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Passano gli anni, ma Petilli sorride ancora

14.02.2021
5 min
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Un corridore che ride mentre è in fuga. Noi lo abbiamo visto di persona dall’auto di giuria sulla quale viaggiavamo. Simone Petilli ha fatto anche questo. Non era ancora professionista, stava correndo in Argentina con la maglia della nazionale. Da quel giorno sono passati sei anni, ma il corridore lombardo, che per il secondo anno correrà nel team WorldTour Intermarché-Wanty-Gobert, non ha perso quel sorriso. Magari non ha più la stessa spensieratezza, ma è normale con il passare degli anni, delle esperienze, di qualche batosta e di qualche soddisfazione…

«Eh, sono diventato vecchio! Me ne sono reso conto gli ultimi anni con i giovanissimi che passano e vincono», scherza Petilli.

Simone Petilli al Tour de San Luis (Argentina) nel 2015
Petilli al Tour de San Luis nel 2015
Dai Simone che sei ancora giovane! Però un bilancio sin qui dei primi anni da pro’ puoi tracciarlo…

Sono stati anni di alti e bassi. Ho fatto esperienza, ma sinceramente mi aspettavo qualcosa di più. Tuttavia sono contento delle scelte fatte.

Perché secondo te hai avuto questi alti e bassi?

Io ho iniziato nel 2016, alla Lampre, squadra italiana e clima familiare. Ho imparato molto da gente come Ulissi, Rui Costa… ma c’era la mentalità di una volta.  Che poi dire “una volta”: sono passati solo cinque anni!

In effetti è vero, sembra un’altra epoca…

Quando sono passato la mentalità era ancora che il giovane doveva aiutare, poi intorno ai 27-28 anni si prendeva le sue responsabilità e coglieva i grandi risultati. Ora a 21-22 anni passano e vincono. Ma per carità, è giusto così.

Qual è stato il tuo anno migliore?

Il 2017. Non ho ottenuto grandi risultati ma nelle Ardenne e al Giro ho fatto delle belle prestazioni, quando il gioco si faceva duro riuscivo a restare con i migliori. Questo mi dava fiducia, pensavo solo a migliorare. I risultati arrivano, mi dicevo.

Simone è arrivato alla Wanty l’anno scorso. Eccolo con Pasqualon (a destra)
Dal 2020 è alla Wanty con Pasqualon (destra)
E invece…

Alla fine di quell’anno sono caduto in discesa al Lombardia. Mi sono infortunato gravemente e sono rientrato in pratica nella seconda metà del 2018. Ed è difficile riprendere a stagione in corso. Corri senza programma, non riesci ad essere costante. Poi è stata colpa mia che non sia riuscito a riprendermi.

Come hai passato questo inverno?

Cercando di evitare soprattutto l’errore dello scorso anno. Durante il lockdown mi sono allenato, forse troppo. Ho ripreso la stagione e sono andato bene per i primi dieci giorni, poi non ho più reso bene. Andavo più forte a giugno in allenamento che ad agosto in gara. E questa cosa non è facile da digerire. Non dico che non bisogna lavorare, ma bisogna farlo nel momento giusto.

Sei arrivato alla Intermarcheé-Wanty-Gobert…

Con la UAE mi sono lasciato bene, è lì che sono cresciuto. Dopo l’infortunio è cambiato molto il team. La Wanty è stata un’occasione per rilanciarmi. Ero consapevole di aver fatto, l’anno scorso, un piccolo passo indietro. Da quest’anno siamo di nuovo nel WorldTour. Adesso tocca a me dimostrare il mio valore. Bisogna essere realistici, oggi la UAE è ad un livello altissimo e anche solo andare a correre è difficile. Con Pogacar, Ulissi, Hirschi… devi avere non una condizione buona, ma stratosferica! Qui è un po’ più facile, posto che anche da noi c’è gente forte: Meintjes, Taramae, Hirt… ci sarà da lavorare per loro, ma avrò più possibilità di cercare le mie occasioni. La squadra ci mette tutto a disposizione.

E di Pasqualon che si dice? Lui è alla Wanty già da qualche anno…

Andrea lo conoscevo. Avevamo corso insieme nel 2014 nell’AreaZero. Io ero al primo anno in una continental, un novellino, mentre lui era lì per rilanciarsi. Pasqualon è un corridore molto tenuto in considerazione in squadra e se lo merita. In Italia è sottovalutato, invece ottiene risultati, li fa ottenere e sa fare gruppo. Mi ha aiutato ad ambientarmi, anche se mi sono trovato bene con tutti. Ci sentiamo spesso. Io chiedo a lui, ma anche lui chiede qualcosa a me, in fin dei conti anche io corro da un po’!

Parlaci della mentalità della squadra belga…

Rispetto a qualche anno fa c’è una grande differenza e me ne sono reso conto l’anno scorso. In Lampre e nei primi tempi della UAE c’è era ancora la mentalità italiana, quella della vecchia scuola. Per esempio quando ti chiedevano: «Quanto ti alleni in una settimana?». E tu dicevi sette giorni su sette. E ancora: «Nel recupero cosa fai?». E tu: faccio due ore, che per un pro’ sono 60-70 chilometri. Invece all’estero quando ti alleni, lo fai di brutto. Ma quando riposi e stai a casa, non ti fanno sentire in colpa. Non ti fanno passare quel giorno di stop come un qualcosa di sbagliato. Idem con l’alimentazione: se per una volta vuoi una pizza non è un problema.

Petilli (27 anni) al servizio dei capitani alla Uae nel 2019
Petilli al servizio dei capitani alla Uae
Oltre a Pasqualon ci sono anche Lorenzo Rota e Riccardo Minali, un bel gruppetto…

In ritiro ci chiamavano la “mafia italiana”, scherzando. Però la mafia li faceva divertire. Adorano la nostra cucina. L’anno scorso durante le corse italiane ci chiedevano perché noi italiani li guardavamo male se ordinavano un cappuccino dopo cena. Io gli spiegavo che quello si prende a colazione, ma tanto non capiscono! Comunque la compagine italiana adesso è ancora più forte grazie all’arrivo di Valerio Piva, un tecnico davvero bravo. Con lui abbiamo fatto uno step in più ed è un altro fattore a nostro vantaggio

Quando inizierai a gareggiare?

Allo Uae Tour, in realtà avrei dovuto iniziare con il Provence ma poi c’è stato non so quale fraintendimento tra team e organizzatori (in corse di quel livello possono prendere il via al massimo dieci squadre WT, ndr) e non siamo più andati. Dopo Uae dovrei fare Laigueglia, una corsa che mi piace molto e che ben si adatta alle mie caratteristiche, Strade Bianche, Catalunya e, spero, il Giro d’Italia. 

Bè dai, sei un italiano in una squadra belga…

Sì, loro hanno interesse a mandarmi e io a tornarci.