Campione o gregario, Damiani spiega la regola delle due W

22.02.2025
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Qualche giorno fa Finn Fisher-Black, il neozelandese della Red Bull protagonista di quest’inizio di stagione ha rilasciato una lunga intervista a Rouleur spiegando come il suo passaggio di squadra provenendo dalla UAE sia stato dettato dalla ricerca di spazio. Era stanco di essere considerato un gregario, voleva avere chance personali e, da quel che si è visto nelle prime corse, aveva anche le sue ragioni e soprattutto propellente nelle gambe…

Il cambio di squadra ha fatto bene a Finn Fisher-Black: titolo nazionale e 4 podi
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Le sue parole hanno però riproposto l’eterno tema delle ambizioni di un giovane: approdare in un team WorldTour è per tutti un traguardo, ma molti vorrebbero che fosse anche un inizio, invece spesso (soprattutto per i ragazzi italiani) c’è da fare i conti con la realtà, che spesso li confina in ruoli di secondo piano.

E’ un argomento con il quale Roberto Damiani, diesse della Cofidis, si è confrontato spesso: «Il tema è delicato e io lo affronterei ponendo innanzitutto una domanda: i giovani che approdano nelle WorldTour sono davvero tutti da WorldTour? Spesso purtroppo il valore dei corridori è gonfiato da vittorie giovanili che dicono molto poco e dalla pressione dei procuratori. Il circuito maggiore ha ormai un livello altissimo, anche coloro che sono “svezzati” da tempo faticano, anche perché non esistono più le corse di preparazione, ogni volta che metti il numero ti chiedono il risultato, l’11 deve girare, altro che storie…».

Lo sprint vincente di Valentin Ferron a La Marsellaise, primo acuto Cofidis nel 2025
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E’ un problema soprattutto per i più giovani che cercano spazio…

Sì, perché l’approccio può essere traumatico. Cominci a non fare i risultati che sognavi, ti trovi quasi impantanato, ti butti giù. Prima o poi questo mestiere ti pone davanti alla realtà e ti chiede di guardarti dentro. Chi lo fa, chi si rende conto del suo valore e capisce che può ritagliarsi un ruolo importante ha un futuro. Magari sarà un aiutante, un luogotenente, ma sarà per anni in questo mondo guadagnando bene. Chi non si rassegna ma non ottiene risultato, è destinato a scendere dal treno.

E’ un discorso che travalica l’aspetto prettamente sportivo…

Sì, perché bisogna ragionare con la testa, mettersi in gioco in una fetta importante della propria vita. Io dico sempre ai miei ragazzi, quando arrivano alle soglie del team, che devono provarci, ma se capisci che non hai le qualità per emergere, per fare il leader devi saperti adattare anche al ruolo del gregario.

Daniel Oss, a sinistra, con Sagan, un’accoppiata gregario-campione andata avanti per anni con grandi risultati
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Tu lavori in un team francese ma hai avuto e hai corridori italiani. Quanto pesa non avere una squadra nazionale nel WorldTour, per il movimento tricolore?

Tanto, è debilitante. Ogni squadra ha comunque, di base, una predilezione per i corridori di casa propria che viene dalla risonanza che le loro vittorie hanno nei mercati dove gli sponsor agiscono. Se si fanno scelte tattiche, la bandiera conta, una vittoria di un corridore straniero non può avere lo stesso peso di uno locale. Noi ad esempio abbiamo avuto un clamoroso ritorno d’immagine da La Marsellaise perché a vincere è stato Valentin Ferron. Ma era così anche da noi, ad esempio ai tempi della Liquigas. Lì c’era un corridore che ho sempre ammirato…

A chi ti riferisci?

A Daniel Oss. Quand’era giovanissimo si era messo in evidenza come un grande specialista soprattutto per le classiche del nord, ma ha avuto l’intelligenza di comprendere che non sarebbe mai stato un leader e si è ritagliato uno spazio importante al fianco di Sagan, costruendosi così una carriera importante. Un altro esempio è Ulissi, che da parte sua è stato capace di ritagliarsi sempre le sue occasioni tanto da vincere ogni anno. Perché aveva saputo cogliere le opportunità, si era messo in mostra e chi dirigeva ha creduto in lui. Devi saper emergere, anche nelle condizioni più difficili e sperare che quei risultati solletichino l’attenzione di chi guida il team.

Per Pellizzari l’approdo nel WorldTour, ora però comincia tutto. Il team vuole risultati
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Quindi è più una responsabilità di chi guida o di chi corre?

Principalmente di quest’ultimo che deve fare i conti con se stesso e saper cogliere le occasioni, essere pronto per esse. Io apprezzo tantissimo il lavoro che fanno team come Polti e VF Bardiani, perché danno l’opportunità ai ragazzi di mettersi in mostra, ad esempio l’azione dei 3 VF a Maiorca è stata davvero importante. Se sai sfruttare l’opportunità cresci. Pellizzari ha saputo farlo, è approdato in un grande team, ora starà a lui sapergli ritagliare spazi anche lì.

Si parla spesso del gregario, ma ormai non ti pare un termine desueto?

Certamente il gregario non è più il portaborracce, ormai in squadra ci sono ruoli specializzati: chi per il treno delle volate, come per aiutare in salita e così via. Guardate che cosa fece Marco Velo da corridore, trasformandosi da luogotenente di Pantani in salita fino ad aiutante di Petacchi nelle volate, un doppio salto mortale. Oppure quel che ha fatto Bruseghin. Io dico sempre ai corridori, quando hanno ormai 2-3 stagioni alle spalle, che il tempo passa in fretta e il nostro mondo è regolato dalle due “W”: work o win ossia lavora o vinci.

Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Secondo te, quindi, anche la “preferenza nazionale” si può superare?

Se hai qualità, il team ha tutto l’interesse a investire su di te. Bernal ha vinto essendo un colombiano in un team britannico. Sta a te farti spazio, ma considera che comunque questo è un lavoro nel quale si vince di squadra. Ne ho conosciuti tanti che con i premi vinti dal compagno di squadra si sono fatti casa…