EDITORIALE / Bene tutto, ma servono le gambe

18.04.2022
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Alla fine servono le gambe, i garun per ricordare Alfredo Binda che ancora oggi avrebbe tanto da dire. Mohoric probabilmente avrebbe vinto la Sanremo anche senza il reggisella telescopico e Van Baarle ha conquistato la Roubaix su una Pinarello priva di accorgimenti particolari: la stessa con cui fra pochi giorni la squadra correrà la Freccia Vallone, poi la Liegi e a seguire Giro e Tour. L’olandese della Ineos Grenadiers ha tuttavia riconosciuto che essersi dedicati nell’inverno a un vero setup da classiche gli ha permesso di avere a disposizione una bici performante e sicura. Ruote, gomme giuste alla giusta pressione (foto di apertura), ricognizioni, nastro, rapporti, il guida-catena per la guarnitura, il giusto abbigliamento e pedalare.

Il Team DSM non ha usato la regolazione di pressione in gara: Degenkolb ha avuto già abbastanza da fare…
Il Team DSM non ha usato la regolazione di pressione in gara: Degenkolb ha avuto già abbastanza da fare…

Il sistema DSM

Nella settimana che conduceva alla Roubaix, complice anche la licenza rilasciata dall’Uci per un sistema di regolazione della pressione, si sono scatenati quasi tutti a caccia del dispositivo di Scope Cycling che avrebbe permesso di aumentare e ridurre la pressione delle gomme in funzione del tipo di terreno. Più dure su asfalto e più morbide sul pavé. Lo avrebbe usato il Team DSM. Dopo il reggisella di Mohoric, eravamo tutti pronti a un’altra spallata. Invece…

Invece si trattava di una trovata di marketing, la stessa che non è riuscita nel caso di Mohoric, perché lo sloveno si è arrangiato da solo e nessuno ne sapeva niente.

La Cervélo di Van Aert e la Lapierre di Kung: bici top, senza troppe stranezze
La Cervélo di Van Aert e la Lapierre di Kung: bici top, senza troppe stranezze

Era credibile, tornando alla DSM, che in quell’inferno di polvere e pietre, un corridore si mettesse anche a variare la pressione delle gomme?

L’auricolare nelle orecchie. Il computer da guardare. La necessità di ricordarsi di mangiare. La guida su quel fondo dissestato. Gli spettatori che si sporgono. Le traiettorie imprevedibili. No, non era credibile! Non per ora, almeno…

Rinviato al Tour

«Dal 2020 – si legge nel comunicato della squadra – il Team DSM e Scope stanno lavorando a un sistema di gestione della pressione degli pneumatici che consente ai ciclisti di gonfiare e sgonfiare le gomme mentre sono in bicicletta, di cui l’UCI ha approvato l’uso all’inizio di aprile. Questa settimana sul pavé ha confermato che possiamo essere fiduciosi nel sistema e nel nostro setup generale, ma abbiamo deciso di fare il nostro debutto al TDF dove lo utilizzeremo nella tappa sul pavé.

Le squadre Specialized avevano il modello Roubaix, dotato di doppia ammortizzazione
Le squadre Specialized avevano il modello Roubaix, dotato di doppia ammortizzazione

«La Parigi-Roubaix – prosegue il comunicato – è una delle gare più caotiche del calendario e richiede la completa concentrazione dei corridori sull’intera lunghezza di 259 chilometri. Per questo motivo, i ciclisti devono essere completamente tutt’uno con la propria bici e controllare tutti i componenti in modo intuitivo. Non vediamo l’ora di dedicare altro tempo alla guida con questo sistema ed essere parte di quello che siamo fiduciosi sarà un grande cambiamento in questo sport».

Gambe e coraggio

Vedremo se al Tour de France lo utilizzeranno davvero. Forse lo affideranno a qualcuno fuori classifica o senza particolari velleità di risultato.

Sarà per caso, ma le tre bici sul podio della Roubaix non avevano particolari ammortizzazioni al di fuori delle ruote e dei fattori precedentemente citati. E mentre in sala stampa ci si meravigliava per la media molto alta della corsa, ci siamo messi a fare di conto, andando a ripescare chilometri e tempo della Roubaix del 1964, vinta da Peter Post (olandese della Flandria Romeo) in 5 ore 52’19” alla media di 45,129, distanza di 265 chilometri.

Nel 1964 Peter Post vinse la Roubaix a una media poco inferiore a quella di ieri e con una bici “nuda”
Nel 1964 Peter Post vinse la Roubaix a una media poco inferiore a quella di ieri e con una bici “nuda”

Ben 58 anni dopo, sulla distanza di 257,2 chilometri e con telai e ruote da fantascienza (leggere per conferma l’approfondimento con Fabio Baldato), Dylan Van Baarle ha vinto a 45,792 di media.

