sabbia si era infilata negli ingranaggi».

Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche
Il vento con la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici
Il vento e la sabbia mettono a dura prova le parti meccaniche delle bici

Qualche limitazione c’è

Alberto Chiesa è uno dei meccanici del Team BikeExchange.
«A livello organizzativo non cambia molto – dice – nel senso che imballiamo il materiale e lo spediamo. L’unica cosa cui bisogna stare un po’ attenti e che non puoi portare proprio tutto, ma devi cercare di limitare qualcosa. Dovendo trasportare tutto in aereo, bisogna contenere gli spazi e i costi».

Per quanto riguarda le gomme: «Non cambia nulla, le temperature sono sui 25/26 gradi, al massimo c’è qualche foratura in più causata dalla sabbia».
Anche per Alberto Chiesa la sabbia è un elemento a cui bisogna stare attenti.
«Usiamo un olio più secco che non attira la polvere – ci spiega – non deve essere siliconico o teflonato, così la sabbia non si attacca. In questo modo non abbiamo mai avuto grossi problemi».

Cambio bici più difficile

Infine, abbiamo sentito Matteo Cornacchione della Ineos Grenadiers.
«A noi meccanici non cambia molto – esordisce il meccanico romagnolo – io porto con me la mia valigetta con i miei attrezzi. Quello che cambia è che come ammiraglie ci vengono dati dei Suv ed è un po’ più difficile prendere le biciclette nel caso di un cambio veloce».

Anche per la squadra di Ganna c’è un grande lavoro di imballaggio dei materiali e delle biciclette. «Nelle borse delle biciclette oltre al telaio e alle ruote – dice – mettiamo sacchetti pieni di borracce, così ci fanno anche da protezione contro eventuali urti. Ogni borsa peserà sui 30 chilogrammi. In totale portiamo 23 biciclette più 5/6 telai di scorta».

Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura
Fernando Gaviria all'UAE Tour 2020
Fernando Gaviria riparte dopo una foratura

Anche i rulli

A differenza di altre squadre i meccanici della Ineos Grenadiers devono fare un piccolo sforzo in più.
«I nostri preparatori vogliono che portiamo anche i rulli – continua Cornacchione – così nella cronometro i ragazzi si possono scaldare allo stesso modo delle altre gare».

E poi c’è il fattore sabbia.
«Con il vento dà fastidio – ci dice – noi mettiamo tutte le bici dentro un furgone fino alla partenza, così sono perfette. A fine giornata ti rendi conto che c’è sabbia ovunque. Per essere sicuri laviamo anche quelle di scorta. Quando si ritorna si aprono tutti i movimenti centrali e gli sterzi e si lavano per bene»

Da Bartoli a Basso, le storie di “mastro” Archetti

01.01.2021
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Dici Giuseppe Archetti e subito pensi ai meccanici indaffarati tra bus e ammiraglie. Il lombardo ha iniziato a stare là in mezzo nel lontano 1989. Arrivò nella Carrera di Bontempi, Ghirotto, Chiappucci, Chiesa… Fu suo cognato, meccanico nella stessa squadra, a lasciargli il posto. Carrera aprì l’azienda Podium, lui si tuffò nella nuova avventura e per Giuseppe si spalancarono le porte nella squadra. Una passione mai doma, che ancora lo lega a nomi come Piero Piazzalunga, meccanico e mentore storico, o Ernesto Colnago. «Lavoro oggi con le sue bici e quando vado da Colnago – dice Archetti – è sempre un’emozione. Ancora imparo qualcosa. Scopro che le vecchie specialissime erano fatte molto bene, come quelle di adesso».

