Rivera è cresciuto e si toglie l’etichetta di dosso

20.12.2021
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Era per tutti il terzo gemello di Bernal e Sosa. Un altro fenomeno sudamericano in rampa di lancio, magari da mandare subito alla Ineos. Eppure Kevin Rivera di colpo si è trasformato da oggetto del desiderio in grana difficile da gestire. «Incostante. Caratterialmente instabile»: a sentire quello che dicevano di lui, si poteva pensare che averlo in squadra fosse una condanna più che un privilegio. Perché in questo ambiente funziona così: ti attaccano l’etichetta e te la porti dietro a lungo. E anche se lo scalatorino del Costarica ha il suo bel carattere (in apertura è con Scaroni, Conci, Canola e Fedeli, ndr), dopo averci parlato un po’ più a fondo, è stato bello rendersi conto che limitarsi alle etichette, qualunque cosa ci sia scritto, non sia il modo migliore per capire cosa ci sia nel pacco.

«Sono passato molto giovane – ammette con l’onestà che non tutti riescono a metterci – ed è stato uno sbaglio. Avevo 19 anni, potevo aspettare ancora, ma mi hanno fatto un contratto di 4 anni e l’ho visto come un sogno. Prendere o lasciare. Dopo la Androni, sono andato alla Bardiani. Delle buone squadre, ma prima ho avuto qualche problemino fisico e poi dovevo soprattutto fare esperienza. Mi serve una squadra che mi prepari bene, in cui mi trovi bene con i compagni, in cui possa stare tranquillo».

Come Zaccanti

Il profilo da giovane indio, la pelle olivastra, la parlata cantilenante fra l’italiano e lo spagnolo. La storia di Rivera alla Bardiani è parallela a quella che vi abbiamo già raccontato di Filippo Zaccanti: contratto rescisso per qualcosa che somiglia a scarso rendimento. 

«Avevamo concordato un ritorno per il mese di luglio – disse a suo tempo Roberto Reverberi – poi ci ha detto che non si sentiva e non è tornato. Il tempo gli è stato dato, ma i risultati non sono stati all’altezza».

Così, rescisso il contratto, Rivera ha incontrato Sedun e ha accettato l’offerta della Gazprom-Rusvelo. La sfida è importante, le occasioni a questo punto non si possono più perdere.

Era meglio aspettare cosa?

Il primo anno ho fatto tanta fatica. Era meglio farne uno da under 23 e imparare a stare in gruppo. In Costarica correvo fra gli juniores fra 60 corridori ed ero uno dei più forti. Sono arrivato qua e mi sono ritrovato in mezzo a 180 professionisti tutti più forti di me. Non era il passaggio giusto da fare.

Ti mettevano sullo stesso piano di Bernal e Sosa…

Ma non era giusto farlo. Serviva più pazienza, anche se ammetto che a forza di sentirlo dire, un po’ ci avevo creduto anche io. In salita sapevo e so ancora di avere un buon livello, ma loro in Colombia hanno sempre corso di più. Io correvo una volta al mese. Egan ha fatto i mondiali di mountain bike da junior, io non ero mai uscito dal Paese. E’ vero, ci ho creduto, ma quando mi ritrovavo in corsa, sentivo solo bisogno di imparare e crescere. Puoi anche avere motore, ma serve tempo.

In salita come loro?

Resto uno scalatore, credo di saperlo fare bene, così come credo di essere migliorato anche in pianura. In questi anni ho vinto il tappone in Malesia e la classifica del Sibiu Tour. Un paio di volte sono arrivato davanti fra i big, come alla Milano-Torino del 2019 (9° a 33 secondi da Woods, ndr) e alla Vuelta Burgos quando ho fatto meglio di Carapaz (5° nella 3ª tappa a 33 secondi da Sosa, ndr). Il 2020 poteva essere un anno da fare bene, invece è arrivato il Covid…

Coppi e Bartali 2021, si ritira nella tappa di San Marino: l’avventura Bardiani sta per chiudersi
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Perché dicono che sei difficile da gestire?

Non è vero, come anche il fatto che fossi discontinuo. Quando uno è giovane, alterna belle prestazioni a buchi clamorosi. Un giorno puoi avere la gamba, l’indomani no. Ho commesso errori, se anche dicevano che fossi un fenomeno, dovevano sapere che non sono Evenepoel.

Perché alla Gazprom sarà diverso?

Perché Sedun fa tutto per farmi stare bene e sentire parte di un progetto. Lavora tanto, non si ferma finché tutto non è a posto. Adesso quel che conta è arrivare nuovamente davanti, perché è tanto che non corro e anche in allenamento si percepisce la differenza dai compagni. Qualche piazzamento sarebbe cosa buona, la vittoria sarebbe fenomenale.

Chi è il tuo tecnico di riferimento?

Lavoro con Konychev. Scherza tanto, ma si vede che è stato un corridore molto forte e capisce che cosa significa. Ho bisogno di uno che mi capisca, perché so come fare per andare forte.

Nel ritiro della Gazprom, dando il calcio di inizio alla stagione 2022
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Sei stato in Costarica per tutto questo tempo?

Sono tornato a casa, laggiù con il Covid le cose vanno bene. E’ dispiaciuto a tutti vedermi tornare, ma nessuno ha provato a convincermi a rinunciare, al contrario vogliono tutti che torni. Comincerò dalla Valenciana, cui arriveremo dopo un altro ritiro. E poi vedremo cosa saprò fare. Piano piano sto arrivando. Questi ultimi mesi non saranno stati i più belli, ma di sicuro mi hanno fatto maturare.