Guardate la foto dell’arrivo di Post. Guardate la sua bici. Saremo sempre pronti ad approfondire e raccontarvi delle bici e delle trovate più geniali, convinti che la tecnica sia parte fondante del nostro mondo e che le aziende di settore spacchino il capello in quattro per consegnare ai corridori i mezzi più performanti. Ma diteci – guardando quella foto in bianco e nero – se non è vero che alla fine le corse si vincono con gambe e coraggio.

Sulle Strade di Alfredo Binda: un bel modo per scoprire Varese

20.02.2022
3 min
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La provincia di Varese ha dato i natali a tanti grandi corridori, ce n’è uno che spicca sugli altri: Alfredo Binda. Il campione, nato a Cittiglio, ha legato alla sua città, ed alla provincia di Varese la sua vita (in apertura la foto del Museo dedicato ad Alfredo Binda a Cittiglio).

A trent’anni dalla sua scomparsa, nel 2016, è stata creata la randonnée “Sulle Strade di Alfredo Binda”. Un brevetto ciclistico-culturale volto a promuovere i territori e le strade sulle quali Alfredo era solito allenarsi. Il brevetto prevede tre percorsi, ovviamente il punto di partenza ed arrivo non poteva che essere Cittiglio.

La manifestazione permette agli appassionati di pedalare sulle strade dove si allenava tutti i giorni Alfredo Binda
La manifestazione permette agli appassionati di pedalare sulle strade dove si allenava Binda

Con Binda tutti i giorni

I percorsi sono permanenti e possono essere svolti tutti i giorni dell’anno, ad eccezione del martedì. I partecipanti dovranno attenersi al codice della strada nell’effettuare il loro itinerario, anche individualmente. Il punto di partenza, per tutti i percorsi, è l’Hotel Ristorante La Bussola, che si trova presso il piazzale Alfredo Binda a Cittiglio. Il contributo associativo per partecipare è di 10 euro, una volta iscritti si ritirerà il foglio del viaggio che dovrà essere riconsegnato una volta finito l’itinerario.

Percorrendo le strade della randonnée è possibile ammirare i paesaggi e i borghi della provincia di Varese (foto Giordano Azzimonti)
Percorrendo le strade della randonnée è possibile ammirare i paesaggi e i borghi della provincia di Varese (foto Giordano Azzimonti)

Primo percorso

I percorsi, come detto partono tutti dallo stesso punto, ovvero l’Hotel Ristorante La Bussola. Il più lungo dei tre itinerari misura 70 chilometri con un dislivello di 950 metri. Un percorso che si snoda lungo le rive del lago Maggiore fino a Luino, da dove si raggiungeranno le sponde del lago di Lugano per poi ritornare verso Cittiglio.

Il percorso medio, da 47,5 km, si svolge sullo stesso itinerario della manifestazione “Pedalando con i Campioni” (foto Giordano Azzimonti)
Il percorso medio si svolge sullo stesso itinerario della “Pedalando con i Campioni” (foto Giordano Azzimonti)

Secondo percorso

Il secondo percorso misura 47,5 chilometri. Questa volta da Cittiglio si punta a est, verso Rancio Valcuvia, da lì inizia la salita di Brinzio. Quasi in cima a questa asperità, una delle più famose della provincia, si trova la Madonna dei Ciclisti. Si scende poi alla volta di Varese e passando per la città si punta alle sponde dell’omonimo lago per tornare verso il punto di partenza.

La Madonna dei Ciclisti in cima alla salita di Brinzio (foto Giordano Azzimonti)
La Madonna dei Ciclisti in cima alla salita di Brinzio (foto Giordano Azzimonti)

Il terzo percorso

Il terzo percorso è il più corto, appena 25 chilometri, ma il più rappresentativo. Dal punto di partenza si va subito a prendere il Cuvignone, una salita iconica per il ciclismo varesino. Infatti, oltre ad essere la salita di test preferita dagli atleti professionisti della zona vede sorgere, al suo inizio, la casa natale di Alfredo Binda. L’ascesa è subito complicata con tratti ripidi che non danno respiro. Il tratto centrale, meno ripido, permette di respirare e riprendere le forze in vista degli ultimi 3 chilometri ancora molto impegnativi. Una volta in cima si scende di nuovo verso la partenza, concludendo così il percorso.

Sulle Strade di Alfredo Binda

Cambiano tempi e potenze, ma la fatica?

