Lenny Martinez: fughe e progetto maglia a pois restano in piedi

09.07.2025
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«Lenny, ti abbiamo visto un po’ in difficoltà in questa prima parte di Tour, cosa è successo?». «Vero, non è stato un buon inizio, ma ieri sono tornato ad avere le sensazioni corrette». Queste parole Lenny Martinez ce le aveva dette esattamente 24 ore prima della sua fuga di ieri, quando si era prossimi alla partenza da Valenciennes.

E ieri quelle sensazioni buone le ha subito messe in mostra il corridore della Bahrain-Victorious. E’ stato lui il combattivo di giornata. E’ stato lui a ritrovarsi in fuga con passisti del calibro di Kasper Asgreen, ed è stato sempre lui l’ultimo a mollare, specie quando c’erano in ballo i punti di un Gpm di terza categoria.

Lenny Martinez arriva in mix zone accompagnato da Jeff Quenet, il responsabile delle conferenze stampa del Tour
Lenny Martinez arriva in mix zone accompagnato da Jeff Quenet, il responsabile delle conferenze stampa del Tour

In lotta col vento

Nella frazione di apertura, Martinez era sfilato sotto l’arrivo di Lille per ultimo. Il suo ritardo sfiorava i 10 minuti. Velocità folli, tanta pianura, ventagli, ma anche il nervosismo della prima tappa… troppo per uno scalatore puro e minuto come lui. E ci si era subito chiesti se l’operazione maglia a pois fosse ancora in piedi.

«Quella prima tappa – racconta Martinez – è stata davvero complicata per me. Non riuscivo a trovare la posizione in gruppo, non mi sono mai sentito a mio agio. In ogni punto ero bloccato, non c’erano spazi e si andava sempre a 60 all’ora. Non sono mai, mai stato davanti al gruppo e sappiamo che se sei dietro è peggio. Le giornate così, con il vento laterale e due volte a favore, sono le peggiori. Ma posso assicurarvi che il progetto maglia a pois va avanti».

«Se ho mangiato o integrato in qualche modo per recuperare? Nulla di particolare, assolutamente tutto nella norma. Ho solo cercato di dormire bene e di avere un buon risveglio. Il corpo è un po’ così: non sempre va tutto come si vuole».

E in effetti, mentre raccontava, Lenny era sereno, sorridente. Non dava l’aria di un corridore preoccupato, teso per la condizione che non c’è e un lungo Tour davanti a lui. Evidentemente sapeva cosa fosse successo e conosceva la sua condizione.

Quanta fatica all’arrivo della prima tappa per Lenny
Quanta fatica all’arrivo della prima tappa per Lenny

Crono a tutta: sì o no?

La maglia a pois come suo nonno Mariano, storia che tante volte abbiamo raccontato e che tanto affascina: sarà il fascino delle salite, sarà il romanticismo di questa “staffetta” quasi cinquantennale, tiene banco. I francesi ci tengono moltissimo e non c’è giorno che non gli chiedano qualcosa in merito. Ma Martinez ci ha tenuto a dire una cosa.

«Okay la maglia a pois – riprende Lenny – ma prima preferisco puntare a una tappa. Quello è il primo obiettivo. La gamba, dopo la prima frazione, ha iniziato a girare bene e spero continui così. In questo Tour ci sono diverse salite che mi piacciono particolarmente. Sicuramente il Mont Ventoux, penso. Mi piace anche La Plagne e poi il Mont-Dore (sul Massiccio Centrale, ndr): quell’arrivo è davvero bello».

Oggi c’è la cronometro e Lenny potrebbe anche decidere di recuperare un po’, tanto più dopo gli sforzi di oggi, ma non ci è sembrato molto convinto in merito.

«In questo Tour de France ci sono due crono. Una, quella di Peyragudes, è una cronoscalata e la farò a tutta. Mentre quella di Caen, vedrò. Se mi sentirò affaticato non credo la farò al massimo, però a prescindere credo che potrebbe essere giusto invece farla a blocco in ottica futura, pensando alla classifica generale. Fra qualche anno».

