Con la maglia rosa alla scoperta del dolore

16.05.2021
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A prescindere dal fatto che oggi perda la maglia rosa oppure la tenga, ci sono state alcune parole di Attila Valter e del suo direttore sportivo Philippe Mauduit sulla soglia del dolore, pronunciate subito dopo la tappa di San Giacomo, che continuavano a risuonarci nella testa.

«Se mi convinco davvero di qualcosa – aveva detto l’ungherese – la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile».

Il tecnico francese era entrato più nel dettaglio: «Una cosa che abbiamo notato subito è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».

La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…
La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…

Il riferimento alla soglia del dolore ci ha riportato agli interminabili discorsi sul tema con Marco Pantani, capace di andare oltre quel livello, portando i suoi rivali in una zona sconosciuta di cui spesso avevano paura. Per capire meglio ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, che collabora con la Trek-Segafredo e svariati altri atleti.

Come si fa a decidere di soffrire?

Ognuno trova il pulsante per tirare fuori il meglio da se stesso. Sono doti diverse, tratti della personalità. Ci si arriva tramite la razionalità estrema, come magari nel caso della maglia rosa, oppure per istinto e mi viene in mente Alaphilippe.

Parliamo del pulsante?

Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo.

Nel famoso giorno di Montecampione al Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore e il russo ne ebbe paura
A Montecampione nel Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore
Una sorta di volere è potere?

Alla base però c’è un allenamento mentale. Gli atleti hanno a disposizione un’infinità di dati sulla propria fisiologia, ma l’aspetto mentale è cruciale. Marc Madiot, per cui corre Attila Valter, lavora molto sui punti di forza. E’ bravo a tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi, puntando sull’allenamento e anche sull’aspetto motivazionale. In ogni caso, ciò che accomuna la gestione razionale e quella istintiva, è il senso di responsabilità nei confronti del proprio futuro. La fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non crede in se stesso.

Come si fa a imporsi la sofferenza e accettare il dolore?

E’ il momento più difficile da gestire. Sei a tutta, quindi sei vulnerabile, fragile. Ognuno di noi ha una soglia della sofferenza, il fatto di saper andare oltre dipende da quanto sei mentalizzato in partenza e da quanto sei efficace nella tua azione. Se sei in forma, ti viene più facile.

Puoi entrare più nel dettaglio?

Quando feci il Master in Psicologia dello Sport, il dottor Vercelli diceva che quando siamo alla frutta, abbiamo ancora un 5% da dare. E faceva l’esempio della madre che vede il figlio in pericolo e per salvarlo compie gesti fuori da ogni schema.

Oggi al via, Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Quindi è qualcosa che non si può allenare?

Qualcosa si può fare. Dipende dal dialogo interno. Nel momento in cui siamo a tutta e ci spingiamo verso quella porta, qualcosa ci stiamo dicendo. Pensateci. Quando fate uno sforzo molto intenso, non parlate con voi stessi? Di solito ognuno di noi si incita. Oppure visualizza l’immagine dell’arrivo in cima e dell’obiettivo raggiunto. Bisogna imparare a trasformare in termini positivi quello che ci diciamo ed escludere tutto il resto.

Escludere cosa?

La nostra mente ha il limite di processare un’informazione per volta. Se adesso io vedessi qualcosa che mi distrae, automaticamente smetterei di ascoltarti. Staccherei l’attenzione dal primo obiettivo. Se l’atleta vuole rendere al massimo, non deve pensare ad altro. Questa capacità va allenata. Per contro, capita che arrivi da me il professionista che non ce la fa più, che parla di «vomito da fatica». Che non riesce più a reggere perché magari è un po’ depresso ed è entrato in un circolo vizioso.

Le preoccupazioni della vita quotidiana limitano la capacità di soffrire e accettare un altro dolore?

Quando l’atleta porta le sue problematiche, è chiaro che non si parla più solo di sport. Parliamo prima di tutto di uomini e donne. In quei casi, non si possono fare miracoli, ma si lavora per scindere i due aspetti per il breve tempo necessario. E’ un palliativo, perché le due sfere sono integrate. Il massimo che puoi fare è lavorare sulla superficie e sulla concentrazione per portare a casa il risultato.

Ultimo aspetto. Inizialmente hai parlato della quantità di dati che si hanno a disposizione. Esiste un rovescio della medaglia?

Al riguardo ho una visione… equilibrata. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione incredibile, sul fronte degli strumenti e per la necessità di limare ogni dettaglio, dalla bici al peso. Il corridore è iperstimolato su più fronti e si rischia che abbia sempre più bisogno di un supporto esterno per sapere cosa fare. Bennati mi raccontava che atleti più giovani non sono capaci di allenarsi se la batteria dell’Srm è scarica. Per me la via di mezzo è quella maestra.

Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Vale a dire?

Non ci si può più allenare come Coppi, ma torniamo alle sensazioni. Ho caricato i dati su Training Peaks, ho mandato i file al coach. Tutti sanno come sto, ma io come mi sento? Le corse si vincono con i watt, ma anche con le azioni creative. Una cosa che mi sembra sempre strana è vederli arrivare stravolti sul traguardo, quasi barcollare, eppure schiacciare il tasto sul computerino. Cosa cambia se non lo fai? E siccome i più giovani copiano i pro’, si rischia di creare un esoscheletro, ma dentro non c’è niente e poi succede che il corridore arrivi al burnout (molto interessante una precedente intervista con Elisabetta Borgia sulle motivazioni che portarono al ritiro Tom Dumoulin, ndr).

Quindi la morale qual è?

Bisogna lavorare sulla formazione dei direttori sportivi nelle categorie giovanili, è l’unico modo.

Attila terrà la maglia rosa? Le sue parole fanno pensare davvero a un atleta capace di motivarsi fino a far avverare la sua profezia. Se mollerà, come dice Mauduit, avrà dato davvero tutto. Sapremo tutto fra poche ore. Speriamo di avervi dato un’altra chiave di lettura per la tappa di Campo Felice. Ma quanto è bello il ciclismo? E quanto c’è ancora da imparare?

Il Muro d’Huy, trampolino di un’Elisa più fredda? Chissà…

07.05.2021
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«La vittoria di Cittiglio è stata l’highlight di primavera – racconta Elisa Longo Borghini – ma devo dire che anche il Muro d’Huy mi ha dato una bella soddisfazione, perché ho corso con una lucidità che a volte dimentico nel cassetto e non porto con me in corsa…».

A Torino sta per partire il Giro d’Italia, ma ovunque ti giri ti accorgi di quanto ciclismo ci sia in Europa. I professionisti stanno correndo in Algarve, le ragazze sono alla Valenciana. Elisa è a casa e da qualche giorno ha ripreso ad allenarsi seriamente dopo la stagione delle classiche. A breve però anche lei ripartirà proprio dalla Spagna, poi punterà sul Giro Rosa con le Olimpiadi nel mirino. E’ il momento giusto per rivivere la prima parte della stagione e lanciare un ponte sulla seconda.

Il Trofeo Binda di Cittiglio è stato l’highlight di primavera: vittoria per distacco
Il Trofeo Binda di Cittiglio è stato l’highlight di primavera: vittoria per distacco

Istinto e freddezza a Huy

«Penso troppo – continua – lo so da me. E a volte per questo pensare mi capita di perdere l’attimo. Oppure reagisco troppo presto. Sono sempre pronta. Attacco. Inseguo. Calcolatrice non sarò mai, però alla Freccia Vallone sono riuscita a fare rapidamente il ragionamento giusto. Ho capito che se fossi rimasta a ruota di Anna Van der Breggen mi sarei fatta male. Così l’ho mollata e ho preso il mio passo. Ho lasciato passare le due che mi seguivano, pensando che le avrei avute come punto di riferimento. E quando sono arrivata ai 180 metri sul Muro d’Huy, mi sono detta: “E’ il momento di sprintare”. Così sono partita. Le ho saltate. Ed è venuto il terzo posto».

L’aiuto di Borgia

E’ un percorso non semplice. Ci sono corridori con la freddezza innata. Quelli che ne fanno una virtù perché sanno di avere una sola cartuccia da sparare e devono farlo con metodo. E poi ci sono quelli che hanno tanta forza e sono sempre stati abituati a risolvere le situazioni aprendo il gas. Eppure quello che è successo a Huy fa intravedere un cammino diverso.

«Forse è il mio caso – ammette – ho spesso una buona condizione, mi viene facile. A volte si chiude la vena e parto. Quando magari con più freddezza e meno sforzo si potrebbero ottenere risultati migliori. Ci sto lavorando. La squadra collabora con Elisabetta Borgia, che è una bravissima mental coach. Ma credo che ci si arrivi con l’esperienza, facendolo e rifacendolo…».

Il lavoro di Elisabetta Borgia sta dando ottimi frutti: la freddezza di Huy ne è il segno?
Il lavoro di Elisabetta Borgia sta dando ottimi frutti

La zia Elisa

Elisa e il suo ritrovato sorriso sono nati lo scorso anno dopo il lockdown, quando si rese conto del bello che aveva nella sua vita e del rischio di perderlo.

