Un Angliru da protagonista, o almeno nella parte attiva della corsa: per questo Antonio Tiberi merita un plauso. Ieri la Bahrain-Victorious è stata l’unica squadra a cercare di contrastare l’egemonia della corazzata giallonera in questa Vuelta. E una fetta di questo merito è stata proprio del corridore laziale.
Tiberi era al battesimo sulle rampe del mostro asturiano. Una salita mitica che non lo ha spaventato affatto. Anzi, lo ha affrontato con la sua solidità e il suo metodo da cronoman. Antonio è giunto 18°, appaiato a Damiano Caruso, a 4’10” da Roglic.
Antonio, insomma… che cosa ti è sembrato di questa salita?
Eh – sorride – bella tosta! Scherzi a parte è stata una salita davvero dura. Io sono abbastanza contento sia di me stesso che di come ha corso la squadra. In quanto Bahrain-Victorious abbiamo guadagnato terreno.
Angliru, salita mitica al pari di Zoncolan o Mortirolo: cosa sapevi?
L’ho conosciuta tramite le slide nel meeting pre-gara. E alla fine è stata più o meno come me l’aspettavo. Sapevo che iniziava in modo più regolare e che man mano che si saliva diventava più dura.
Hai tagliato il traguardo con Damiano Caruso: ti ha dato dei consigli?
Io ho iniziato a tirare già prima della salita. Poi, una volta sull’Angliru, Damiano mi diceva dove si poteva aumentare un po’ e dove invece era meglio recuperare un pelo. Poi quando ho terminato il mio lavoro e mi sono spostato, ho cercato di tenere duro, di non mollare il mio gruppetto, anche pensando un po’ alla mia classifica. Anche se nel tratto più ripido in effetti poi ho faticato un bel po’.
Quindi secondo te, Antonio, l’Angliru è una salita “on-off”, cioè in cui per salire si va a tutta, oppure con i rapporti corti di oggi si riesce a gestire in qualche modo?
Di certo con i rapporti corti attuali è più gestibile. Io avevo il 36×34 e credo fosse giusto. Anche perché dovevo tirare e oltre sarebbe stato troppo agile. Comunque c’era da spingere. Dal canto mio sono riuscito a gestirmi abbastanza bene, soprattutto quando tiravo. Sentivo che il fisico rispondeva: in alcuni tratto riuscivo a dare di più, in altri a salvarmi, il tutto senza mai superare il limite e non accumulare troppo acido lattico. E la stessa cosa ho fatto dopo che mi sono staccato.
In questo caso il potenziometro aiuta molto, giusto?
In realtà non l’ho guardato molto. Anzi, sono andato parecchio a sensazione… come piace a me.
E il contapedalate?
Neanche. Bisogna considerare che nel tratto più ripido (oltre il 23 per cento, ndr) non si riesce a controllare. Lì non puoi fare nulla se non spingere e salire. In quei momenti sia la velocità che la cadenza sono bassissime. Per il resto, come in altre salite, ho cercato di tenere alte le pedalate il più possibile.
Quando dici alte cosa intendi?
Sulle 90, anche 95 rpm. Sulle salite lunghe tendo a gestirle come in una crono.
Voi della Bahrain avete tenuto testa ai Jumbo-Visma: come mai questa azione? Qual era l’obiettivo?
Contro quei tre non puoi fare nulla o quasi e allora abbiamo impostato un ritmo alto per far stancare un po’ di più i loro gregari, fargli fare più fatica e lasciarli così soli. E lo stesso nei confronti delle altre squadre. L’idea era di guadagnare sugli altri.
L’Alto de Angliru è una salita simbolo. A livello emotivo come l’hai vissuta?
Nel complesso in modo tranquillo direi. Non l’ho sentito sin dal giorno prima tanto da non dormirci su, per dire… Magari ho “sentito” più il Tourmalet perché era la prima tappa regina, con tanti chilometri e tanto dislivello. Io avevo qualche dubbio sulle mie gambe. Adesso invece, in questa terza ed ultima settimana mi sento meglio. E questo è rassicurante, mi dà consapevolezza e toglie un po’ di paura.
In effetti, vedendoti da fuori ieri sembravi molto sciolto sulla bici, più a tuo agio. Ma sono sensazioni chiaramente…
No, no… ci sta. Io più corro e più mi sento a mio agio. Ma credo che in questo aspetto conti parecchio anche la squadra. In Bahrain-Victorious abbiamo un livello molto alto e anche nei momenti di difficoltà c’è sempre più di un compagno ad aiutarti.