La notizia lo ha colto abbastanza di sorpresa. Diego Ulissi è il ciclista in attività con la maggior costanza di successi nel corso degli anni: il toscano vince almeno una gara da ben 14 stagioni. Alle sue spalle in questa speciale classifica, due mammasantissima dello sprint come il norvegese Kristoff (13) e il francese Démare (12). Un titolo di merito non da poco per il corridore del UAE Team Emirates, che ha da poco ripreso la preparazione per presentarsi già tirato a lucido per il primo ritiro prestagionale.
Proprio sul ruolo dei suoi “contendenti” al record, Ulissi mette l’accento: «Sapevo lo scorso anno che io e Sagan condividevamo questo piccolo privilegio, ma poi sinceramente non ci ho più pensato. Fa piacere, soprattutto precedendo due campioni dello sprint che indubbiamente hanno più occasioni di me per vincere. Io, per le mie caratteristiche, devo sempre costruirmi i successi e non è mai facile».


Che cosa rappresenta questo record?
Credo che sia la miglior dimostrazione della mia costanza di rendimento, cosa non semplice se spalmata su 14 anni nei quali il ciclismo è molto cambiato. Vale ancor di più considerando che io sono un passista-scalatore, che riesce a vincere quando la corsa si mette in un certo modo. Se si fa selezione, si rimane in pochi a lottare per la vittoria. Inoltre non sono un capitano unico, spesso devo anche lavorare per gli altri e questo significa che bisogna sfruttare le occasioni che la stagione ti pone davanti.
Proviamo a ripercorrere alcune tappe di questo record, iniziando naturalmente dalla prima vittoria: il Gran Premio Industria e Commercio a Prato del 2010.
La prima vittoria non si può certamente scordare, nella mia mente è come se la gara si fosse corsa ieri. Anche perché alla fine rimanemmo in tre a giocarci il successo e battei un uomo che ha segnato la prima parte della mia carriera: Michele Scarponi. A fine stagione diventammo compagni di team e fra noi si instaurò subito un profondo feeling, che dalla vita quotidiana si trasferì ben presto anche nelle corse. Infatti mi volle con lui al Giro nonostante la mia giovane età e lo ripagai vincendo per la prima volta alla corsa rosa.


Quella vittoria, nella tappa di Tirano, arrivò per il declassamento di Giovanni Visconti. Quel successo ha un sapore diverso per questo motivo?
No, perché dovrebbe? Intanto fui bravo ad essere lì a giocarmi la vittoria, in una frazione dove era praticamente scritto che la fuga sarebbe arrivata al traguardo. Era la tappa più lunga di quel Giro e i big pensavano alla classifica, volevano rifiatare un giorno in vista di quelli che sarebbero stati decisivi. La selezione fu continua, rimanemmo io, Visconti e Lastras, ossia ero con due corridori sulla carta più veloci. Giovanni sbagliò a impostare lo sprint, tutto qui…
E’ stata la prima ma non l’unica…
In totale ne ho portate a casa ben 8, un bel bottino. Ricordo in particolare quelle del 2014, quando vinsi a Viggiano battendo un gruppo abbastanza folto con Evans che mi arrivò a 1” e ripetendomi tre giorni più tardi a Montecopiolo superando in uno sprint a due il croato Kiserlovski. Erano vere battaglie quelle, diciamo che nell’ideale classifica delle mie vittorie, quelle sono entrambe piuttosto in alto.


Non sei stato parimenti fortunato negli altri grandi Giri.
Non ho avuto molte occasioni, considerando che la Vuelta l’ho disputata solo nel 2013 e il Tour nel 2017. Curiosamente però entrambe le volte sono arrivato a un passo dal successo di tappa. In Spagna fui secondo alla frazione di Alto de Naranco, ma quel giorno c’era un Joaquim Rodriguez davvero indomabile, che vinse per 11”. In Francia avevo indovinato la fuga vincente, ma fu bravo Bauke Mollema ad anticipare tutti. Fu un’occasione persa. Se mi riguardo indietro non ho grandi rammarichi nella mia carriera, ma quella volta mi dispiacque un po’…
Pochi ci badano, eppure le gare che fungono da test generale per le Olimpiadi hanno sempre un valore particolare e tu ti aggiudicasti quella di Tokyo nel 2019. Eppure ai Giochi non ci sei andato…
Lo so, ma non posso dire nulla di negativo sulle scelte che fece Cassani. Partiamo dal 2019, da quella bellissima trasferta, dove corremmo davvero bene tanto è vero che vinsi battendo Formolo. L’anno dopo doveva essere l’anno olimpico, è chiaro che nella convocazione ci speravo tanto e anche con ambizioni, ma fu l’anno del Covid, con tutta l’attività rivoluzionata. Per me fu un anno davvero eccezionale, con 5 vittorie tra cui la classifica del Giro del Lussemburgo e altre due tappe al Giro. A fine stagione ero numero 8 del ranking Uci.


E poi?
Poi d’inverno mi scoprirono la miocardite, fui costretto a fermarmi a lungo e quando ripresi, ritrovai la forma molto tardi. Cassani fu onesto con me, non poteva aspettarmi. D’altronde abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, non per niente ho potuto correre ben 5 mondiali.
In totale le vittorie sono 46, spalmate su 14 anni di attività. Quanto è cambiato il ciclismo nel frattempo?
Moltissimo e per certi versi aggiungere nuove “perle” è sempre più difficile. Intanto perché se da una parte il calendario si è gonfiato, dall’altro anche le squadre sono più numerose e più ricche internamente. I giorni di gara non sono poi tantissimi e fra questi emergono poche occasioni per puntare al risultato pieno. Bisogna essere bravi a farsi trovare pronti per sfruttare l’opportunità. Se devo guardarmi indietro, diciamo che ho saputo ragionare bene.


Ora ti aspetta un’altra stagione, proverai ad allungare la serie?
Se l’occasione capita, spero di esserci, si lavora per quello ma certamente non è un’idea fissa. A me interessa onorare l’impegno che ho con il mio team, ormai sono alla soglia dei 35 anni e voglio dimostrare che sono ancora competitivo, utile alla squadra sia come supporto che come leader quando toccherà a me. Ci proverò, questo è certo…