«Sto bene – ammette – mi diverto. A volte momenti così servono per realizzare tante cose. E se capisci di essere fortunato per la vita che hai, ti viene anche di viverla con più leggerezza senza darla per scontata. In questi giorni sono stata a casa. Un recupero blando che ci voleva. Un po’ di relax in famiglia di cui avevo bisogno, perché sono stata a lungo fuori per le corse e prima quando abbiamo cercato di rimanere il più possibile con la squadra. Ho approfittato della zona gialla per andare a salutare qualche amica. Ho portato fuori i miei nipoti in bici. Sono i figli di Paolo. Anna, che ha 12 anni. Marta, la seconda, che ne ha 9. Poi Cristian e Pietro, l’ultimo arrivato. Anna si allena già su strada. Siamo usciti con lei e mio fratello nei dintorni di Ornavasso. Marta si allena con Pietro e altri bambini in un circuito nella zona industriale. Sono bei momenti, ma nel frattempo, da lunedì ho ripreso ad allenarmi anche io. Giusto ieri ho fatto cinque ore e la prossima settimana si riparte. Il 13 maggio alla Emakumeen Nafarroako, il 14 alla Navarra Classics e il 16 al Gran Premio di Eibar, nei Paesi Baschi. E poi dal 20 la Vuelta Burgos».

Seconda alla Strade Bianche, seconda gara della stagione. Il debutto alla Het Nieuwsblad
Seconda alla Strade Bianche, seconda gara della stagione

Test Giro

La Spagna sarà il primo passo verso il Giro Rosa e il Giro Rosa sarà il trampolino verso le Olimpiadi, in una consecutio che le permette di non fare troppi voli pindarici e dare una logica al lavoro, in modo che quel tanto pensare le dia tregua e si concentri su un obiettivo per volta.

«In Spagna si va per riprendere il ritmo – conferma – e per gestire la transizione dal periodo delle classiche al Giro. Sono gare impegnative, in cui davvero potrò testare la gamba. Tornate in Italia, andremo in ritiro a Sestriere, per l’altura e per visionare le prime tappe del Giro, che parte da Cuneo, ma ad esempio ha l’arrivo di Prato Nevoso che andremo a vedere. Ci sarebbe anche una cronoscalata vicino casa mia, ma è scomoda da raggiungere e comunque la conosco benissimo. Provare i percorsi è utile. Abbiamo piattaforme e supporti che permettono di vedere le strade, ma il riscontro personale è quello che ti permette ad esempio di scegliere i rapporti. Il Giro sarà un obiettivo, ma non mi sento di dire: vado e lo vinco. Un po’ perché non è nella mia natura fare proclami e poi perché so che devo lavorare. Lavoro e sacrificio sono una costante nella mia vita. Mi presenterò in buona condizione e poi vedremo le altre. I percorsi sono duri e io non sono una scalatrice pura. Una Van der Breggen pesa 5 chili meno di me e su certe pendenze si sentono. Ma lo stesso sarò lì a combattere».

Olimpiadi di Rio 2016, Elisa Longo Borghini ha appena centrato il bronzo
Olimpiadi di Rio 2016, Elisa ha appena centrato il bronzo

A Tokyo, semmai…

E poi arriverà il momento di pensare a Tokyo, anche se c’è ancora tanto tempo e ti fa capire che il pensiero c’è, ma per ora sta bene nel cassetto.

«E’ meglio andare un passo per volta – conferma – ora la Spagna, poi Sestriere, poi il Giro. Ci sono tante cose da fare, per appiattire tutto sulle Olimpiadi».

Ha ragione, ma il ricordo del bronzo di Rio affiora spesso nei ricordi. Così come capita di pensare alle parole di Salvoldi, una sera sull’Etna a inizio stagione.

«Ogni volta che parlo di convocazioni con la Longo Borghini – disse il tecnico azzurro – le chiedo: “Quando ti ho lasciato fuori?”. E le punta il dito e risponde: “A Londra!”».

Elisa ascolta e fa un mezzo sorriso.

«Preferisco guardare alle Olimpiadi che devo fare – dice – piuttosto che quelle che non ho fatto. Ma indubbiamente ci rimasi molto male. Correre a Londra era un sogno per me, ma devi accettare le scelte».

Adesso basta con i pensieri scomodi. Quello sprazzo di lucidità sul Muro d’Huy è un ottimo riferimento. La stagione sta per rientrare nel vivo e immaginarla sulle sue strade a costruire la forma per andarsi a prendere altri traguardi strappa il sorriso. Sarà la maglia tricolore che indossa. Sarà la generosità in corsa. Saranno lo sguardo e il sorriso. Sia quel che sia, viene da sé pensare a lei come alla nostra bandiera più bella.

Dumoulin si ferma: cosa dice la mental coach?