In questo primo giorno dell’anno, nell’ozio del divano, è il momento di riaprire “l’album dei ricordi”. E Archetti ne ha tanti. Il meccanico della UAE ci racconta quelli a cui è più legato. O semplicemente quelli che gli vengono in mente prima…

L’aggancio del pedale ideato da Archetti per Simoni
L’aggancio del pedale speciale di Simoni

La bici leggerissima di Simoni

«Era il 2002 e Gilberto voleva assolutamente arrivare a limite dei 6,8 chili. Sembrava facile ma in realtà non era così, soprattutto all’epoca. O andavi a cercare materiali chissà dove, che però non davano sicurezza o era un bel problema. E la squadra, la Saeco, non voleva che usassimo certi pezzi. A quell’epoca ce ne furono di rotture di cerchi, di forcelle… Così iniziai a cercare presso ditte sicure. Time per la forcella, Mavic per le ruote, Cannondale per un certo tipo di telaio e così arrivammo a quel peso. Ancora lo ricordo: 6,810 chili… con la nostra bilancia. Corti, il team manager mi disse: metti su 50 grammi, che te ne frega, siamo parecchio al limite e non vorrei avere problemi con la bilancia dell’Uci. Ma Simoni non ne voleva sapere. Puntuale vado alla pesa e la bici è sotto i 6,8 chili! Non vi dico quante me ne ha dette Corti. Cambiai il tutto in quattro e quattr’otto. Presi un altro telaio Cannondale “più pesante” e me la cavai. Era il Cannondale Caad 6, che spettacolo che era: carta velina, tutto in alluminio.

«Sempre con Gibo a forza di togliere peso qua e là avevamo trovato dei pedali Time molto leggeri. Tuttavia lo stesso Simoni diceva che non sentiva il giusto appoggio quando spingeva. Mi procurai dei dischi di carbonio e iniziai a lavorare di lima e fresa e ideai una base adatta. Ma poi c’era il problema della tacchette, che effettivamente erano pesanti. Quelle fornite erano in ottone. Io le feci fare in titanio, tutte scavate. Fu un lavorone».

La sfida di Cipollini

«Eravamo di ritorno dal Romandia, quindi ormai a ridosso del Giro. Era quello del 2000 che scattava da Roma. Cipollini mi fa: “Se hai gli attributi, per la partenza del Giro mi fai trovare un telaio bianco perla”. Cavolo! Una volta non era mica come adesso. I telai erano su misura, serviva tempo per realizzarli. Fatto sta che mi ricordo che la bici da crono di Roberto Petito aveva le stesse misure di quella di Mario. Chiamo Guido Bontempi, allora direttore sportivo, e gli faccio smontare la bici di Petito. Passo a casa e vado da un verniciatore di mia conoscenza e gli faccio togliere anche il nome di Petito. Alla partenza da Roma, Cipollini aveva la bici che voleva. Non si era accorto che non fosse la sua. E non ha mai saputo (fino ad oggi, ndr) che quella bici era di Petito. Lì, mi sono salvato proprio in calcio d’angolo!»

Chiappucci in azione e in ammiraglia (dietro a Sandro Quintarelli) un giovane Archetti
Chiappucci in azione e in ammiraglia un giovane Archetti

Le fisse di Chiappucci

El Diablo anche non deve essere stato un corridore semplicissimo da gestire, anche sul fronte della meccanica.

«Chiappucci s’inventava spesso di cambiare bici durante la tappa. Magari correva con quella ordinaria e poi prima della salita voleva quella speciale. Ne prendeva una in titanio, una rarità per l’epoca. Il problema è che magari te lo diceva la mattina prima di partire. Una volta non avevamo bici pronte come oggi. Non c’erano i camion attrezzati e non c’era spazio per lo stoccaggio delle bici pronte all’uso. Le dovevi montare ogni volta. Mi ha fatto fare certe corse. E poi soprattutto in quei momenti voleva rapporti particolari. Di solito partiva con il 13 e andava a salire, perché li preferiva in sequenza: quindi 19, 20, 21…».

Bartoli a Valkenburg

Campionati del mondo di Valkenburg 1998. L’Italia parte con uno dei favoriti più accreditati, Michele Bartoli. Il toscano aveva l’abitudine di cambiare spesso le scarpe prima degli appuntamenti a cui teneva di più. Diceva di sentire la spinta più “pronta”. E lo fece anche quella volta.

«E succede – riprende Archetti – che pronti via e Bartoli rompe una tacchetta. Non si riusciva a farlo fermare ai box. In ammiraglia avevamo una scarpa di scorta e gliela passai (foto in apertura, ndr). Lui mi diede quella con la tacchetta rotta. E quella rivoleva. Avevo un paio di tacchette di scorta in ammiraglia e senza attrezzi specifici gliela rimontai e anche bene. Ma non fu facile tra le curve, in piena corsa». Michele riprese la scarpa desiderata e concluse terzo alla spalle di Camenzind e Van Petegem. «E continuò ad usarla anche dopo quella corsa».

