Mark Padun è appena rientrato da un allenamento lungo, sotto l’acqua e un bel freddo. Andorra in questi giorni mostra la sua faccia e dopo tanto girare in cerca di caldo, l’ucraino ha fatto ritorno alla base per preparare la valigia e raggiungere a breve il ritiro toscano del Team Corratec. La squadra di Frassi e Parsani, con l’astuta regia di Citracca, ha raccolto un gruppetto di corridori molto solidi, guidati da Valerio Conti che già c’era. Accanto al romano sono arrivati Sbaragli e Mareczko, Bonifazio e ora Padun, per un peso specifico che raramente questo gruppo aveva raggiunto negli ultimi anni.
L’ucraino è un pezzo di pane, un ragazzo buono di 27 anni, che per caratteristiche atletiche meriterebbe ancora un posto nel WorldTour. Negli ultimi quattro anni ha corso con la Bahrain e poi con la EF Education, uscendo progressivamente dai radar.
Un motore potentissimo
Il suo preparatore dice di aver visto raramente un motore così potente e che, proprio per questo (indicando tra i fattori da tenere in considerazione anche il peso: Padun è alto 1,83 e pesa 67 chili), chi non lo conosce bene rischia di fargli prendere strade tecniche sbagliate. Forse è proprio questo quel che è successo nelle ultime due stagioni nel team americano. Padun infatti è arrivato forte al 2022 dopo il primo inverno, poi è andato sempre in calando. Dove è finito il corridore che vinse due tappe al Delfinato del 2021 e poi, escluso dalla squadra del Tour, andò fortissimo alla Vuelta?
Su quell’esclusione si parlò molto, ma la Bahrain Victorious volava e quando si trattò di fare la squadra per la Francia, la mannaia si abbatté su Mark, che non la prese affatto bene. I corridori guidati in quell’occasione da Rolf Aldag vinsero tre tappe (due con Mohoric e una con Dylan Teuns), per cui in breve del malumore di Padun si smise di parlare. Lui invece non dimenticò. Fece una Vuelta stellare, aiutando Gino Mader a conquistare la maglia bianca. E a fine anno cambiò squadra.
A parte la vittoria al Gran Camino a inizio 2022, le cose non sono andate troppo bene. Come mai?
Ho avuto problemi e sfortuna. Non sono più riuscito a trovare il mio ritmo. Un paio di volte ho sentito di avere una super gamba, ma in quei casi ho avuto forature, cadute ed episodi sfortunati. Alla EF mi sono trovato bene, è una bella squadra, con bravi preparatori e un bel personale. Non posso dire che sia dipeso da loro, ma qualcosa non ha funzionato.
Come si fa a perdere completamente lo smalto?
E’ la domanda più grande. Per questo sto lavorando, per tornare al Mark Padun di due anni fa. Ho ripreso a lavorare con il mio vecchio preparatore. Finché ero in una WorldTour non poteva più seguirmi, perché anche lui lavora in una grande squadra. Adesso invece abbiamo ricominciato a collaborare.
Avete rimesso mano alla preparazione?
Siamo tornati al metodo di prima e le cose stanno andando meglio. Non può essere una coincidenza. Rivedendo il mio modo di lavorare, ci siamo resi conto che in questi due anni ho sempre esagerato con i carichi di lavoro. Arrivavo alle corse stanco e non era normale. Ora ho ripreso in modo diverso, con la quantità giusta e tanta qualità.
Il ritorno in una squadra italiana, anche se non WorldTour può essere l’occasione per rilanciarsi?
L’Italia ha segnato l’inizio della mia carriera. Sono stato per due anni in Colpack e ho vissuto da voi prima di trasferirmi ad Andorra. Mi piace la mentalità che avete e il fatto che le squadre sono grandi famiglie. E a me serve un ambiente sereno per fare quel che adesso mi preme. Ricostruirmi prima ancora di pensare a quali obiettivi raggiungere.
Hai avuto contatti con i nuovi compagni?
Non ancora. Ho parlato con Francesco Frassi e adesso non vedo l’ora di incontrarli al primo ritiro (la squadra si radunerà per cinque giorni la prossima settimana a Viareggio, ndr). Quello che so è che troverò due professionisti ucraini, siamo gli ultimi tre rimasti nel gruppo e questa è una bella coincidenza. Il nostro ciclismo soffre, come la nostra gente. Tutti fanno il meglio possibile, ma non ci sono soldi e gli sponsor, che già non erano ricchissimi, hanno altro cui pensare.
Un quadro pesante…
I genitori non portano i bambini alle scuole di ciclismo, per cui il nostro sport si aggrappa ai Paesi come l’Italia e alla gente che cerca di aiutarci. Ci sono ragazzi e ragazze che vivono fuori dall’Ucraina e riescono a correre. Il vero buco ci sarà per le prossime generazioni. Ma quando c’è una guerra, capisci anche che lo sport viene dopo.
Come hai vissuto questo periodo di fatica e zero risultati?
Quando le gambe non vanno, ti vengono anche parecchi dubbi. Per fortuna che Training Peaks continuava a mostrarmi dei bei numeri, che ho fatto parecchi KOM e che ho avuto alcuni dei miei risultati migliori su segmenti di 20 e 30 minuti. Devo trovare il modo per diventare più consistente, di fare bene quello che so fare e puntare all’unico obiettivo che ora posso dire di avere in testa.
Quale sarebbe?
Non il Giro, anche se mi piacerebbe e mi piacerebbe che fossimo invitati. Penso alle Olimpiadi. Devo conquistarmi il posto facendo belle corse, ma penso che essere a Parigi sarebbe un bel modo per riprendere il filo del discorso e fare qualcosa di bello per il mio Paese.