25.01.2021
4 min
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«Ho deciso di congedarmi per un periodo di tempo indeterminato dal nostro bellissimo sport. Da troppo tempo sento una grande pressione […] Ho dimenticato me stesso». Sono le parole con cui Tom Dumoulin, come un fulmine a ciel sereno, ha dichiarato di lasciare il ciclismo. Per ora sembra una decisione revocabile. E’ più una pausa di riflessione che un addio, ma è di certo un grido d’allarme. Il campione olandese è nel bel mezzo di una crisi.

Ma cerchiamo di analizzare, nel limite del possibile, cosa passa nella testa di Tom. E lo facciamo con Elisabetta Borgia, psicologa dello sport. La questione della pressione è sempre più presente nella vita degli atleti di vertice. La recente autobiografia del campionissimo dello sci Marcel Hircher (fermatosi a 30 anni) parla praticamente solo di come gestiva la pressione. Un anno fa circa, prendeva la stessa decisione Marcel Kittel. Il tedesco tra l’altro ha espresso pubblicamente comprensione e vicinanza a Dumoulin. E senza andare troppo indietro ha fatto la stessa cosa Moreno Moser.

C’è chi ha parlato di depressione post lockdown, ma la questione è molto più ampia e decisamente personale.

Dalla caduta al Giro 2019 le cose non sono più state ottimali per Dumoulin
Dalla caduta al Giro 2019 le cose non sono più state ottimali
Dottoressa Borgia, cosa è successo a Tom?

Premesso che non conosco personalmente Dumoulin ne parlo da ciò che apprendo dai media. Di certo è una novità per noi, ma non per lui. Questa cosa covava da tempo nell’olandese. Una decisione non facile che inevitabilmente ha delle conseguenze: economiche, sui programmi della squadra. Quel che mi stupisce sono le tempistiche.

Perché?

Farlo adesso con la stagione che è appena ripresa, mentre ci sono i ritiri… Evidentemente deve aver pensato sul finire della passata stagione: okay adesso mi fermo, recupero, ci provo ancora. Ma non è andata così.

Lui ha parlato di pressione, tema sempre più ricorrente…

Il ciclismo si fa ad un livello sempre più alto. Se 10 anni fa ad un atleta era richiesto di andare forte e basta e nelle migliori delle occasioni aveva l’articolone a fine mese sul mensile, adesso non è così. Ci sono i social, ha tante figure intorno preparatore, fisiologo, dietologo… che sono tutte su di lui. E se da una parte avere tutto sotto controllo è un vantaggio, dall’altra è facile il rischio di “burnout”, cioè di andare in crisi. Per me però non è solo un qualcosa di negativo.

Cioè?

E’ un’evoluzione. E’ un qualcosa di diverso. Oggi penso sia difficile trovare atleti longevi come qualche anno fa. Come detto le richieste sono cambiate. Oggi il pro’ ha i social, c’è il personaggio, ha gli impegni su Zwift, quelli con gli sponsor, con la famiglia… Tom ha parlato di non riuscire più a gestire le aspettative degli altri, come se dovesse solo dare dei feedback a migliaia di persone.

Olanda in festa per la vittoria del Giro 2017 di Dumoulin, grande folla per lui
La festa dopo la vittoria del Giro 2017 in Olanda
E’ come se fosse uscito da se stesso? 

Sì, e quando succede ciò inizi a guardarti intorno, perdi le sensazioni su di te. Sei disorientato. Questo momento arriva per tutti gli atleti di alto livello. Sei forte, hai pressioni e devi confermarti. Ma nel frattempo le cose non ti vengono più facilmente e non sei più un giovanotto in rampa di lancio, ma il campione con gente intorno che cerca conferme da te. Però ha iniziato un percorso che è quello di riuscire a stare su di sé. Per questo non è tutto negativo. Una cosa poi mi ha colpito.

Cosa?

Dopo aver annunciato il ritiro, Tom è andato a farsi due ore di bici, quindi non si tratterebbe di mancanza di passione per il ciclismo, ma di un problema con la parte agonistica vera e propria di questo sport. Si pensa sempre a fare. Fare di più, fare di più… e spesso succede che nel giorno di riposo gli atleti vadano in crisi perché non sanno fare altro che la loro attività. Invece i momenti di stacco sono importanti. Sono importanti nell’arco della giornata a fine allenamento e nell’arco della stagione. Andrebbero programmati al pari delle gare. Per esserci dei monti, devono esserci delle valli, altrimenti si entra in un loop negativo.

Secondo lei Tom tornerà? 

Domanda difficile. Il tempo lo aiuterà. Io sono convinta che per gestire delle conflittualità devi allontanarti e vedere le cose con il giusto distacco. Allontanarsi lo aiuterà ad abbassare il livello di attivazione emotivo e gestire la cosa con più calma. Spero che possa avere accanto una persona competente e sensibile che lo possa aiutare a trovare la sua strada: che sia riprendere o smettere e fare altro.