Giro 2010, Basso in azione nella tappa di Montalcino
Giro 2010, Basso in azione verso Montalcino

Montalcino peggio della Roubaix

Ma uno dei ricordi che più coinvolge in tutto e per tutto Giuseppe Archetti è la mitica tappa di Montalcino al Giro d’Italia 2010.

«Mamma mia, i componenti delle bici hanno sputato terra per i quattro giorni successivi! Neanche nella peggiore delle Roubaix ho visto una cosa del genere. Facemmo un sopralluogo prima del Giro e dopo quella ricognizione chiedemmo a Veloflex di farci dei tubolari più larghi: da 26 e 28 millimetri. Il resto tutto sommato era standard. Ricordo che Nibali abbassò un pochino la sella e che Basso pregava perché non piovesse. Ma le previsioni davano pioggia e così anche tenendo conto delle previsioni utilizzammo quei tubolari maggiorati. Adesso non ricordo chi, ma furono usati sia i 26 che i 28 millimetri, una novità per quegli anni. 

«Fu un lavoro enorme anche nei giorni successivi. Cambiammo nastri, fili, catene, pignoni… di tutte le bici. Tutte. E per assurdo quelle che stavano sulle ammiraglie erano messe peggio di quelle usate dai corridori. Sarà che si alzava il pulviscolo dalle macchine ma avevano fango e terra ovunque. Gli oli? Non si poteva usare quelli più grassi altrimenti lo sporco si accumulava, ma neanche gli altri normali. Ideai un miscuglio, ma tanto per come andò ci potevo mettere anche l’olio d’oliva!».

Giuseppe Archetti al Giro 2019

Meccanici cosa si ricompra per la nuova stagione?

26.11.2020
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Durante la stagione i meccanici cambiano una miriade di componenti soddisfacendo le richieste dei corridori. Ci siamo chiesti se ci sono degli attrezzi o dei materiali che all’inizio di quella nuova non devono proprio mancare. Così abbiamo sentito alcuni meccanici di alcune squadre per farci raccontare le loro esigenze.

Il calibro non deve mancare

Iniziamo da Giuseppe Archetti, responsabile dei meccanici dell’UAE Team Emirates e anche meccanico della nazionale italiana.
«Direi che attrezzi da lavoro tipo chiavi esagonali, forbici, pinze varie, non li cambiamo spesso, almeno che non si siano rotte – esordisce così Archetti – ma è difficile, di solito durano qualche anno».

Il discorso cambia un po’ se cambia il marchio dei gruppi in dotazione alla squadra. «Nel caso in cui si cambia l’azienda che fornisce i gruppi allora bisogna cambiare alcune chiavi particolari per i serraggi, perché ogni marchio ha la sua».

Ma c’è un attrezzo che proprio non deve mancare: «E’ il calibro per il forcellino del cambio posteriore, perché con gli spazi stretti dei cambi moderni se non hai questo attrezzo, che ti permette di tenere la catena in linea con la ruota posteriore, allora sono guai».

E poi c’è la chiave dinamometrica: «A forza di prendere una botta di qua e una di la ogni tanto la cambiamo perché si sballa un po’, ed è importante averla per i serraggi corretti».

chiave dinamometrica
La chiave dinamometrica è tra gli strumenti più controllati
Chiave dinamometrica
La chiave dinamometrica è una delle più controllate e tenuta con maggiore cura

Il camion deve essere funzionante

Matteo Cornacchione è uno dei meccanici del Team Ineos Grenadiers e anche lui ci fornisce particolari interessanti.

«Diciamo che noi siamo ben messi con Unior – dice – che è l’azienda che ci rifornisce di attrezzatura. Non ci sono chissà quali chiavi da sostituire, perché di solito durano qualche anno. Ti dico che le uniche che cambiamo ogni anno sono le brugole da 2, 3 e 4 millimetri, perché sono quelle che usiamo maggiormente per i serraggi dei manubri e selle. Quelle un po’ si rovinano e allora le cambiamo a inizio anno per stare sicuri».

