Uomo franchigia, per Cesare Benedetti non c’è vestito migliore. Negli Stati Uniti definiscono così gli atleti che passano la loro carriera in un’unica squadra. Nel calcio le chiamano bandiere. Queste figure ormai sembrano non esistere più. Nel ciclismo – in cui i corridori cambiano spesso casacca – non ci sono quasi mai state, ma esistono esempi di fedeltà a lungo termine. Valverde ed Erviti sono nella stessa società dal 2005, Rojas e Gesink dal 2007, Pinot e Geraint Thomas dal 2010.
In mezzo a loro c’è anche il trentino della Bora-Hansgrohe, che a differenza dei suddetti colleghi vanta un particolare primato. Dal 2010, da quando è passato professionista, il 34enne di Rovereto (diventato polacco da un anno) corre per la medesima formazione e non solo. L’ha vista crescere (e vincere) da continental a professional fino al WorldTour, dai tempi della NetApp a quelli attuali.
L’eroe di Pinerolo
Benedetti – che nel 2019 ha vissuto il suo giorno di gloria vincendo la Cuneo-Pinerolo (foto di apertura), dodicesima tappa del Giro d’Italia – è il prototipo del fidato gregario (quest’anno ha disputato 90 gare, primo in questa speciale graduatoria) e le tante stagioni le ha sempre vissute al servizio dei tanti capitani e compagni che ha visto passare.
Così, mentre la nostra chiacchierata è già ben avviata e ci prepariamo ad approfondire la sua avventura nel team tedesco, Cesare ci confessa la sua fede calcistica interista dandoci lo spunto per un piccolo giochino a fine intervista.
«Non seguo più l’Inter – spiega – come prima. Quando posso ora, in Polonia vado a vedere il Piast Gliwice, la squadra della mia città. Pensate che il 19 maggio di due anni fa quando vincevo la tappa di Pinerolo, loro conquistavano il loro primo ed unico scudetto».
Come ti senti ad essere considerato un cosiddetto uomo franchigia?
Fa un certo effetto perché sono qui dall’anno della fondazione. Contando dall’inizio, l’anno prossimo saremo rimasti solo io ed il team manager (Ralph Denk, ndr). Della vecchia guardia non ci saranno più Schillinger che si ritira, Schwarzmann che va via (andrà alla Lotto Soudal, ndr) così come il diesse Enrico Poitschke. Fu lui a volermi e tenermi in squadra. Nel ciclismo moderno è anomalo restare sempre nella stessa squadra. Mi sento un po’ lo Javier Zanetti della Bora-Hansgrohe.
Cosa ti ricordi di quel 2010?
A settembre dell’anno prima avevo avuto i primi incontri con la dirigenza, che aveva già l’obiettivo di scalare le categorie. C’è sempre stato dietro un progetto che aveva lo slogan “ProTour (l’attuale World Tour, ndr) in tre anni”. Inizialmente hanno dovuto ridimensionare il budget, ma hanno mantenuto la stessa ambizione. Già nel 2011, in cui siamo diventati professional, avevamo un calendario importante e partecipato alla Roubaix. Da lì in avanti abbiamo sempre disputato gare WorldTour.
Sei stagioni tra le Professional poi nel 2017 arrivano Sagan e anche il WorldTour…
Sì, si era sfaldata la Tinkoff e c’erano liberi sia la licenza che una serie di corridori tra cui Peter. La dirigenza ha colto subito l’occasione grazie all’ingresso di Hansgrohe. Ma bisogna ricordare che nel 2012 era già entrato Bora. Prima come marchio piccolo su una manica e poi come nome principale. Siamo cresciuti con i nostri sponsor e loro sono cresciuti come aziende anche per merito nostro.
Eri tu il primo a dare il benvenuto a tutti i nuovi acquisti?
No, non facevo nessun battesimo (ride, ndr). A quello ci pensava la dirigenza. Posso dirvi però che ho visto passare tantissima gente tra corridori e personale dello staff. Penso però ad alcuni corridori che ho visto progredire da giovani, come ad esempio Buchmann.
Il 2022 sarà la tua tredicesima stagione con il gruppo Bora. Hai mai avuto richieste da altre squadre o voglia di cambiare aria?
Siccome non ho il procuratore, non avevo la sfacciataggine di propormi altrove. La mia conferma qui non è mai stata scontata, me la sono sempre guadagnata in gara. Come nell’agosto 2015 quando la società mi aveva comunicato che voleva puntare su atleti più giovani e tedeschi. Poi feci un bel finale di stagione e rinnovai.
Cos’ha di speciale questa società?
Serietà ed internazionalità, anche se è molto legata al territorio in cui è nata. Ha un livello manageriale alto. Se sono rimasto qui così tanto forse ha inciso il fatto di avere una mentalità molto vicina a quella della dirigenza ed un grande spirito di adattamento.
Torniamo alla tua Inter. Quali tuoi compagni di squadra di quest’anno ti ricordano dei giocatori nerazzurri?
Eh, mica facile, ma ci provo (ride, ndr). Ackermann è un finalizzatore come Milito. Schwarzmann ha la solidità di Matthaeus. Leopold Konig invece mi ricorda Adriano, talento di grandi speranze, mai esploso del tutto. Aleotti è estroso come Djorkaeff, mentre Fabbro è scattante e piccolino come lo era Ganz. Oss ha la fisicità e la sicurezza di Materazzi. Infine Sagan la stella assoluta come Ronaldo. Non ce ne sono tanti come loro.
E Benedetti vuole restare nella Bora anche a fine carriera?
Non saprei. A volte penso che non saprei stare senza ciclismo, anche come dirigente. Altre invece che vorrei avere un allevamento di capre e galline tra Trentino e Polonia. Bisogna saper essere utili alla società. Al momento l’idea è quella di continuare a correre altri due anni, possibilmente sempre qui.