Merlier, Milan e Pogacar: i tre volti di Fossano

06.05.2024
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FOSSANO – Trovare una tappa più strana di quella di oggi al Giro d’Italia è un bel grattacapo. Lo ha detto anche il vincitore Tim Merlier. «Dopo che noi velocisti siamo andati in fuga forse abbiamo fatto arrabbiare gli uomini di classifica nel finale!».

A Fossano ci si attendeva la prima volata e prima volata è stata. Ma per arrivare a questo epilogo non bisogna pensare ad una frazione dallo svolgimento classico. 

Da questo caos emergono tre personaggi: Tim Merlier, il vincitore, Jonathan Milan, lo sconfitto, e ancora lui: Tadej Pogacar, padrone e mina vagante al tempo stesso.

Il vincitore

La Soudal-Quick Step ha avuto il merito di restare più unita di altri team. E di entrare in azione nel momento perfetto. Davide Bramati, il direttore sportivo della squadra belga è stato un compendio tattico.

«Con questo finale così tecnico e difficile – ha detto Brama – era impossibile muoversi ai 2.900 metri, cioè quando finiva lo strappo. Avevamo ipotizzato che qualcuno potesse guadagnare 3”-4” secondi, ma sapevamo che quella curva quasi a gomito ai 1.200 metri avrebbe inciso parecchio. Avrebbe abbassato la velocità e poi ripartendo quasi da fermi con la volata li avrebbero riacciuffati, anche perché c’era un filo di vento contro.

«Così ho detto ai ragazzi di entrare veramente in azione ai 1.300 metri. Anche solo ritardare la frenata gli avrebbe fatto guadagnare posizioni importanti. E così è andata».

I ragazzi di Brama, oggi anche con un bell’Alaphilippe, hanno eseguito alla lettera le sue indicazioni. E Merlier ha fatto il resto.

«Come vi avevo detto qualche giorno fa Merlier sta bene. Abbiamo portato una buona squadra e oggi questa vittoria sinceramente ci fa piacere. Tanto piacere, visto che non vincevamo da diverse settimane».

Lo sconfitto

C’è poi Jonathan Milan. Su un arrivo non proprio ideale per il suo fisico, aver sfiorato il successo non è poi così male. Certo, Fossano ha un po’ strozzato l’urlo di gioia, ma guardando il lato positivo la gamba c’è.

Ma c’è anche un pizzico di dispiacere. Sarebbe un problema se non ci fosse. A chiarire tutto è Simone Consonni, il “capotreno”. E Simone era quasi più dispiaciuto di Milan dopo l’arrivo. Nell’ultima curva si sono un po’ persi i quattro vagoni della Lidl-Trek: due da una parte e due dall’altra. 

«Potevamo fare meglio a livello tecnico e tattico – ci dice Consonni mentre si dirige verso i bus – però è anche vero che era il primo sprint del Giro ed è già bello non aver messo il “sedere per terra”, tanto più che era così difficile.

«L’allungo di Pogacar e Thomas ci ha rotto le scatole, ma non tanto a livello tattico quanto di gambe. E infatti Jonathan e Jasper (Stuyven, ndr) hanno preso la curva in prima e seconda posizione, mentre io ed Eddy (Edward Theuns, ndr) eravamo un po’ più dietro. Abbiamo sprecato tanto per rientrare sotto».

«Il finale non era facile e se noi del treno eravamo tutti lì, negli ultimi 500 metri, vuol dire che stiamo bene. Domani ci riproveremo».

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La mina vagante

E poi c’è lui. Sempre lui: Tadej Pogacar. Il corridore della UAE Emirates continua ad incantare, ma anche a sprecare e qualcuno inizia ad imputargli questo suo modo di correre. Lo sloveno però glissa.

«Modo di correre dispendioso? Ma no è tutto pagato!», come a dire che non costa nulla fare certi scatti. Mentre si fa più serio quando gli chiedono se voglia vincere tutte le tappe. Pogacar replica con un secco: «No comment».

Tadej quando sta bene non si ferma, non c’è niente da fare. Anche Rafal Majka ce lo ha ripetuto pochi giorni fa. Pogacar si difende col dire che l’attacco non lo ha propiziato lui, ma ha solo seguito Honorè. «Ero davanti, stavo bene e l’ho seguito. Anzi, quando Thomas è rientrato è stato lui a dare il primo cambio. E anche forte. A quel punto abbiamo spinto. Peccato non essere arrivati».

Mentre ci è piaciuto, ed è indice d’immensa lucidità, il racconto del traguardo volante di Cherasco. Traguardo che arrivava dopo un ripido strappo.

«Ero davanti – ha spiegato Pogacar – ho visto che c’era anche Thomas e a quel punto ho deciso di andare. Due secondi sono sempre due secondi. Meglio a me che a lui».