Ma c’è un grande lavoro che i meccanici della Ineos fanno ogni anno prima della stagione ed è quella di controllare che tutto funzioni sul camion.

«A dicembre, la settimana prima del raduno con i corridori – spiega – controlliamo che tutto funzioni sul camion officina. Controlliamo l’idropulitrice, perché se non funziona quella sono guai. Guardiamo se il frigorifero, la lavatrice, le scalette interne e i cassetti sono tutti funzionanti. Una volta fatto questo, il camion va a fare il tagliando e poi lo riforniamo con il materiale che ci può servire per almeno un mese di gare».

Cavaletto Bicisupport
Anche i cavaletti più rovinati vengono sostituiti
Cavaletto Bicisupport
Anche i cavaletti più rovinati vengono sostituiti a inzio stagione

Occhio alla dinamometrica

Passando in casa Trek Segafredo, Mauro Adobati è più o meno sulla stessa linea.

«Non cambiamo molte chiavi – spiega – le uniche che si usurano durante la stagione e preferiamo avere nuove ogni anno sono le torx e le brugole da 4 e 5 millimetri, che sono quelle che usiamo per stringere i manubri, le pinze dei freni a disco e il reggisella».

Anche per Adobati la dinamometrica è un attrezzo da tenere in ordine.
«La dinamometrica non la cambiamo tutti gli anni – dice – però cambiamo l’innesto alla chiave per non rischiare. Sai, a forza di stringere, gli innesti si arrotondano e si rovinano. Poi cambiamo i cavalletti più rovinati, ma più per una questione estetica a cui gli sponsor tengono molto, giustamente».

Mauro Adobati ci fa notare che: «cambiando le bici tutti gli anni, abbiamo tutto nuovo e quindi non c’è una grande usura degli attrezzi. E poi veniamo riforniti di molto materiale ogni anno quindi abbiamo tutto in abbondanza».

Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite
Le chiavi a brugola e le Torx sono fra le più sostituite all’inizio di ogni stagione

Se cambia il gruppo, allora…

Uno dei meccanici più esperti del gruppo è Nazareno Berto che ora è in forze alla Bardiani CSF.
«A inizio anno – dice – cambiamo qualche chiave torx e le brugole da 2, 3, 4 e 5 millimetri, per il resto abbiamo i nostri attrezzi che usiamo finché non si rompono, ma è difficile».

Berto ci conferma quanto detto da Archetti: «C’è bisogno di attrezzi nuovi solo quando si cambia il marchio del gruppo, se passi da Shimano a Campagnolo o Sram. In quel caso ti servono attrezzi specifici per ogni marchio, soprattutto per l’impianto idraulico dei freni a disco, perché ogni azienda ha il suo sistema, le sue pastiglie, le guaine, le siringhe per l’olio, le pinze freni diverse. In quel caso allora bisogna rifornirsi di nuovo e non deve mancare nulla»

Archetti: «La fissa di Tadej? La leggerezza»

29.10.2020
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Leggerezza. A quanto pare è questa la parola d’ordine di Tadej Pogacar per la sua bici. Ce lo confessa il meccanico della UAE Team Emirates, Giuseppe Archetti. Avevamo già parlato della Colnago V3Rs dello sloveno. Stavolta torniamo sull’argomento, approfondendo un po’ più i gusti e le scelte del corridore.

Il meccanico bresciano ne ha avuti di campioni tra le mani o, meglio, le loro bici. E come spesso accade chi va molto forte come lo sloveno è poco esigente. Per la serie poche fisse e pedalare.

Ruote alte e freni a disco: Pogacar in una tappa di “pianura”
Ruote alte e freni a disco: Pogacar in una tappa di “pianura”

Quella sera alla Vuelta

«L’unica fissa di Tadej – racconta Archetti – se così possiamo dire è la leggerezza. Quando la sua bici è a 6,830 chili e gliela fai vedere sulla bilancia, lui è contento. E non è che lo controlla sempre, lo fa soprattutto nelle tappe importanti, quelle in salita. Quel peso infatti è legato alle ruote. Quando la strada sale usa quasi sempre le Campagnolo Bora con profilo da 35, può capitare che utilizzi anche quelle da 50, ma è più raro. Mentre in pianura monta quelle con profilo da 60, che chiaramente pesano un po’ di più. 

