«Non so come sarà scritto l’articolo – dice subito Damiani, direttore sportivo della Cofidis – ma mi piacerebbe che non venisse visto come un giudizio nei confronti dei miei colleghi, ma proprio un mio pensiero sul fatto che va bene parlare dei campioni, ma anche i direttori sportivi hanno la loro importanza. Non mi va di fare quello che giudica o si permette di farlo, però quando mi hai mandato i nomi, la prima cosa che mi è saltata all’occhio è che, tranne due, gli altri sono stati miei corridori…».
Il ruolo del direttore
Tre giorni al via del Giro d’Italia. Si fa un gran parlare di capitani e gregari, ma poco dei loro tecnici. Eppure nell’elenco dei partenti ci sono anche loro e non sarà una presenza banale. Per questo ci siamo chiesti se sia giusto non considerarli oppure andarli a cercare solo dopo, a cose fatte, per farsi dire quanto sono stati bravi o per metterli sulla croce.
Sfogliando la rosa, abbiamo individuato i tecnici dei pretendenti più accreditati alla rosa e abbiamo proposto a Damiani di parlarci di loro. Anche lui farà parte della sfida e avrà degli obiettivi da raggiungere: la sua presenza in questo articolo serve a sottolineare una volta di più che in questo ciclismo tutto watt, grammi e angoli, c’è bisogno anche di una bella parte di cervello. E quello, nei momenti di massimo sforzo e stress estremo, si va a cercarlo sull’ammiraglia.
Partiamo dall’estero. La Jumbo-Visma avrà Engels e Van Dongen, sono esperti di Tour, hanno vinto la Vuelta ma non il Giro.
La Jumbo mi sembra che abbia una gestione di gambe. Quando fanno la corsa, la fanno in maniera molto dritta. Sicuramente ci saranno degli input precisi a livello di ammiraglia, ma il grosso del lavoro viene incentrato sulla forza.
Viene in mente il Giro del 2016, quando Nibali attaccò sul Colle dell’Agnello e Kruijswijk in rosa, anziché ragionare e rimanere freddo, buttò via la vittoria.
Il fatto di saper gestire o meno il momento di difficoltà può essere uno dei punti deboli. Molto spesso nel calcio si dice che la miglior difesa è l’attacco. In questo caso, quando le cose non vanno come ti aspetti, il miglior attacco è la difesa. Difenderti bene ti mette in condizione di non farti mai trovare con il lato scoperto.
Bramati, Tosatto e Gasparotto: tre direttori sportivi diversi, come furono anche tre atleti diversi…
Sono personalità completamente differenti, non a caso Tosatto e Bramati sono stati due ottimi gregari, mentre Gasparotto era un po’ più individualista e vincente. “Brama” e ormai anche “Toso” hanno un’ottima quantità di esperienza e mi sembra che tutti e due abbiano la qualità di prendersi le loro responsabilità quando c’è da decidere. E questo è importante nel gestire atleti di altissimo livello come quelli che hanno. Perché se non hai la stima e la loro fiducia, puoi avere tutte le radioline del mondo, ma il lavoro che hai fatto non viene fuori. Gasparotto si è trovato sull’ammiraglia di una squadra molto forte e ha vinto un ottimo Giro. Però ha una quantità di esperienza molto minore in termini, permettete il paragone, di ore di volo rispetto agli altri due.
Però è anche quello più capace di inventare, forse perché a sua volta sapeva farlo in bici?
Esatto, secondo me ha la grande capacità di uscire dagli schemi, come per esempio nella tappa di Torino dello scorso anno. Hanno fatto una cosa davvero importante, uscendo dallo schema che magari per tutti gli altri prevedeva di attendere l’ultimo giro. Hanno spaccato la corsa molto prima e devo dire che hanno avuto ragione, sfruttando la giusta percezione degli atleti che avevano in mano. Perché i tecnici hanno chiesto una tattica del genere, ma gli atleti l’hanno attuata molto bene. Hanno avuto anche tante gambe per fare un lavoro del genere, quindi in questo senso “Gaspa” ha più estro.
Negli ultimi anni Tosatto ha vinto il Giro per tre volte. Bramati non ancora, ma ha centrato per due volte il podio con Uran , Gasparotto ne ha vinto uno: secondo Damiani sono differenze che si sentono?
Sicuramente sono esperienze importanti. Come per i piloti sull’aereo, nei momenti in cui è dentro o fuori, quelli in cui devi decidere, sono esperienze che contano. Non si vive solo di quello che si è già fatto, mi rompe la retorica dell’esperienza degli anziani, però esserci passato ti aiuta a farlo ancora e meglio. Sai che per fare classifica in un grande Giro, non devi mollare un attimo per tre settimane. Ma proprio niente, nella gestione umana, se c’è una foratura, quando gli dai la borraccia, a che ora arrivi alla partenza… Tutto questo conta e Tosatto, pur nei meccanismi che hanno alla Ineos, ha dimostrato di essere bravo nella direzione sportiva.
Si parte battuti quando ci sono certi campioni e certe squadre al via?
Se devo partire rassegnato, sto a casa. Noi con la nostra piccola squadra abbiamo i nostri obiettivi e molto chiari. Chiaramente non di classifica generale, però abbiamo degli obiettivi intermedi. Diventa pesantissimo fare un Giro d’Italia senza un obiettivo. Mi successe con la Lotto nel 2009, l’anno di Menchov. Feci tre settimane a spaccarmi il fegato, finché alla fine scoppiò il bubbone, alzammo la voce e venne fuori a tappa vinta da Gilbert ad Anagni. Ma fu dura. Se vieni in un Giro d’Italia senza l’idea di avere degli obiettivi reali – Damiani su questo è netto – meglio che stai a casa.
Credi che sia un Giro già scritto oppure si può uscire dalla morsa di Evenepoel e Roglic?
Può succedere di tutto, lo abbiamo già visto. Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step sono dedicate a un uomo solo, che cosa succederebbe se il leader avesse un grosso problema? Si troverebbero senza il vero obiettivo, come è successo alla Uae al Liegi. Il numero uno può essere il più forte in assoluto, ma può anche incappare nel Giro peggiore della sua carriera, può avere un inconveniente di qualunque tipo, anche per un solo giorno. Niente è già scritto. E il lotto dei partenti è più ampio di quello che sembra. Almeida, per esempio. Finora ha mostrato delle fragilità psicologiche, ma è forte e lo guida Baldato, un altro grande tecnico italiano. Ripeto: niente è già scritto.