Manca poco per rivedere all’opera Primoz Roglic, sparito dai radar in primavera dopo la Liegi. Di lui si sa che è stato a Sierra Nevada e poi a Tignes con la Jumbo Visma, quindi che si è dedicato ad alcuni sopralluoghi sui percorsi del Tour, infine che ha trascorso dei giorni a casa. Quello che si sente dire in giro è che lo sloveno non voglia cadere nel problema dello scorso anno e così, per non rimanere a corto di gambe a fine Tour e arrivare in forze ancora alle Olimpiadi, abbia spostato tutto in avanti. Di fatto, i suoi giorni di gara nel 2021 sono stati 17 e concentrati fra il 7 marzo e il 25 aprile.
«E’ vero – ha confermato nella conferenza stampa della vigilia – è stato un approccio un po’ diverso, correndo poco in primavera, ma ho già fatto alcune cose del genere al Giro e alla Vuelta ed è andata bene. Normalmente vengo dall’altitudine e sono pronto. Lo scorso anno, il coronavirus ha cambiato tutto, quest’anno sono fiducioso. La squadra è super forte, cercheremo di fare del nostro meglio e vedremo come andrà».
Crono decisive
I sopralluoghi hanno riguardato le salite, ma soprattutto le crono, dato che come ci ha spiegato molto bene anche Marco Pinotti, le prove contro il tempo avranno il loro bel peso nell’assegnare la maglia gialla.
«Le abbiamo provate entrambe – ha detto – per vedere se e quanto saranno decisive. L’anno scorso abbiamo capito che la crono resta un momento cruciale e può produrre grandi differenze. Tenendolo a mente, ci siamo allenati con più impegno sulla bici da crono. Vedremo. Quando ti alleni da solo, non vedi quanto siano forti gli altri».
Si vince e si perde insieme
Il passato torna, impossibile il contrario. Va bene aver vinto subito la Liegi e poi la Vuelta, ma perdere il Tour al penultimo giorno è un’esperienza che ti segna.
«Sono arrivato secondo – ha detto – ma se penso a quelle tre settimane di gara, ricordo anche momenti di grande intensità. I miei compagni hanno lavorato come matti, ero così orgoglioso di essere il loro leader e nessuno potrà negare che siamo stati la squadra migliore. Penso che da allora alcuni giovani sognino di correre in un gruppo del genere. Al contempo, sono consapevole che essere i più forti non basta. Per vincere serve mettere in atto la strategia migliore e forse su questo non siamo stati impeccabili. La sconfitta è stata dura da digerire, non ho molte parole per descrivere quello che provavo. Ma non è stato un discorso limitato a Roglic e al Tour – ha detto togliendosi qualche sassolino dalle scarpe – c’erano tante persone coinvolte, siamo una squadra e abbiamo fallito all’ultimo momento. Quando si vince, la vittoria è di tutti. Quando si perde, la sconfitta è solo mia?».
Nulla è per caso
L’attenuante dell’esperienza tutto sommato breve rispetto agli avversari può contare e non c’è modo migliore dello scottarsi le mani per accelerare l’apprendistato.
«Se guardo da dove vengo e dove sono ora – dice – non sapevo assolutamente nulla di ciclismo, non sapevo fin dove potevo arrivare, quello che potevo ottenere. Era tutto nuovo, anche la sofferenza sulla bici. Ho imparato che qualunque cosa mi passi per la testa, la sola cosa da fare è restare davanti. Ho imparato che per correre ai massimi livelli bisogna saper soffrire, ridursi se serve allo stremo delle forze. Ho imparato molto sulle dinamiche di squadra e sul lavoro dei compagni. Credetemi, la sconfitta dello scorso anno a caldo bruciava, ma in prospettiva è diventata una nuova strategia. Per cui è vero, è stato un approccio un po’ diverso, ma non è stato affatto per caso».