Grinta e concentrazione: da ieri per Martinez è iniziato un nuovo Tour (foto Instagram)
Grinta e concentrazione: da ieri per Martinez è iniziato un nuovo Tour (foto Instagram)

Generazione francese

Martinez dunque non molla. Ha già in mente le sue tappe e la maglia a pois. Ieri ha dato una risposta importante. Certo, fa e probabilmente farà sempre, una gran fatica contro i “bestioni” per la classifica generale, almeno con questa generazione. Ma in salita c’è.

Tenere su quelle cotes dopo essere stato in una fuga a quattro per tutto il giorno, con la UAE Emirates dietro che tira, non è stata cosa da poco. Ci farà divertire e tanto.

Per ora fa divertire i francesi, che senza più neanche Bardet si godono questa “nouvelle vague”, questa nuova ondata di ragazzi: Gregoire, Seixas, Vauquelin, Valentin Paret-Peintre e appunto Martinez.

«E’ stimolante fare parte di questa generazione – ha detto Lenny – spero che piaccia anche al pubblico».
E a proposito di Valentin Paret-Peintre, il Tour de France, fatte le visite di rito prima del via, ha dichiarato il portacolori della Soudal-Quick Step come il più leggero della Grande Boucle.
A questa dichiarazione Lenny ha un po’ storto la bocca.

«Non ne sono mica sicuro – quasi a voler rivendicare il primato, ovviamente scherzando – in gruppo quando lo incontro glielo chiedo. Io so che peso 54 chili».

In viaggio da Parigi a Roubaix: due debuttanti sul pavé

19.04.2025
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La prima Parigi-Roubaix è come il primo amore, non si scorda mai. L’emozione dell’esordio, la presentazione delle squadre il giorno prima, la ricognizione del percorso, i momenti concitati in gara e, ovviamente, i tratti di pavé. L’inferno del Nord è una corsa unica, come ognuna delle cinque Classiche Monumento, ed esordire non è affatto banale. Sia per i meriti sportivi che per il significato che questa corsa riesce ad avere nei cuori degli spettatori e dei ciclisti stessi. 

Tra i giovani italiani che hanno solcato per la prima volta le pietre della Parigi-Roubaix ci sono Daniel Skerl e Andrea Raccagni Noviero. I due sono arrivati nel velodromo tra gli ultimi, rispettivamente 114­° e 115° ma non per questo la loro cavalcata assume un valore differente. A qualche giorno di distanza andiamo da loro per farci raccontare questo incontro ravvicinato con l’Inferno

SKERL: «Tutto a posto. Poco alla volta io e la mia schiena abbiamo recuperato. Il giorno dopo mi faceva davvero male, anche le gambe ma a quello sono abituato (ride, ndr). Lunedì ho riposato, mentre martedì ho fatto un’uscita di un’oretta».

RACCAGNI: «Ho avuto per qualche giorno dolore al soprasella e alle gambe. Per il resto tutto bene. Mi sono preso un paio di giorni per recuperare, anche se ieri (mercoledì, ndr) sono salito in bici e avevo ancora un po’ di dolore».

Andrea Raccagni Noviero è arrivato sfinito a Roubaix, l’ultima ora e mezza è stata una sofferenza (foto Instagram)
Andrea Raccagni Noviero è arrivato sfinito a Roubaix, l’ultima ora e mezza è stata una sofferenza (foto Instagram)
Com’è andato l’esordio?

SKERL: «La mattina della gara avevo un po’ di ansia perché c’era l’incognita del meteo. Andando alla partenza avevo visto che alcuni tratti erano pieni di fango, non proprio il massimo. Con l’andare delle ore e delle gare che ci hanno preceduto (juniores e U23, ndr) la situazione è migliorata. 