«Questa cosa del peso è nata l’anno scorso alla Vuelta. Deve averne parlato in gruppo. Una sera è venuto e mi ha chiesto: quanto pesa la mia bici? Gliel’ho fatta vedere e una volta assicuratosi che stava sui 6,8 chili si è tranquillizzato».

La Colnago VR3Rs è già di suo una bici molto leggera. E quando Pogacar utilizza il set di ruote per la salita, Archetti dice che la belva va zavorrata. Vengono inseriti dei piccoli pesi nella zona bassa del movimento centrale.

Quando la sua bici è a 6,830 chili e gliela fai vedere sulla bilancia, lui è contento

Giuseppe Archetti, meccanico UAE

«Li mettiamo lì perché la bici ha meno scompensi – riprende Archetti – e la guida ne risente di meno. Peso di 6,830 chili con il Garmin. Senza Garmin, saremmo stati, come dire, molto al limite! Il nostro addetto stampa nei post tappa aveva sempre con un computerino nella tasca, pronto a montarlo sulla bici nel caso qualcuno l’avesse voluta pesare».

Tubolare se piove

Un altro elemento a cui Tadej presta attenzione sono le gomme. Il suo range di pressioni oscilla tra le 6 e le 6,8 bar, a seconda che sia asciutto o bagnato, se ci sono strade rovinate o buone, se opta per i tubolari o tubeless. Il loro fornitore è Vittoria. Di solito nelle tappe più dure o quando piove Tadej preferisce i tubolari, in quanto gli danno più sicurezza.

«Il tubeless per me è il futuro – dice Archetti – soprattutto al di fuori delle competizioni. Dopo 35 anni in questo settore resto dell’idea che un buon tubolare non sia inferiore. L’anno scorso Pogacar mi chiedeva qualche consiglio, ma alla fine, come ripeto, si è regolato con il tubeless nelle tappe più facili e il tubolare in quelle di salita».

Pedivelle da 172,5 millimetri su strada e da 170 a crono
Pedivelle da 172,5 millimetri su strada e da 170 a crono

Pedivelle variabili

Non è un maniaco della bici quindi Pogacar, ma gli piace testare i materiali. Vuol sapere che cosa sta usando.

«E’ molto attento – continua Archetti – alla scelta delle pedivelle. A cronometro utilizza quelle da 170 millimetri, mentre nelle tappe normali quelle da 172,5.

«Lo trovate strano? Ormai ci sono numeri e strumenti che certificano il rendimento dell’atleta. Lo dicono i test effettuati in pista. Pensate che Brandon McNulty che è alto 1,87 metri al Giro d’Italia a crono utilizzava pedivelle proprio da 170 millimetri.

«Le uniche cose sulle quali Tadej ci ha messo un po’ a decidere sono stati la sella e il manubrio, ma una volta fatta la scelta non ha più toccato nulla. Per quanto riguarda la sella è passato alla Prologo Scratch M5. Quando è arrivata se l’è portata a casa, ci si è allenato e poi sentendola più comoda l’ha scelta definitivamente. Sul manubrio invece c’è stato qualche “cambio”. Aveva la piega Deda Sl (Superleggera, ndr), ma quando ha visto l’Alanera l’ha voluta provare. Dopo però è tornato all’Sl per poi optare definitivamente per l’Alanera, che è una piega integrata».

Chissà, forse un po’ avrà inciso anche l’impatto estetico, che in effetti è notevole con quella piega.

Ultima chicca (e che chicca) è la corsa dei freni. «Pogacar ama una corsa breve, sia all’anteriore che al posteriore. E anche una leva vicino alla piega. Tuttavia il comando Campagnolo (Super Record 12V, ndr) non consente questa regolazione. Ho fatto io un lavoro artigianale, di fresatura, e gliel’ho avvicinata. La stessa regolazione che mi chiedeva Gilberto Simoni».