Sventolava sul Giau come la più bella bandiera tricolore. Damiano Caruso, con l’Italia del Giro sulle spalle, si arrampicava nella scia di Bernal, rincorrendo il sogno di quel podio che in certi momenti sembra alla portata e in altri più gigantesco di questa stessa montagna piena di neve e ghiaccio. Tagliati i baffi, la forza era ancora con lui e scalando il passo, il siciliano in realtà scavava a fondo dentro di sé, arrivando a una profondità in cui forse non si era mai spinto. Quella che solo i campioni sono soliti frequentare quando vanno in cerca dello spunto per lasciare la loro impronta.
Per questo, quando dopo l’arrivo ha saltato le interviste ed è andato dritto verso il pullman, Damiano aveva negli occhi il gelo della discesa e nella mente ben chiaro cosa fare per iniziare subito il recupero. Ispirato. Concentrato. Lucido.
Uno di noi
Sono passate circa due ore dall’arrivo. Cortina ha smaltito il traffico dei pullman diretti verso Canazei, dove domani le squadre vivranno il secondo riposo. Gli abbiamo lasciato giusto il tempo di rimettersi in sesto, poi la voglia di dirgli bravo e sapere come andassero le cose ha preso il sopravvento. Ci sono corridori che bastano a se stessi e sono schivi davanti alle dimostrazioni di affetto, al punto che dopo un po’ neanche ti viene più la voglia di fargli sapere quanto ti facciano piacere le loro imprese. E poi ce ne sono altri che hai visto lottare per tutta la vita, facendo propri i sogni degli altri, senza però godere appieno delle eventuali vittorie. Damiano è così. Damiano è ognuno di noi che lotta per il pane. E quando lo vedi sulla porta di qualcosa di bello, ti viene voglia di fargli sapere quanta gente stia facendo il tifo per lui.
«E’ qualcosa di cui mi rendo conto – dice – una spinta che sento e che è importante. Tutto quello che sto facendo è un ringraziamento a chi mi ha sempre spinto e che è stato al mio fianco anche nei momenti più difficili. Persone che credono in me più di quanto faccia io».
Cosa hai pensato stamattina, quando è venuto fuori che avreste fatto meno chilometri?
Ero comunque in apprensione per il meteo. Invece si è creato subito in bel feeling con la bici e la corsa e credo si sia visto dalla prestazione. Per come è andata la corsa, la soluzione di tagliare quelle due salite non è stata un capriccio, ma la soluzione migliore. Ne abbiamo guadagnato tutti e penso che la gente abbia potuto vedere una bella corsa (in realtà ciò non è accaduto del tutto, perché le immagini del finale sono saltate, ma questa è un’altra storia, ndr).
Quando è partito Bernal hai pensato di seguirlo o ti sei girato dall’altra parte?
Per un attimo ho cercato di agganciarlo, ma mi sono reso conto che non era il caso e mi sono ripiegato su me stesso. Salire col proprio passo in certe situazioni è la miglior difesa e anche un valido attacco.
E’ difficile rincorrere un sogno e insieme tenere i piedi per terra?
Non è difficile, direi che è necessario. Per fortuna tenere i piedi ben saldi al suolo è sempre stato una mia caratteristica e adesso devo farlo a maggior ragione, dato che il Giro non finisce certo domani e ci sono ancora tappe molto dure.
Quindi la forza non dipendeva dai baffi…
Visto? Li ho tagliati e le gambe continuano a girare. Scherzi a parte sto recuperando bene, sto curando tutto nei minimi dettagli. La squadra sta facendo il massimo per me. Mi tolgono di dosso ogni preoccupazione e cercano di fare quello che serve.
Quanto è stato freddo nella discesa del Giau?
Era freddo, ma anche sopportabile. Ero super concentrato a mantenere la posizione, a fare le traiettorie giuste. Ma le sensazioni erano quelle classiche che un corridore conosce bene. I piedi privi di sensibilità e così pure le mani.
Per questo non ti sei fermato?
Sì, mi dispiace. Ma in quel momento avevo un’altra priorità, che era quella di riscaldarmi. Per cui sono andato dritto al pullman, dove c’era solo l’autista. Sono salito. Mi sono tolto i panni bagnati. E mi sono infilato sotto la doccia. C’è voluto un po’, ma adesso sto bene e domani si riposa. Per oggi abbiamo dato, insomma…