RACCAGNI: «E’ la gara più dura a cui ho preso parte. Si tratta di uno sforzo diverso, non intenso ma a sfinimento. Poi è lunghissima, l’ultima ora e mezza ero devastato. Non so come ho fatto ad arrivare a Roubaix».

Che ruolo avevi in corsa?

SKERL: «Dovevo stare accanto a Fred Wright. All’inizio ho preso i tratti di pavé anche in posizioni decenti, poi mi sono staccato poco prima della Foresta di Arenberg. All’uscita di quel settore mi sono trovato da solo con Declercq, in quel momento ho capito che raggiungere il traguardo sarebbe stato difficile. Per fortuna da dietro è rientrata gente e insieme siamo andati all’arrivo

RACCAGNI: «Fino alla Foresta di Arenberg ero a supporto di Tim Merlier. Siamo entrati un po’ dietro e mi sono dovuto spostare sulla sinistra perché era pieno di corridori fermi a bordo strada. Nello spostarmi ho bucato e lì ho perso una marea di tempo. Sono uscito insieme ad altri quattro corridori, mancavano novanta chilometri all’arrivo e c’era sempre vento contro o laterale. A un certo punto ci ha raggiunto un gruppo grande, ma prendeva i settori a tutta e mi sono staccato. Ho fatto gli ultimi venticinque chilometri da solo. 

Uno dei pochi accorgimenti tecnici della Bahrain Victorious è stato montare copertoni da 35 millimetri
Uno dei pochi accorgimenti tecnici della Bahrain Victorious è stato montare copertoni da 35 millimetri
Emozioni particolari?

SKERL: «Quando ho saputo della convocazione, mi sono detto che sarebbe stata una gara come un’altra. Poi nella settimana prima mi è salita un po’ di tensione, inizi a pensare che sono 270 chilometri, che si corre a 47 di media, nella ricognizione vedi cosa vuol dire pedalare sul pavé. Poi il primo tratto di pietre lo prendi a 160 chilometri dall’arrivo, tra l’altro quei quattro settori all’inizio li ho fatti a ruota di Van Aert. Ammetto che mi ha dato un po’ di energia in più. La cosa impressionante è che mi staccava sui tratti d’asfalto, lima in maniera incredibile. In due pedalate risaliva cinque o sei posizioni. 

RACCAGNI: «In squadra si parlava da un po’ di farmi fare questa corsa. Le carte si erano un attimo rimescolate, poi il mercoledì prima del Fiandre mi hanno detto che sarei andato alla Roubaix. Così quella domenica mi sono fatto un bel lungo di 230 chilometri per prepararmi. L’emozione più grande, oltre ai settori di pavé, l’ho vissuta durante la presentazione delle squadre il giorno prima. Non avevo mai visto così tanta gente». 

Qual è il settore che più ti ha impressionato?

SKERL: «Il Carrefour de l’Arbre. Lì il pubblico è qualcosa di incredibile. A bordo strada era colmo di gente, tutti che urlano e ti incitano, anche a me che sono passato un quarto d’ora dopo i primi. Ero sfinito ma il calore del pubblico ti spinge avanti».

RACCAGNI: «La Foresta di Arenberg. Un po’ perché è la cosa che guardi in tv da bambino e poi perché quando esci realizzi che ti mancano ancora diciotto settori di pavé e sei disperso nelle retrovie che pedali a tutta. Quando ho bucato per fortuna non è andata giù subito la pressione ma è rimasta a un bar, un bar e mezzo. Nel momento in cui entri la corsa esplode, trovi corridori con le ruote distrutte e poi il pubblico batte le mani contro le barriere di plastica e fa un frastuono infernale».

Il sostegno del pubblico è per tutti…

SKERL: «Ti vedono un po’ come un eroe. Nonostante fossi tra gli ultimi il tifo era ugualmente caloroso. C’è una passione così grande per il ciclismo che ti senti parte di qualcosa di grande. Quando ero a ruota di Van Aert sentivi proprio l’amore del pubblico per un campione del suo calibro». 

