NIZZA (Francia) – Nel raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti, Vingegaard comincia a pensare che forse tanto male non gli è andata. Essere arrivato secondo dietro un Pogacar così forte ha smesso di bruciare come nei primi giorni, quando non riusciva a capacitarsi che, nonostante i suoi numeri stellari, l’altro fosse così tanto più forte. Ora, messa insieme la consapevolezza di una preparazione frettolosa e il livello del rivale che invece continua a parlare di perfezione, anche le sue risposte suonano meno ferite. Anche se dentro si vede che ci sta male. E basta guardarlo negli occhi per capire che sta combattendo fra le sensazioni che prova e le parole che può dire.
«Arrivare secondo al Tour de France – dice – è sempre un grande risultato dopo quello che è successo. Quando avrò tempo di riflettere, magari fra qualche settimana, sarò anche orgoglioso di questo risultato. Ho creduto a lungo di poter vincere. Però a Isola 2000 mi sono sentito davvero male. Quando ho tagliato il traguardo ero davvero vuoto e quel giorno ho capito di dover cambiare la mia mentalità. Passare dall’attaccare al difendermi da Remco».
Voleva lasciare il segno anche nell’ultima crono ed è per questo che ce l’ha messa tutta. Aveva ancora negli occhi lo splendido giorno di Combloux al Tour del 2023, quando rifilò 1’38” a Pogacar. Ma gli anni non sono tutti uguali e questa volta il risultato si è invertito: Pogacar ha vinto e lui è arrivato secondo a 1’03”. L’ultima crono di un Grande Giro è il confronto fra energie residue ed è per questo che, in modo molto onesto, il podio di giornata ricalca quello nella classifica finale.
Hai pensato che non poteva essere tutto come prima, con quello che hai avuto?
Di sicuro non è stato facile tornare in gruppo. Non avevo paura, ma quando hai una caduta come quella, non sai mai come reagirai nelle varie situazioni. Essere in gruppo, magari in discesa. Sono stato per tre settimane super concentrato, certi giorni ho avuto un livello, certi giorni era diverso. Credo che con la preparazione che ho avuto, io abbia fatto anche bene.
Un fatto di qualità o di quantità?
Ho avuto solo un mese e mezzo di vero allenamento e in precedenza sono stato per due settimane in ospedale con otto giorni in terapia intensiva. Ho perso tanto lavoro. Questo mi fa credere che facendo la giusta preparazione, io posso fare molto meglio. Per il prossimo anno sarebbe già buono non rompermi ogni osso della parte superiore del corpo e non bucarmi un polmone. Essere sano sarebbe già un bel passo avanti, guardando anche i miglioramenti atletici e tecnici che magari posso ancora fare.
Hai pensato per qualche momento di poter riaprire il Tour?
Quando ho vinto la tappa a Le Lioran, ho creduto che avrei potuto vincere il Tour de France e magari anche qualche giorno prima. Poi a Plateau de Beille ho fatto i miei migliori 40 minuti, guardando i valori di potenza. Tadej è stato più forte. Per un po’ ho sperato che calasse, ma non è successo. Per questo ha meritato di vincere.
Il fatto di tornare competitivo è stato più mentale o fisico?
Bella domanda, ma direi mentale. Alla fine dell’anno, a novembre, ero così stanco che avrei avuto bisogno di diversi giorni per staccare completamente e invece non l’ho fatto. Partecipare alla Vuelta ha cambiato la mia stagione. Così quando si è trattato di ripartire dopo l’incidente, ero già stanco e ho dovuto affrontare un grande combattimento con me stesso. Non sapevo neanche se avrei mai più pedalato. Così sono arrivato già provato all’inizio del Tour. Ed è questo il motivo per cui questa volta non andrò alla Vuelta. Adesso ho davvero bisogno di riposare e capire che cosa sia meglio per me.