Alla Milano-Sanremo di dieci giorni fa Tadej Pogacar ha messo in scena l’ennesimo capolavoro di forza e fantasia, attaccando lì dove da anni si diceva non fosse più possibile farlo: sulla Cipressa. Il fatto che poi sia arrivato terzo è quasi un dettaglio, perché quell’attacco ha deciso la corsa. Ancora di più ha fatto al mondiale, con un attacco (quella volta vincente) partito a 101 km dal traguardo, in quello che chiunque ha giudicato in prima battuta come un azzardo eccessivo perfino per lui.
Ma forse Pogacar è un campione epocale proprio per questo, perché rende possibili cose che fino al momento prima parevano impossibili. Come fosse questa, ancora prima della densità del palmares, la cifra dei grandissimi. Ne abbiamo parlato con Claudio Gregori, forse l’ultimo grande cantore del ciclismo, che nei suoi libri ha raccontato le vite e le imprese di corridori leggendari come Coppi e Bartali, Bottecchia e Merckx. L’ultimo suo lavoro è “Il fiore che vola” sui i primi 100 anni del ciclismo a Pavia dai pionieri alla Sanremo, edito da Univers Edizioni.
Claudio, per trovare paragoni con Pogacar dobbiamo davvero scomodare Coppi e Merckx?
Pogacar è un fuoriclasse assoluto, anche se non ha ancora raggiunto i livelli di loro due. Lo dice il palmares, anche se non si possono mai confrontare epoche diverse, e poi Pogacar può ancora vincere molto. Di certo è eccezionale perché corre in maniera spettacolare, questo è sempre stato molto importante e lo è ancora di più nell’era della televisione. Il vero protagonista della Sanremo è stato lui, non Van der Poel, è lui che l’ha accesa e ne ha fatto una delle più belle Classicissime della storia. Pogacar è la punta del ciclismo moderno per due motivi. Il primo è che quando parte c’è sempre spettacolo, il secondo è che vince da gennaio fino al Lombardia. Non è Vingegaard che esprime al massimo solo in un periodo dell’anno.
In effetti Pogacar con suo modo di correre ha fatto innamorare un po’ tutti fin dalla Vuelta del 2019
Una volta Saronni mi ha detto: «Guarda, con Pogacar non fai il piano prima della gara, lui inventa la tattica in corsa». Ed è così, lui si sente e attacca a 100 km dalla fine, sembra una follia e invece lo porta a termine. Questo ovviamente accende l’immaginazione delle persone. E’ un momento eccezionale per il ciclismo, non c’è dubbio. Il problema per noi italiani è che non abbiamo campioni davvero competitivi. Ora c’è Ganna che ha fatto una bellissima Sanremo, adesso però deve vincere la Roubaix, io lo sto aspettando lì da 5 anni.
Hai parlato della Sanremo, per molti anni abbiamo sentito dire che attaccare dalla Cipressa fosse ormai impossibile, invece il campione del mondo ci ha provato e ci è riuscito. E’ questa la cifra del campione?
Lui ha cambiato le regole imposte negli ultimi decenni, cioè quelle dei giochi di squadra, della tattica pilotata dall’ammiraglia, dove non c’era più spazio per la fantasia. Ecco, lui ce l’ha messa, vive il ciclismo come avventura. Mentre negli anni scorsi le ammiraglie quell’avventura la sopprimevano.
E’ solo una questione di gambe o anche di testa?
Prima semplicemente non c’erano talenti per fare imprese del genere. Ho detto che non ha raggiunto Coppi e Merckx, ma sto parlando di campioni unici nella storia. E magari Coppi a fine carriera potrebbe pure raggiungerlo. Comunque contano le gambe ma anche la testa: infatti all’inizio Pogacar, come anche Van der Poel, attaccava e perdeva. Poi sono migliorati e ora fanno un ciclismo bellissimo, incredibile. Sarò ottimista, ma credo siano anche campioni di un ciclismo più pulito, in cui non vediamo più ronzini diventare purosangue. Ora i campioni veri emergono di più, e non a caso vincono tutto l’anno.
Hai parlato dell’importanza della televisione nelle imprese di Pogacar. Cos’è cambiato rispetto al passato per quanto riguarda il racconto del ciclismo?
Iniziamo a ricordare che Coppi era un campione unico, ancora più puro di Merckx. Coppi ha fatto 10 assoli più lunghi di 100 km, Merckx uno solo. La grande differenza è che gli assoli di Coppi non avevano copertura televisiva. Immaginiamoci se avessimo potuto vedere in diretta i 192 km di fuga alla leggendaria Cuneo-Pinerolo, con Bartali all’inseguimento per 5 colli. Sarebbe stato uno spettacolo indimenticabile. Allora c’era solo la radio, con il conduttore che faceva sognare le persone con poche parole.
Quindi Pogacar ha un vantaggio sotto questo aspetto?
Certo, un vantaggio eccezionale. Per esempio alla Strade Bianche abbiamo potuto goderci tutta l’epopea della caduta, della resurrezione e della vittoria. Una grande impresa, ma resa ancora più grande dalla diretta, perché un conto è leggere alcune cose, un altro è vederle coi propri occhi. La televisione regala immagini calde che ti invogliano a seguire, quando lo vedi scattare partecipi, ti emozioni e ti entusiasmi. Cosa che non ti può dare la lettura, per quanto ben fatta, che è un entusiasmo freddo. L’aspetto mediatico poi non è importante solo per i tifosi ma anche per il corridore, che sa di essere visto.
Accennavi prima al grande momento che sta vivendo il ciclismo. Siamo davvero nell’età dell’oro come a volte sentiamo dire?
Sì, la paragonerei al momento a cavallo degli anni ‘40 e ‘50 in cui c’erano Coppi, Bartali, Van Steenbergen, Magni, Bobet, un germinare di campioni assoluti. Ma è così anche oggi, quando oltre a Pogacar abbiamo la fortuna di vedere all’opera corridori spettacolari come Van der Poel e Van Aert, ma anche Evenepoel, che secondo me sarà il grande avversario dello sloveno per i prossimi anni.
Tra pochi giorni lo vedremo anche alla Parigi-Roubaix, un altro tassello per avvicinarsi ai grandissimi
Non so se ha il fisico adatto per la Roubaix, forse quel pavé così sconnesso è più adatto a corridori più pesanti e potenti come Van der Poel e Van Aert. I 64 chili di Pogacar per quelle pietre mi sembrano un po’ pochini, ma spero di sbagliarmi. Perché con i grandi campioni non si sa mai.