EDITORIALE / Il Giro è bello a prescindere dai nomi

16.10.2023
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E’ stato presentato il Giro d’Italia e la sensazione è quella di un’edizione meno estrema per invogliare qualche grosso calibro a correrlo prima del Tour. La serata di Trento (in apertura Roglic e Nibali) ha mostrato infatti un’edizione più… morbida rispetto al passato, ma se l’obiettivo è quello appena enunciato, perché mettere un arrivo a Oropa il secondo giorno? Si vogliono i grossi nomi alla partenza perché firmino tutte le mattine o perché provino a lasciare il segno?

Se così fosse, quel traguardo li costringerebbe ad arrivare al Giro al massimo della forma: condizione sufficiente per ritrovarsi al Tour a corto di energie. E quest’anno in Francia vogliono andarci tutti con il massimo da spendere.

L’ultima volta che il Giro è arrivato a Oropa fu nel 2017, quando Dumoulin in rosa vinse battendo Zakarin
L’ultima volta che il Giro è arrivato a Oropa fu nel 2017, quando Dumoulin in rosa vinse battendo Zakarin

I quattro del Tour

Vingegaard deve e vuole confermarsi. Forse, vista la sua superiorità potrebbe tentare l’azzardo della doppietta, ma corre in una squadra che programma tutto troppo alla lettera per immaginare simili rischi proprio a spese del Tour.

Dopo un altro secondo posto, Pogacar è stato messo in croce per aver speso troppo in primavera, quindi si suppone che vorrà arrivare al Tour al massimo del massimo. Correre il Giro sarebbe funzionale?

Roglic ha lasciato la Jumbo Visma per inseguire il suo sogno di maglia gialla. Farà tutto quello che può e la Bora con lui per arrivarci tirato a lucido.

Infine Evenepoel, che pare ormai deciso a puntare sulla corsa francese, anche se probabilmente non ne ha la statura. Paradossalmente proprio lui potrebbe attaccare decisamente il Giro e poi andare in Francia per capire come gira il mondo.

Mas, Kuss e Ayuso sarebbero presenze importanti per il Giro: ciascuno con la sua storia da raccontare
Mas e Kuss sarebbero presenze importanti per il Giro: ciascuno con la sua storia da raccontare

Meglio non pagare

Il ciclismo che conta si limita a questi quattro ed è un fatto; vale la pena rinunciare a vincere un Giro d’Italia per andare a sfidarli, sapendo che probabilmente si tornerà a casa con le mani vuote? E per contro, verrebbe considerata poco affascinante un’edizione del Giro in cui i protagonisti si chiamassero Thomas e Mas, Hindley e Carapaz, come pure Kuss, Almeida, Vlasov e Ayuso?  

Noi crediamo di no, soprattutto perché i titani è bello quando si scontrano fra loro, ma lo spettacolo diventa noioso se uno solo si ritrova in mezzo ai normali e spadroneggia per tutto il tempo. Qualcuno si è divertito alla Vuelta, davanti allo strapotere della Jumbo-Visma?

Dopo il Giro gli stessi capitani del Giro potrebbero andare al Tour in supporto dei rispettivi grandi leader, visto che corrono tutti (o quasi) per le stesse squadre.

Il Giro a nostro avviso dovrebbe resistere alla tentazione di mettere mano al portafogli per portare in Italia una star. Sono operazioni che sviliscono il prestigio della corsa, che rischiano di creare uno squilibrio difficile da arginare e danno a certe partecipazioni un gusto amaro.

Paghiamo lo strapotere del Tour. Ma è chiaro, avendo a che fare con squadre del Nord Europa e altre degli Emirati Arabi, che non possa essere il Giro a scalzare il prestigio della Grande Boucle. Potrebbero essere i campioni a volersi cimentare, ma questo ciclismo così estremo non ammette strappi. E allora benvengano le squadre come la Eolo-Kometa che diventerà Polti, la Green Project-Bardiani, il Team Corratec e anche, si dice, un’altra professional italiana in rampa di lancio.

Alla presentazione del Giro a Trento si è avuta la sensazione di un percorso meno estremo
Alla presentazione del Giro a Trento si è avuta la sensazione di un percorso meno estremo

La parabola dei talenti

Benvengano perché al prossimo Giro d’Italia avranno l’occasione, mai così ghiotta, di correre per un grande risultato. Benvengano perché fanno correre gli italiani e li tirano fuori anche se il vento dei procuratori fa di tutto per portarli all’estero. E benvengano perché accolgono quelli che il WorldTour ha spremuto e lasciato, nonostante potrebbero ancora dare. Come per Matteo Fabbro, che si è lasciato convincere a fare il gregario pur avendo gambe migliori e adesso si ritrova senza squadra a 28 anni, senza aver mai giocato davvero le sue carte. 

Il Giro d’Italia e gli italiani meritano più rispetto. Al primo pensa benissimo Mauro Vegni, che potrebbe benissimo infischiarsene di avere al via una star a gettone. I corridori invece a certe astuzie dovrebbero pensarci da sé o con l’aiuto dei procuratori, che pagano per questo. Se lo scopo è prendere soldi, a volte è meglio alzare l’asticella e chiederne di più in cambio di prestazioni superiori, piuttosto che stare fermi finché funziona e poi strapparsi i capelli perché non è arrivata la conferma. Bagioli e Ballerini lo hanno capito in tempo. Qualcuno ha mai sentito parlare della parabola dei talenti?