RACCAGNI: «Tutti quelli che erano lungo la strada urlavano e ti sostenevano. Comunque tra Van der Poel e me saranno passati più di quindici minuti, avrebbero potuto guardare la corsa sul telefono o andare via. Invece erano lì, a bordo strada, ad aspettare gli ultimi e dare loro supporto».

Quando hai capito di aver compiuto la tua impresa personale?

SKERL: «Nel viale alberato di Roubaix. Mancava l’ultimo settore (200 metri proprio in quel viale, ndr) poi sono arrivato nel velodromo. Pensavo che quel giro e mezzo fosse più corto, devo ammetterlo. Con il suono della campana ho capito di aver terminato la mia prima Classica Monumento. Un giorno da non dimenticare, anche perché sono partito alle 11 del mattino da Compiègne e sono arrivato alle 17 a Roubaix». 

RACCAGNI: «Nel velodromo, lì ho pensato a tutta la fatica che ho fatto per finire la gara. Non so con quali forze sono andavo avanti. Ho anche pianto, più per la fatica fatta in bici, non sentivo più nulla. Un’altra cosa che mi ha impressionato è la dimensione del velodromo. E’ piccolo, sembra una pista che abbiamo anche noi vicino a Genova. Dalla tv sembra grande il doppio».

Il sostegno del pubblico è uguale dall’inizio alla fine, anche per l’ultimo del gruppo (foto Instagram)
Il sostegno del pubblico è uguale dall’inizio alla fine, anche per l’ultimo del gruppo (foto Instagram)
Scelte tecniche particolari?

SKERL: «L’unica novità sono stati i copertoni, abbiamo usato quelli da 35 millimetri. Quando sono salito in bici durante la ricognizione mi sembravano quasi ridicoli, invece mi hanno salvato perché sul pavé mi hanno dato una grandissima mano». 

RACCAGNI: «Nessuna. Avevamo gli stessi materiali che utilizziamo nelle altre corse. I copertoni erano da 32 millimetri gonfiati a 3,5 e 3,6 bar».

Ti sei concesso un premio per la tua prima Monumento? 

SKERL: «Nulla di particolare. La cosa che mi ha sorpreso sono stati i messaggi ricevuti a fine gara da amici e conoscenti. Questo è stato il mio regalo più grande, aver dato a tutti quelli che mi vogliono bene un motivo per essere orgogliosi di me mi ha reso felice». 

RACCAGNI: «Festeggiare nel nord delle Francia non è semplice. C’era la mia famiglia, è venuta anche la mia ragazza dalla Repubblica Ceca. La sera ci siamo presi una pizza e l’abbiamo mangiata in hotel. Comunque una cena premio me la sono meritata».

Primo soccorso e defibrillatore: la Bahrain apre la strada

06.01.2024
4 min
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Durante il training camp ad Altea la Bahrain-Victorious. non solo si è allenata, ma ne ha approfittato anche per fare una lezione particolarissima ai suoi atleti e non solo. Lo staff medico, guidato dal dottor Daniele Zaccaria ha organizzato un corso di primo soccorso per defibrillatore (BLS-D).

«Durante il corso – si legge nel comunicato della Bahrain-Victorious – i medici dell’équipe hanno fornito una lezione anche pratica sull’esecuzione della rianimazione cardiopolmonare (RCP) utilizzando il defibrillatore semiautomatico. L’obiettivo di questo corso era quello di fornire a tutti i membri del team le competenze necessarie per rispondere in caso di emergenza e assistere una vittima che subisce un arresto cardiaco improvviso o che affronta lesioni mortali».

