E’ passata una settimana dalla conclusione della Vuelta, da quel podio tutto targato Jumbo-Visma con Vingegaard e Roglic, ossia il re del Tour e del Giro a fare da valletti a Sepp Kuss, loro gregario nelle due prime avventure della stagione e questa volta proiettato sul gradino più alto. Un dominio incontrastato, ma con qualche perplessità destata dalla gestione del team olandese.
Le ultime tappe dure avevano dimostrato in maniera evidente come Jonas Vingegaard fosse il più forte della compagnia, ma hanno anche evidenziato come il danese abbia corso quasi con il bilancino, attento a non superare l’americano. Scelta dettata dal team? Volontà di non penalizzare Kuss che aveva capitalizzato al meglio la fuga bidone della prima settimana? Tante le ipotesi possibili, abbiamo allora provato a fare chiarezza parlandone con chi il mondo dei pro’ lo conosce in ogni sua sfumatura, Giuseppe Saronni.
Che idea ti sei fatto dell’epilogo della corsa iberica?
Io credo che la Jumbo-Visma abbia iniziato la corsa con qualche dubbio, legato al futuro di Roglic. Si parlava molto della possibilità che lo sloveno cambiasse squadra, invece pare rimanga perché il team olandese gli ha garantito il giusto spazio. Questo ha influito sull’evoluzione della corsa, che poi ha preso una piega probabilmente inattesa.
La vittoria di Kuss è stata decisa a tavolino dal team?
Penso di no, è certo però che la squadra aveva per certi versi interesse che Kuss vincesse, per molte ragioni: gratificare il corridore dopo quanto fatto a Giro e Tour, ma anche capire quali sono i suoi limiti e come può gestire la pressione di un grande giro. Attenzione però: la Vuelta non è al pari di Giro e Tour, che scatenano un’attenzione decisamente maggiore.
Vingegaard come l’hai visto?
Non era quello del Tour, è evidente, eppure in un buon campo partenti – e sottolineo buono, non oltre – aveva fatto la differenza. Poteva superare l’americano, è molto probabile, ma è stato bravo anche Kuss a tenere botta, restare lì davanti, meritandosi la maglia roja.
Resta però la sensazione di una classifica che non rispecchia la vera gerarchia dei valori…
Io credo che la Jumbo-Visma abbia lasciato mano libera ai suoi corridori. L’interesse del team era quello di vincere, a un certo punto quello di fare man bassa sul podio e scrivere una pagina storica, ma chi fosse, primo, secondo e terzo era delegato direttamente ai corridori, senza combinare disastri… Poi è chiaro che per i diesse una soluzione del genere, voluta dagli stessi atleti evita ogni malumore e questo nel prosieguo dell’attività è molto importante.
Da che cosa deduci la scelta di lasciare libertà ai propri atleti?
Se si guarda l’evoluzione delle tappe, si vedeva che quando partiva uno di loro gli altri stavano lì, aspettavano, poi appena conclusa l’azione partiva un altro e così via. Quelle sono azioni frutto di accordi in corsa, fatte per non pestarsi i piedi nella consapevolezza della propria superiorità. Anch’io l’ho fatto tante volte, poi è difficile che il progetto vada in porto in maniera così schiacciante come avvenuto alla Vuelta, ma i Jumbo non hanno davvero sbagliato nulla.
Pensi sia stata anche una scelta di Vingegaard evitare il sorpasso per non trovarsi un nemico in casa?
Sicuramente per Jonas questo è stato un investimento a lungo termine. Lui sa e Kuss sa altrettanto bene che il danese era il più forte e gli ha fatto un favore, verrà il momento che riscuoterà. Per l’americano, e ancor più per il team, la situazione era ideale perché anche avesse avuto un cedimento, c’erano gli altri due pronti a prendere il suo posto.
Domanda al Saronni campione: in questo modo però Vingegaard si trova con una Vuelta in meno…
Verissimo e nello sport non si può mai ipotecare il futuro. Fare due grandi giri in una stagione è sempre un rischio, non puoi sapere se l’anno prossimo sarai nella stessa situazione, nella stessa forma. L’incognita la devi mettere in conto, quindi è vero che il danese ha pagato un prezzo salato, per sua scelta. Solo in futuro sapremo se ha fatto bene e ha perso poco.
La Jumbo-Visma diventa così sempre più una squadra di leader che fanno anche da gregari, quasi cancellando questo ruolo…
E’ il ciclismo del futuro e io a tal proposito ricordo quand’ero alla Mapei, dicevo sempre che avrei sempre voluto tanti campioni da mettere d’accordo. Sarà anche difficile, ma lo è ancor di più cercare il risultato quando non hai qualità in mano. Oggi è un ciclismo fatto di punteggi, di calcoli, un ciclismo fatto col bilancino. Alla fine i fuoriclasse veri si contano sulle dita di una mano. Molto influisce anche il calendario, così ricco che dà spazio a tutti, ma le gare che contano sono sempre quelle poche e io preferirei un calendario più asciutto dove i campioni si scontrino in quegli stessi appuntamenti, tutti insieme. Invece ti trovi giornate anche con 6 gare in contemporanea, questo non è un bene.
Un dominio come quello del team olandese non rischia di creare inimicizie all’interno del gruppo?
Questo penso che lo abbiano messo in preventivo. Così aiuti nel gruppo non ne trovi. Hai fatto una cosa fantastica e difficilmente ripetibile, ora però andando avanti raramente troveranno qualcuno che gli darà una mano nel togliere le castagne dal fuoco…