Alla fine servono le gambe, i garun per ricordare Alfredo Binda che ancora oggi avrebbe tanto da dire. Mohoric probabilmente avrebbe vinto la Sanremo anche senza il reggisella telescopico e Van Baarle ha conquistato la Roubaix su una Pinarello priva di accorgimenti particolari: la stessa con cui fra pochi giorni la squadra correrà la Freccia Vallone, poi la Liegi e a seguire Giro e Tour. L’olandese della Ineos Grenadiers ha tuttavia riconosciuto che essersi dedicati nell’inverno a un vero setup da classiche gli ha permesso di avere a disposizione una bici performante e sicura. Ruote, gomme giuste alla giusta pressione (foto di apertura), ricognizioni, nastro, rapporti, il guida-catena per la guarnitura, il giusto abbigliamento e pedalare.
Il sistema DSM
Nella settimana che conduceva alla Roubaix, complice anche la licenza rilasciata dall’Uci per un sistema di regolazione della pressione, si sono scatenati quasi tutti a caccia del dispositivo di Scope Cycling che avrebbe permesso di aumentare e ridurre la pressione delle gomme in funzione del tipo di terreno. Più dure su asfalto e più morbide sul pavé. Lo avrebbe usato il Team DSM. Dopo il reggisella di Mohoric, eravamo tutti pronti a un’altra spallata. Invece…
Invece si trattava di una trovata di marketing, la stessa che non è riuscita nel caso di Mohoric, perché lo sloveno si è arrangiato da solo e nessuno ne sapeva niente.
Era credibile, tornando alla DSM, che in quell’inferno di polvere e pietre, un corridore si mettesse anche a variare la pressione delle gomme?
L’auricolare nelle orecchie. Il computer da guardare. La necessità di ricordarsi di mangiare. La guida su quel fondo dissestato. Gli spettatori che si sporgono. Le traiettorie imprevedibili. No, non era credibile! Non per ora, almeno…
Rinviato al Tour
«Dal 2020 – si legge nel comunicato della squadra – il Team DSM e Scope stanno lavorando a un sistema di gestione della pressione degli pneumatici che consente ai ciclisti di gonfiare e sgonfiare le gomme mentre sono in bicicletta, di cui l’UCI ha approvato l’uso all’inizio di aprile. Questa settimana sul pavé ha confermato che possiamo essere fiduciosi nel sistema e nel nostro setup generale, ma abbiamo deciso di fare il nostro debutto al TDF dove lo utilizzeremo nella tappa sul pavé.
«La Parigi-Roubaix – prosegue il comunicato – è una delle gare più caotiche del calendario e richiede la completa concentrazione dei corridori sull’intera lunghezza di 259 chilometri. Per questo motivo, i ciclisti devono essere completamente tutt’uno con la propria bici e controllare tutti i componenti in modo intuitivo. Non vediamo l’ora di dedicare altro tempo alla guida con questo sistema ed essere parte di quello che siamo fiduciosi sarà un grande cambiamento in questo sport».
Gambe e coraggio
Vedremo se al Tour de France lo utilizzeranno davvero. Forse lo affideranno a qualcuno fuori classifica o senza particolari velleità di risultato.
Sarà per caso, ma le tre bici sul podio della Roubaix non avevano particolari ammortizzazioni al di fuori delle ruote e dei fattori precedentemente citati. E mentre in sala stampa ci si meravigliava per la media molto alta della corsa, ci siamo messi a fare di conto, andando a ripescare chilometri e tempo della Roubaix del 1964, vinta da Peter Post (olandese della Flandria Romeo) in 5 ore 52’19” alla media di 45,129, distanza di 265 chilometri.
Ben 58 anni dopo, sulla distanza di 257,2 chilometri e con telai e ruote da fantascienza (leggere per conferma l’approfondimento con Fabio Baldato), Dylan Van Baarle ha vinto a 45,792 di media.
Guardate la foto dell’arrivo di Post. Guardate la sua bici. Saremo sempre pronti ad approfondire e raccontarvi delle bici e delle trovate più geniali, convinti che la tecnica sia parte fondante del nostro mondo e che le aziende di settore spacchino il capello in quattro per consegnare ai corridori i mezzi più performanti. Ma diteci – guardando quella foto in bianco e nero – se non è vero che alla fine le corse si vincono con gambe e coraggio.