Jacopo Guarnieri in modalità scalatore? Non esageriamo, ma di certo quella che abbiamo visto al UAE Tour è stata una versione un po’ diversa del corridore che siamo abituati a vedere. Di solito Guarnieri, uno dei professori del gruppo, è l’apripista di un velocista, negli Emirati invece è stato uno dei fidatissimi di Lennert Van Eetvelt. Tanto da aiutarlo, in parte, anche in salita.
Ma per fare certe azioni servono gambe. E tante, specie se non è il tuo ruolo. «Sto molto bene – racconta Jacopo – ho svolto una preparazione ottima, passando un inverno senza intoppi e con un approccio del tutto diverso.
«La squadra (Lotto Dstny, ndr) ci teneva che fossimo tutti seguiti da un preparatore interno e così dopo tanti anni con Dario Broccardo, sono passato agli allenamenti di Sander Cordeel. E tutto sommato cambiare dopo tanto tempo fa anche bene».
In questi giorni però Guarnieri è tornato nei ranghi. E in Nord Europa ha ripreso a lavorare per Arnaud De Lie e le sue volate.
Quindi partiamo da te, Jacopo. Cosa significa approccio nuovo?
Che ho fatto qualche chilometro e qualche ora in meno. Ma non è tanto quella la vera differenza, piuttosto i lavori: non ho fatto un medio o una SFR, per dire. E questo non mi ha fatto capire realmente a che punto fossi. Gli altri anni facevo la solita salita a quei watt e in base a dove arrivavo capivo come stavo. Ora niente di tutto ciò. Mi serviva almeno una corsa per capire la condizione. E visto come è iniziata la stagione e le sensazioni che ho, dico che sto bene.
In UAE ti abbiamo visto molto vicino a Van Eetvelt, cosa ci dici di questo giovane atleta che poi ha vinto la generale?
Noi avevamo fiducia in lui, ma il focus vero era una top 5, non la vittoria. Io gli sono stato vicino anche in salita, ma ammetto che in squadra non è che ci fossero chissà quali scalatori. Tutto sommato al UAE Tour le salite vere sono due. Soprattutto nella prima, ho cercato di stargli accanto finché ho potuto. Tra l’altro era una salita veloce, a ruota si stava bene. Poi chiaramente lo ho aiutato molto in pianura.
E lì di certo eri più a tuo agio… Ci sono stati momenti delicati in quei frangenti?
Direi la tappa in cui ci sono stati i ventagli. Lennert si è ben comportato, alla fine. E’ sempre stato con me e Van de Paar. Al primo ventaglio è rimasto tranquillo, coperto, davanti. Al secondo, che si è aperto per una “mezza caduta”, uno sbandamento, la situazione è stata un po’ più difficile. Così lo abbiamo riportato sotto e gli abbiamo fatto prendere la salita in testa. A quel punto ho insisto un po’ per stargli vicino, poi gli ho passato l’ultima borraccia e mi sono ritrovato lì davanti. Per me è stato un po’ strano: di solito non faccio queste robe! Tra me e Lennert c’è un bel gap. Un gap generazionale e tecnico: 15 anni di differenza, lui è scalatore e io velocista.
C’è qualcosa che ti ha colpito di Van Eetvelt?
Che ascolta e si fida ciecamente di quello che gli dicono. Se gli proponessero, che so, di mettersi gli scarponi da pesca per vincere, lui lo farebbe senza ribattere. Per me da una parte è un limite, ma da l’altra ci dice di un ragazzo che non ha paura di fare sacrifici, che non si fa troppi problemi. Poi in realtà non è che lo conoscessi così tanto prima.
Perché?
Perché di fatto nel 2023 non abbiamo mai corso insieme. Lo avevo visto solo nei ritiri di inizio stagione. Stavolta invece abbiamo parlato parecchio di più. E’ un ragazzo intelligente, particolare. Direi un solitario, ma non un maleducato o un tipo che rifiuta la compagnia se gli capita. Mi piace.
Da un punto di vista tecnico come di è parso?
Ho visto che sa limare bene. Lennert non è di quegli scalatori che devi avere sempre un occhio dietro per tenerlo avanti, che ti fa sprecare troppe energie, che te lo perdi. E credetemi, quando un velocista deve lavorare per uno scalatore non è così facile! Vincenzo (Nibali, ndr) era così… Okay, al UAE Tour con quelle strade larghe e dritte non era poi così complicato, ma già al Trofeo Serra Tramuntana (prova della Challenge di Mallorca, vinta da Van Eetvel, ndr) era più complicato e si è mosso bene.
E mentalmente invece?
Mi sembra piuttosto razionale. Negli Emirati rimuginava molto sul “come faccio a vincere”? E noi gli abbiamo detto: «Che ti frega, provaci. Cosa hai da perdere?”» Con i suoi numeri sapeva che poteva fare bene, poteva vincere la tappa. Sapevamo che Adam Yates, il più temibile, era fuorigioco, dunque ci ha provato. Infatti dopo l’arrivo era parecchio contento, gioviale. Un po’ l’opposto di come era partito per la frazione.
Sente la pressione?
Bah, non lo vedo uno troppo sotto stress. Come ho detto è razionale. Poi il ciclismo non è solo una questione di watt, ma anche d’intelligenza tattica. Al UAE Tour sapeva che poteva vincere una tappa, ma non aveva certezze sulla generale: però ci ha provato, un passo alla volta. E’ testardo, ma di quelli che ascolta.
Lennert vi ha ringraziato dopo la corsa. Tu gli sei stato vicino, sei una garanzia, ma non è che ora ti vuole come suo uomo e ti toccherà diventare scalatore?
No, no, col mio peso non posso lavorare in salita! Ma ammetto che mi andrebbe di lavorare con lui. So che ha in programma la Vuelta e se dovesse richiedermi in squadra…. perché no? Se fossi coinvolto, accetterei volentieri. Già a Mallorca abbiamo passato dei bei giorni.