Si torna rapidamente a parlare del mondiale, questa volta con Leonardo Piepoli. Il pretesto è rallegrarsi con lui per la vittoria del “suo” Enric Mas al Giro dell’Emilia, con la conferma che il corridore spagnolo ha grandi mezzi fisici e solo da poco sta iniziando a crederci. E per una rapida associazione di idee, siamo stati noi a portare il discorso su Bettiol. Il toscano è arrivato in Australia con una condizione eccellente, avendo dimostrato di essere il solo a reggere le accelerazioni di Van Aert. E siccome Piepoli è il suo allenatore e a volte gli fa anche da motivatore, abbiamo cercato di capire come l’abbia visto nella corsa australiana.
La testa del velocista
Partiamo da un’osservazione fatta da Bennati nei giorni prima del mondiale, sulle rare occasioni che i nostri corridori hanno di fare la corsa e il fatto che siano spesso a disposizione di altri leader. Il cittì azzurro aveva portato l’esempio della tappa di Mende al Tour de France, in cui Bettiol stesso fu battuto da Matthews, dopo che nella fuga aveva tirato e anche tanto per Uran.
«Ma lui ha tirato – dice Piepoli – perché gli è stato chiesto alla radio come stesse e ha detto di non stare bene. E in parte è lo stesso discorso del mondiale, nel senso che se parti per vincere, parti per vincere come i velocisti. Il velocista fa 30 volate l’anno e anche il peggiore ha un compagno di squadra che gli dà una mano. Quindi ha 30 occasioni in un anno: molti non ne vincono neanche una, eppure ogni volta sono lì a pretendere “il sacrificio” del compagno di squadra e poi perdono o vincono. Alberto invece non ragiona così. Per lui deve essere tutto perfetto, quindi senza mal di gambe e nessun altro problema».
Gestire il campione
Nei suoi momenti lucidi e autoironici, Bettiol è il primo a scherzare sulle sue doti e sul fatto che comunque vinca poche corse. Però probabilmente in alcuni casi il pallino della corsa dovrebbe averlo in mano la squadra.
«Conoscendo quello che hai in mano – conferma Piepoli – devi agire di conseguenza, anche se queste cose è facile dirle a posteriori. Quindi se io oggi ho Bettiol in mano, gli direi: «Stai male? Non mi interessa, tu tiri a vincere!». Oppure, opzione B, faccio finta e gli dico: «Okay, non preoccuparti, cerca di stare tranquillo, poi vediamo se ti riprendi in finale». La metterei giù così, cercherei il modo di non eliminarlo, perché so già che lui non mi dirà mai che sta bene. O meglio, se sta bene dice di volare. Ma nella sua testa, non concepisce che in una corsa di sei ore, si possa avere un momento di difficoltà o si senta di essere meno brillanti. Però sai com’è fatto e sai che devi “gestire” il cavallo che hai. Quindi, fra molte virgolette, devi cercare di manipolarlo».
Mancavano le radio
Il guaio è che in una corsa come il mondiale, il margine di intervento è ridotto all’osso e alle parole che al corridore possono dire gli uomini della nazionale appostati ai box e lungo il percorso. Del tema delle radio da vietare in due occasioni all’anno si è già detto.
«Con le radio – annuisce Piepoli – le corse cambiano, quello a priori. Poi in questo caso qua, non so se a favore o a sfavore, però le cose cambiano. E’ evidente. Se parte Remco e tu lo sai che Remco parte fra i 70 e gli 80 chilometri dall’arrivo, se anche nessuno gli risponde, dici alla squadra di chiudere. Qualcosa fai. Impedisci che si apra subito quella distanza e la chiudi subito. La chiudi un attimo».
L’uomo dei miracoli
Bettiol è tornato in Europa con il fastidio di essersi sentito additato come il colpevole, in una corsa in cui tuttavia l’Italia ha corso bene e nessuno ha sentito la necessità di rintracciare il responsabile di una mancata vittoria. Soprattutto in una spedizione tacciata dai più di non avere la giusta consistenza e invece super attrezzata e battagliera. Ci sarebbe da aspettarsi la vendetta al Lombardia, sarebbe davvero un grande segnale.
«Il fatto però – dice Piepoli – è che adesso non sta tanto bene. E’ tornato in Italia con una forte tosse e questa è la cosa peggiore, perché il Lombardia voleva farlo bene. Era anche mentalmente predisposto. Però sinceramente, per quanto lo stia spronando a tenere duro, non ha la condizione del mondiale. Però lui è l’uomo dei miracoli, quindi magari alla fine un bel Lombardia lo farà pure».