La fusione sfumata fra Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step è stata l’ammissione che così non si può andare avanti. Che i costi sono diventati difficili da sostenere anche per le squadre più grandi e che per continuare a dominare c’è bisogno di averne sempre di più, a fronte di sponsor che iniziano a farsi delle domande.
«Non credo che possano continuare così anno dopo anno – ha detto Pogacar da Singapore, parlando della Jumbo – sarebbe un po’ strano. Nel 2024 ci saranno anche alcuni cambiamenti. Primoz va alla BORA-Hansgrohe e con lui perdono un leader importante. E’ positivo che ci siano più squadre che hanno un forte blocco per i Grandi Giri, l’anno prossimo non sarà più Jumbo-Visma contro UAE Emirates. Ci sarà anche Remco e anche la Ineos sarà competitiva. Ciò non farà altro che arricchire ulteriormente il Tour de France».
Il tesoro del Tour
L’ultimo verbo, usato da Pogacar in riferimento ai contenuti tecnici della sfida, ha però anche altre sfumature: la corsa all’oro è nel vivo. All’indomani della presentazione del Tour de France infatti (foto ASO in apertura), l’agenzia di stampa Reuters ha diffuso una notizia sorprendente: cinque squadre di punta sarebbero in trattative per organizzare una competizione ciclistica alternativa. L’obiettivo è quello di limitare il potere dei grandi organizzatori e consentire l’afflusso di più denaro alle squadre.
Finora soltanto Flanders Classics, per bocca del suo CEO Thomas Van der Spiegel, aveva ventilato la possibilità di dividere i proventi dei diritti televisivi con le squadre. Stiamo parlando della società belga che organizza 70 prove in linea, tra cui il Giro delle Fiandre, la Coppa del mondo e il Superprestige di ciclocross. Gli altri soggetti dominanti del ciclismo, da ASO a RCS, hanno sempre preferito evitare il discorso. ASO non ha mai diffuso informazioni sul valore effettivo dei diritti del Tour. Tuttavia appare chiaro che per il gruppo, che pubblica L’Equipe e aveva fra le sue punte anche altre testate poi chiuse, la Grande Boucle rappresenti la principale fonte di guadagno.
Il costo del biglietto
Le squadre investono sempre di più ed è comprensibile che gli sponsor cerchino il modo di rientrare seppure parzialmente dei costi. Il punto è capire se questo sia possibile anche nel ciclismo.
I grandi sport professionistici di squadra possono contare su diversi introiti. Ad esempio c’è la vendita dei biglietti. Essa da una parte comporta la manutenzione degli impianti, ma garantisce un’importante fonte di guadagno. Negli anni 60 fu fatto il tentativo di far pagare un biglietto di ingresso per il Mont Ventoux e lo stesso sarebbe possibile teoricamente per l’Alpe d’Huez o il Mortirolo. Ci sarebbero da controllare gli accessi mediante l’assunzione di controllori e l’installazione di varchi, ma bisognerebbe anche essere certi che i numeri non inizino a calare. I tifosi potrebbero viverlo come un vero e proprio tradimento.
Una differenza sostanziale del ciclismo rispetto ad altri sport di squadra è anche che in nessun altro mondo lo sponsor dà il nome al team, come invece succede da noi. La Juventus si chiama Juventus e non Jeep. Il Milan è Milan e non Emirates. E se pure è vero che nella stessa corsa ci sono più marchi a sfidarsi e non solo due come in una partita di calcio, le tappe dei Grandi Giri hanno più traguardi intermedi e classifiche in cui più o meno tutti possono brillare di luce propria. Quale sport assicura ore e ore di diretta a una squadra che porta il nome del suo sponsor?
I diritti televisivi
E poi ci sono i diritti televisivi, la cui entità è obiettivamente da capire. Tolti i grandi Giri e qualche altra classica, infatti, sono poche le corse che riescono a coprire i propri costi. Per questo e non per amore della mondializzazione, si organizzano gare negli Emirati e nei vari deserti del mondo. Per sommare risorse che creino ricchezza, ma permettano anche di tenere in vita corse di prestigio come la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Gli organizzatori che con i diritti televisivi realizzano profitti li condivideranno con le squadre? Probabilmente no, come hanno dimostrato i precedenti tentativi di riformare il ciclismo professionistico su strada.
Perciò, come già nel 2012, ecco nuovamente la suggestione di creare un calendario parallelo, per affrancare i team dal potere dei grandi organizzatori. E’ successo nel golf e nel tennis, ad esempio, dove nuovi tornei sono nati e hanno affiancato quelli della grande storia. Secondo la Reuters, fra le squadre coinvolte ci sarebbero la Ineos Grenadiers e la Jumbo-Visma, anche se i rispettivi responsabili hanno preferito non commentare. Stessa reazione da parte di CVC Partners, società che dal 2006 al 2016 ha gestito la Formula Uno e nel 2020 fece la sua offerta per gestire la Serie A di calcio. Nell’articolo della Reuters sarebbe molto vicina al nuovo tentativo.
«Il ciclismo è un gigante addormentato – ha detto alla Reuters Richard Plugge, il team manager della Jumbo-Visma – e merita un modello di business migliorato. Per tutte le parti interessate, ma soprattutto per i team del WorldTour. L’unico modo per arrivarci è la cooperazione».
L’esempio belga
Ma siamo certi che la torta da dividere sia così grande e che il pubblico del ciclismo sia intenzionato a pagare per assistere a uno spettacolo che da quasi due secoli si svolge su strade aperte?
In Belgio l’hanno digerita. Il clamoroso ridisegno del Giro delle Fiandre con la creazione del circuito finale ha permesso a Flanders Classics di prevedere delle aree a pagamento, senza però escludere la possibilità per gli altri di assistere alla corsa liberamente. Nelle gare di cross si paga per entrare e per consumare, ma qui si tratta di circuiti facili da controllare e lo sport è così popolare che nessuno trova insolita la necessità di pagare per un tagliando.
L’esempio italiano
Nel resto d’Europa, il discorso è più complesso: in Italia senza dubbio. Basti pensare che la maggior parte degli spettatori televisivi tende a preferire il ciclismo su un canale in chiaro o relativamente economico come Eurosport. I costi per seguire i campionati di calcio e tornei altrettanto prestigiosi all’estero sono decisamente superiori. Chi acquista quei diritti (pagandoli profumatamente) sa di poterne recuperare una fetta addebitandoli agli utenti televisivi, cui però vengono garantiti servizi superiori.
Quanto costerebbe a Eurosport Italia mandare degli inviati alle corse, affinché possano commentarle dal vivo? E quali ripercussioni ciò avrebbe nei costi d’abbonamento?
«Come ha recentemente affermato John Lelangue – scriveva in un suo blog del 2020 l’ex presidente dell’UCI Brian Cookson – il ciclismo è sopravvissuto per più di 50 anni nel modo in cui sopravvive oggi. Non ci sono meno corridori o meno sponsor rispetto agli anni ’90 o 2000. Perché mettere in discussione un modello che funziona forse non perfettamente, ma che sicuramente si è evoluto e sviluppato nel corso degli anni in qualcosa che è quanto di più vicino a un modello economico? E anche se noi fan possiamo approvare, disapprovare o ignorare qualsiasi persona, prodotto, governo o organizzazione che paga per lo spettacolo, è lo spettacolo che amiamo e continueremo ad amare. E il fatto che, a pensarci bene, non lo paghiamo molto, lo rende ancora migliore».