Antonio Tiberi (classe 2001) è stato piacevolmente colpito dal corso BLS-D (foto @charlylopez)
Antonio Tiberi (classe 2001) è stato piacevolmente colpito dal corso BLS-D (foto @charlylopez)

Ragazzi catturati

Visto quanto accaduto in queste ultime stagioni al team di Milan Erzen, prima l’arresto cardiaco di Sonny Colbrelli e poi la caduta mortale di Gino Mader, la sensibilità verso certi aspetti è notevolmente aumentata all’interno della squadra. Anche se, ricordiamo, il caso di Mader non è direttamente collegato al tema dell’arresto cardiaco. Più generale però i problemi cardiaci dopo il Covid sono aumentati nel ciclismo.

«Direi che è stato molto interessante – confida Antonio Tiberi – è stato particolare il momento in cui è intervenuto anche il paramedico (Borja Saenz de Cos, ndr) che ha salvato Sonny Colbrelli dopo il suo incidente al Catalunya di due anni fa. Ci ha davvero catturato. Anche Sonny non è rimasto insensibile. E non solo lui…

«Ammetto che tante volte nei grandi meeting di squadra dopo 20′ iniziamo a dare uno sguardo ai telefonini, a parlottare, a svagarci un po’. Mentre questa volta nessuno ha estratto lo smartphone dalla tasca. Il tempo è volato».

Il terribile giorno dell’arresto cardiaco di Sonny Colbrelli (immagine da web)
Il terribile giorno dell’arresto cardiaco di Sonny Colbrelli (immagine da web)

Salvare una vita

La Bahrain-Victorious dunque sembra aver fatto centro. Ha arricchito i suoi ragazzi e ha dato loro una possibilità in più. In qualche modo il concetto di sicurezza è stato esteso.

«Noi – riprende Tiberi – stiamo spesso in giro, sia per il mondo che in bici, e certe situazioni come quella di Colbrelli possono capitare più frequentemente. In allenamento vediamo spesso certi simboli, quelli del defibrillatore e sin qui spesso mi ero chiesto: “Okay ma se dovesse succedere qualcosa, come si usa? Cosa ci devo fare?”. Appunto stando tanto in giro puoi dare una mano, puoi salvare una vita umana».

Il corso è stato strutturato in questo modo. Nei circa 60′ della sua durata, c’è stata prima una parte teorica e poi una pratica. Chiaramente quella che più ha catturato l’attenzione degli atleti è stata la parte pratica, anche perché sembra essere stata divertente.

«Dopo averci spiegato cos’è un defibrillatore – spiega Tiberi – è iniziata la parte più interessante, vale a dire il suo utilizzo e ancora di più la parte relativa al massaggio cardiaco. In pratica ci hanno dato dei manichini specifici, con dei sensori. Noi dovevamo arrivare ad una quota di efficienza del massaggio cardiaco pari al 100 per cento. Ognuno di noi ha eseguito questa simulazione di pronto intervento».

I ragazzi impegnati nella prova pratica di massaggio cardiaco (foto @charlylopez)
I ragazzi impegnati nella prova pratica di massaggio cardiaco. Qui, Mohoric (foto @charlylopez)

Gara a colpi di torace

I ragazzi dovevano attestarsi sui 120 colpi al minuto sul torace e una “profondità” di schiacciamento pari ad un terzo dello spessore del torace stesso. Serviva dunque una certa forza.

«Effettivamente serviva una certa forza. Questa azione durava un minuto e chi riusciva ad attestarsi al meglio sul ritmo dei 120 colpi al minuto e applicava la giusta pressione appunto si avvicinava di più al 100 per cento.

«Personalmente, oltre che utile – conclude Tiberi – l’ho trovato anche divertente. Io tra l’altro ho eseguito questo test per ultimo e tra di noi abbiamo fatto una gara a chi si avvicinava di più a questo 100 per cento. Ci sono riuscito! Ma devo dire che anche tutti gli altri sono rimasti su valori molto alti. Scherzi a parte l’idea di poter salvare un vita, non solo in un contesto ciclistico, mi è davvero piaciuta. Spero che questa iniziativa della Bahrain-Victorious possa essere ripresa anche da altri team».