07.12.2021
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Alcuni giorni fa pubblicammo un editoriale ispirato al secondo libro di Guillaume Martin. Il corridore/filosofo francese sostiene che l’intensità dello sforzo dei professionisti contemporanei è ben superiore a quello dei pionieri di questo sport. La frase continuava a ronzarci per la mente, con qualche dubbio. Si va veloci: le bici sono super, le metodiche di allenamento avanzatissime e l’alimentazione è mirata al tipo di sforzo da affrontare. Però com’era quando le bici pesavano 12 chili, la preparazione era empirica, si mangiava seguendo abitudini e miti più che principi scientifici e le strade erano di terra? Le velocità erano innegabilmente inferiori, ma l’intensità dello sforzo? E la fatica?

Pantani stabilì il record di scalata dell’Alpe d’Huez nel 1997, scalandola in 37’35” (Vam 1704,41 m/h). Al Tour del 1952 Coppi impiegò 45’22” (Vam 1407,78 m/h): un abisso, che però dà la grandezza di Coppi pensando che Lemond e Hinault nel 1986 impiegarono 48′. La fatica di Coppi fu davvero inferiore a quella di Marco? Cos’è la fatica se non la percezione dello sforzo?

Il battito cardiaco

Dato che sarebbe impossibile quantificare le variazioni indotte dai parametri citati, la curiosità si è spostata su quali fossero gli strumenti un tempo a disposizione per valutare le prestazioni dell’atleta. Il passo giusto per renderci conto che la medicina dello sport non esisteva ancora e che l’allenatore, per come lo intendiamo oggi, non era che una suggestione. I corridori, anche i più grandi, si affidavano ai massaggiatori per allenamenti e alimentazione. Al massimo ai direttori sportivi. E i dottori controllavano quel che si poteva.

«La medicina dello sport non c’era – racconta Massimo Besnati, fino al 2021 dottore della nazionale – non c’erano alternative, per medici e corridori. Non esistevano i test, semmai le sensazioni. Poteva capitare che il corridore si prendesse il battito in cima alla salita, ma chiaramente non c’erano strumenti per la rilevazione in tempo reale. Tante cose sono cambiate, per questo è impossibile fare raffronti. Fra i primi ad affrontare la questione con un approccio scientifico, ci fu sicuramente Giovanni Falai».

Chiediamo a Falai

Il medico toscano, che nella sua carriera è stato accanto a Gimondi e Moser, Bitossi (fu lui a venire a capo ai problemi cardiaci di “Cuore matto”) e Bartalini, Francioni, Mori e ha visitato qualche volta anche Merckx, ha compiuto 91 anni a luglio e quasi si stupisce della curiosità sull’argomento.

«Quello che si poteva fare – sorride – era misurare il battito dell’atleta a riposo la mattina e la sera per valutare se recuperava bene. Ricordo Ritter con 30 battiti a riposo e Bartali con 32. Si guardava la pressione arteriosa, ma non si andava oltre perché non avevamo gli strumenti. Però sull’argomento si può dire che le velocità di oggi non sono dovute soltanto a una fatica superiore, ma anche a bici migliori e strade più scorrevoli. Una volta la bici proprio non scorreva, sembravano gare di ciclocross e il ciclismo secondo me era più faticoso dell’attuale…».

Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro
Per anni si è creduto che la carne rossa fosse il solo modo di integrare proteine e ferro

Metodi empirici

Sul fronte invece del tipo di sforzo, ovviamente si resta nel campo dell’osservazione e di una deduzione che per i motivi citati da Besnati non può essere più di tanto precisa.

«C’erano cuori più grandi – dice Falai – proprio a livello di sviluppo, ma ci sono anche oggi. Non credo che il livello di fatica cui venivano sottoposti fosse inferiore a quello attuale, anche se oggi a parità di fatica si ottengono prestazioni superiori. L’alimentazione aiuta tanto, prima si facevano tanti errori. Ci si riempiva di proteine attraverso tante bistecche e l’alimentazione sbagliata incideva sulle difese immunitarie. Ora si studia la funzione renale, una volta al massimo osservavamo il fegato per capire se eliminava le tossine nel modo giusto. Semmai si usava qualche disintossicante. Oggi si fa tanta prevenzione a livello renale ed epatico, prima era impossibile. Si facevano valutazioni a occhio. Poi con la medicina sportiva sono arrivati nuovi strumenti che oggi rendono tutto più calcolabile e persino prevedibile. La domanda perciò è un’altra: è più faticoso correre, dare il massimo e arrivare sfiniti senza conoscere i propri limiti, oppure riuscire a tirare fuori il massimo conoscendoli anche numericamente?».