Edward Ravasi, professione scalatore, si accinge a passare alla Eolo-Kometa. Una scelta a quanto pare dettata anche dal cuore, visto che Ivan Basso e la stessa Eolo sono di Varese come lui.
«Quando a fine estate è uscita la news di questa nuova squadra – racconta Ravasi – il mio pensiero è andato subito lì. Lo vedevo come un vanto del ciclismo varesino. Con il mio procuratore, Manuel Quinziato, abbiamo cercato anche altre soluzioni, tra cui una conferma alla UAE, ma quando poi si è fatto avanti Ivan ho scelto in un attimo».
Tra Zoom e zaino
La nuova squadra si sarebbe dovuta vedere per un breve ritiro proprio in Italia, ma la Lombardia è tornata zona rossa e quindi l’incontro sarà solo online, su Zoom.
«Servirà per conoscerci. Il primo raduno avverrà in Spagna a dicembre. Faremo una “bolla” e potremmo allenarci. Da quello che so il calendario sarà molto europeo. Partiremo dalle corse spagnole e poi tanta Italia e tanta Francia».
Ravasi ha un tono squillante. Ha appeno ripreso la preparazione (lo pizzichiamo che sta giusto per uscire e fare 4 ore). La sua ultima corsa è stata la Liegi, poi però non si è fermato subito in quanto sembrava dovesse fare la Vuelta ma all’ultimo è stato tagliato fuori. A quel punto ha preso lo zaino e con alcuni amici se ne è andato in montagna, tra le baite della Valtellina a godersi la natura e a rigenerare la testa.
Alti e bassi
Tra i dilettanti Edward era un pezzo grosso: successi importanti e il secondo posto al Tour de l’Avenir dietro a David Gaudu. Poi qualcosa non ha funzionato tra pro’.
«Mi aspettavo di più, ma non sempre tutto s’incastra nel modo giusto. Qualche contrattempo, qualche errore mio, la frattura del femore… Quest’anno poi non c’è stato tutto questo tempo per mettersi in mostra, anche perché mi hanno fatto fare tante corse di un giorno che non sono la mia specialità. Almeno ho avuto sensazioni buone, in salita sono tornato ai miei valori».
«Nel 2018 ero davvero ad un buon livello. Avevo fatto un bel Delfinato e una buona Vuelta al fianco di Fabio Aru, quindi mi aspettavo il salto di qualità per il 2019. Durante quell’inverno ho lavorato, troppo, sui i miei punti deboli. Ho fatto molta pianura e molta velocità. Ho messo su chili (muscoli), ma il risultato è stato solo che non andavo più in salita. Nella prima metà della stagione ho fatica e basta e ad agosto mi sono rotto il femore».
Ravasi e i suoi “fratelli”
Edward è arrivato alla UAE nel 2017 con Filippo Ganna, Simone Consonni e Oliviero Troia, chi prima e chi dopo però sono tutti andati via (Troia è in scadenza). Perché?
«Quando io Ganna, Consonni… siamo arrivati alla UAE avevamo personalità forti. Tu magari in quel momento ti senti forte e in forma e pensi di fare una gara, ma la squadra vede in te un altro fine. Nascono situazioni che da entrambe le parti non si accettano al meglio. A lavorare per i capitani nelle corse dure mi sono trovato bene, è un buon ruolo per me. Se un corridore delle mie caratteristiche non fa gare dure fa fatica, perché io alla distanza esco. Ho un buon recupero. Oggi trovare spazio alla UAE è difficile, ma fa parte del gioco, poi sta a me dimostrare di andare forte. Un’esclusione ti dà fastidio, ma è anche una motivazione. Io ho fatto i miei errori, però ho sempre dato il massimo. Magari adesso alla Eolo-Kometa potrò avere i miei spazi».
Il bello e il brutto
«Alla fine – conclude Ravasi – di questi quattro anni sono contento, se non altro sono cresciuto e maturato.
«Un momento bello da quando sono pro’? Ne dico due. Il Giro d’Italia al primo anno. Neanche dovevo farlo, poi a tre giorni dal via mi ritrovo a fare la valigia. Non avevo fatto la preparazione giusta, ma fu bellissimo. E poi due anni fa in quel Delfinato. Sai, lì si fa fortissimo (i corridori cercano la convocazione per il Tour, ndr) e ogni volta che c’era la salita io andavo in fuga. Un giorno che non ci sono andato sono comunque rimasto coi migliori.
«Il più brutto, un po’ tutto il 2019. Mi ammalavo spesso, non sapevo perché, avevo dei problemi familiari. Le cose andavano male da una parte e dall’altra, tanto che quando mi sono rotto il femore quasi quasi ero contento. Avevo bisogno di resettare la testa».