Bernal ha le braccia sottili come quelle di un bambino e del bambino ha anche lo sguardo, che però in certi momenti lampeggia di fuoco e lava. Le gambe brunite dal sole sono un guizzare di muscoli: nulla guardandolo dal di fuori fa pensare all’incidente dello scorso anno. Egan è padrone della situazione. Accetta con disinvoltura di posare per le foto e di rispondere a domande spizzicate qua e là. In corsa, durante questi primi giorni della Vuelta a San Juan, lo si è visto spesso in testa a tirare per Elia Viviani, come dopo il rientro dello scorso anno si mise a disposizione dei compagni. La parola d’ordine è sempre la stessa: ricostruire. Il fisico, la mente e la fiducia. Perché il mondo nel frattempo è andato avanti, altri padroni si sono impossessati del gruppo e alla difficoltà della sfida si è aggiunto l’incidente.
«Penso di essermi ripreso molto bene – dice – e le mie sensazioni sono abbastanza buone. Finalmente sono riuscito ad allenarmi normalmente in questi ultimi mesi, moralmente è importante. Le mie ultime uscite di allenamento sono state soddisfacenti, ma ora bisogna vedere come andrà nelle prossime gare. Ciò che sarà importante è che ora potrò capire quali sono davvero le mie paure sulla bici. Sono stati mesi di sofferenza in cui ho dovuto essere paziente. Questo Vuelta a San Juan mi permetterà di sapere dove mi trovo realmente».
Alla presentazione di due giorni fa hai parlato di recupero psicologico più duro di quello fisico.
Ho passato lunghe ore a pensare, mentre lavoravo nella speranza di tornare almeno a una vita normale. Ero combattuto tra la voglia di bruciare le tappe quando le cose andavano bene e i dubbi quando qualcosa non andava. Molte volte mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena. E’ stato difficile ricominciare tutto da capo, imparare di nuovo a camminare e persino a mangiare. Ma durante quei momenti, ho imparato che la famiglia è una delle cose più importanti.
Hai davvero pensato di fermarti?
Ad un certo punto ho detto ai miei parenti che avrei mollato tutto. Per settimane ho analizzato la situazione per capire se valesse ancora la pena tornare a pedalare con il rischio di cadere nuovamente. A parte le varie foto su internet, non sapevo se sarei stato in grado di tornare in sella a una bici in modo efficace, figuriamoci se sarei stato in grado di tornare a un buon livello. Ho pensato a tutto questo, ma come ho già detto: sono nato per essere un corridore e non riesco a immaginare la mia vita senza il ciclismo. E così sono ripartito.
E alla fine siamo ancora qua…
I consigli dei medici sono stati molto importanti e il supporto della famiglia anche di più. L’unione delle due cose mi ha permesso di rientrare anche più velocemente. Quando sono tornato alle gare in Danimarca, in Germania e in Italia, mi sono reso conto di quanto il gruppo andasse veloce e dei rischi che si corrono.
Poco fa hai parlato nuovamente della paura.
Quando sono tornato a velocità superiori ai 60 orari, la stessa velocità di quando ho avuto l’incidente, ho avuto paura. Anche al Giro di Germania e Danimarca i primi chilometri sono stati strani, ma poi è andata meglio. Credo ormai di essermi lasciato alle spalle quella sensazione.
Osservandoti, si capiva che qualcosa non andasse.
Mi sono rialzato più di una volta, ritirandomi per tre volte come non mi capita mai. Sentivo che poteva esserci un pericolo e temevo che mi potesse succedere qualcos’altro. Mi sono detto che avevo sofferto anche troppo, che avevo vinto Tour e Giro, quindi perché rischiare ancora? Per me il ciclismo è soprattutto un fatto di testa.
Perché hai scelto il Tour per rientrare?
Il Tour de France è sempre stata una corsa molto importante per me e ovviamente voglio tornarci. Amo questa gara e ho solo bei ricordi. Ma la strada è ancora lunga e bisognerà vedere come andranno le cose fino ad allora, restando sereni e senza farsi prendere la mano. Sono nella lunga lista dei miei compagni che progettano di andarci, starà a me dimostrare di essere pronto.