Le Olimpiadi di Tokyo si sono chiuse ormai da qualche settimana con il bilancio, per numero di medaglie, più alto di sempre. In attesa di vedere quel che succederà da domani nel comparto ciclistico alle Paralimpiadi (finora eccezionali per i colori azzurri) ripercorrere quelle due settimane abbondanti di gare è un dovere, anche perché il tempo da qui a Parigi 2024 è poco, molto meno che negli altri quadrienni olimpici per le ragioni che ben conosciamo.
Quando un’Olimpiade ha risultati così alti il rischio è che si badi solamente a quel che è andato bene. Questo è un errore da non commettere. Guardando ai risultati di Tokyo, a fronte di un’atletica spettacolare con 5 ori, ci sono state altre discipline che hanno sofferto. Lo stesso ciclismo ha sì vissuto la straordinaria epopea del quartetto e il ritorno sul podio del portabandiera Viviani, ma ha anche confermato le sue difficoltà su strada, con qualche scelta strategica che non ha convinto.
Se ampliamo la disamina anche alla lunga fase precedente i Giochi, quella delle qualificazioni, il discorso diventa ancora più complesso. Se è vero che a Tokyo la rappresentativa azzurra era la più ampia nella storia, ci sono state assenze pesantissime. La causa? Spesso condotte da parte di alcune federazioni nella campagna di qualificazione per lo meno discutibili.
L’importanza di analizzare gli errori
Il rischio di guardare “solo” il bicchiere mezzo pieno c’è e sarebbe un clamoroso autogol. Da parte del Coni abbiamo subito registrato una tendenza a nascondere quel che non ha funzionato dietro le bellissime 39 medaglie conquistate. Contattando i vertici del massimo organo sportivo, abbiamo trovato un po’ di reticenza. Alla fine il segretario generale Carlo Mornati (nella foto di apertura al fianco del presidente Malagò nella conferenza stampa conclusiva di Tokyo 2020), argento nel 4 Senza di canottaggio a Sydney 2000, ha accettato di affrontare domande sicuramente spinose, vertenti soprattutto sul ruolo del settore della Preparazione Olimpica.
Il bilancio di un’Olimpiade si presta sempre a diverse interpretazioni. Questa è stata l’Olimpiade del primato di presenze e del primato di medaglie. Intanto che giudizio si può trarre da questa edizione così particolare?
Il mio giudizio non può essere che positivo. Abbiamo fatto qualcosa di più unico che raro, dato che il precedente record di medaglie risaliva a Roma 1960 e Los Angeles 1932. È stato un exploit frutto di un lavoro durato 5 anni e pianificato tra CONI e Federazioni. Le nostre proiezioni iniziali di medaglia erano più ampie. Avevamo calcolato che potessero arrivare 47 podi, ma fare queste previsioni è impossibile perché ci sono tante variabili da considerare.
Il numero dei qualificati avrebbe potuto essere anche molto più alto, ma alcune Federazioni hanno effettuato scelte contrarie all’obiettivo. Per avere un miglior quadro d’insieme, non sarebbe il caso di avere un organismo che sovrintenda i diversi cammini di qualificazione?
I processi di qualificazione sono cambiati molto rispetto al passato. Inoltre, ogni Federazione ha la sua specificità. La Preparazione Olimpica svolge una funzione di supporto e condivide con le Federazioni scelte e programmi, intervenendo laddove vengano riscontrate delle criticità. A Tokyo abbiamo fatto registrare sia il record di atleti partecipanti sia di podi, ma preferisco puntare sulla competitività e sulla qualità anziché sulla quantità.
Quali sono i compiti attuali della Preparazione Olimpica, non solo nella cura della trasferta degli atleti?
La Preparazione Olimpica interviene a vari livelli. Mette a disposizioni strutture e specialisti. Se ci limitiamo a considerare soltanto le medaglie d’oro vinte a Tokyo vediamo che c’è il contributo della Preparazione Olimpica in ogni successo: nell’atletica, ad esempio, abbiamo messo a disposizione di Marcell Jacobs (storico oro nei 100 metri, ndr) e del suo allenatore Paolo Camossi, lo scudo aerodinamico che consente di correre in allenamento riducendo la resistenza.
Un contributo arrivato anche al ciclismo?
Sì, soprattutto con gli azzurri dell’inseguimento su pista. Il nostro ruolo è di sostegno ad atleti e tecnici. Abbiamo l’Istituto di Scienza e quello di Medicina che sono a supporto delle Federazioni e mettiamo a disposizione i nostri tre Centri di Preparazione Olimpica, dov’è nato anche l’oro di Vito Dell’Aquila, nel taekwondo.
Entrando nello specifico del ciclismo su strada, molto si è discusso sulla scelta di effettuare la trasferta a una settimana dalla gara. Anche in questo caso non spetterebbe al Coni dare almeno delle linee guida in base a valutazioni fisiologiche legate alle diverse discipline?
In Giappone, per quanto possibile, abbiamo cercato di replicare il modello adottato in Italia. Penso al ruolo dei Centri di Preparazione Olimpica, che abbiamo riproposto con il campus di Tokorozawa e le altre location che hanno ospitato gli atleti. Poi ogni valutazione è fatta insieme ai settori tecnici delle rispettive Federazioni, perché le esigenze sono differenti. Ma c’è un altro fattore da considerare…
Quale?
L’Olimpiade di Tokyo si è svolta in piena pandemia e ciò ha condizionato scelte che in situazioni “normali” forse non saremmo stati “obbligati” a prendere. È stata una novità assoluta per tutti e ogni Paese ha cercato di fronteggiarla come ha ritenuto più opportuno.
Grandi prospettive, ma il tempo stringe…
Fino a qualche edizione fa, la selezione per i Giochi era, su indicazione delle singole federazioni, decisa dal Coni. In passato ci furono polemiche per alcune scelte federali non accettate dal Coni. È ancora così o le singole Federazioni hanno ora completa libertà di scelta?
Le singole Federazioni hanno libertà di scelta, ma in un’ottica di continuo dialogo con il CONI e con la Preparazione Olimpica. Nel 2014 abbiamo rivisitato completamente l’approccio, recuperato l’Istituto di Medicina e l’Istituto di Scienza dello Sport, centralizzandone l’operato. A Rio abbiamo iniziato a calibrare la macchina, ma il vero banco di prova era Tokyo 2020. Il modello operativo adottato è quello del ‘marginal gain’. Non ci vogliamo ascrivere meriti delle Federazioni, ma si è lavorato in sinergia con loro per il perfezionamento dei dettagli.
Questa la posizione ufficiale del Coni. Parigi è alle porte, tanto che in alcune discipline il cammino di qualificazione parte già a settembre. In Francia c’è concretamente la possibilità di ottenere risultati mai neanche sognati, ma a condizione di fare le mosse giuste, sin da ora, in termini di scelte di uomini e di strategie. Il tempo dirà se sarà stato fatto…