Savini nel 2015. Pogacar nel 2016. Innocenti nel 2017. Evenepoel nel 2018. Piccolo nel 2019. Questo è l’albo d’oro del Giro della Lunigiana nei cinque anni prima del Covid. Alla ripresa, l’hanno vinto prima Lenny Martinez e poi Antonio Morgado. Noi però vogliamo però soffermarci su quei cinque anni per tornare al tema che tanti definiscono noioso e abusato, vale a dire l’attività juniores in Italia e il perché di colpo qui da noi abbiano smesso di venire al mondo corridori da grandi Giri. Anzi no, come mai siano venuti al mondo e poi siano finiti su un binario morto.
Di Pogacar ed Evenepoel abbiamo detto ogni genere di mirabilia. Uno arrivato al ciclismo quasi per gioco in Slovenia, con 3 vittorie in due anni da junior e 4 da U23 fra cui il Tour de l’Avenir. L’altro salito in bici dopo la carriera nelle giovanili del pallone, con 24 vittorie in due anni da junior e poi subito il salto tra i pro’.
Guardando da noi, Savini ha fatto due anni da U23 fra Petroli Firenze e Maltinti e poi nel professionismo la sua è stata più che altro una discesa. Di Innocenti abbiamo raccontato ieri: è stato fermato da una squalifica di 4 anni al primo anno da U23 ed è appena rientrato alle corse. Piccolo era partito bene con la Colpack, poi ha avuto una serie di contrattempi e solo quest’anno è tornato a brillare di luce propria.


L’accusa di Bragato
E’ solo per caso? Oppure è tempo che la Federazione Ciclistica, cui noi offriamo come contributo il lavoro degli ultimi mesi, inizi a collegare i puntini per capire quale forma abbia l’attività giovanile in Italia e porvi rimedio?
«C’è troppa enfasi sulla categoria juniores – ha detto Diego Bragato – enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.
«Da noi, i nostri ragazzi trovano la condizione con le gare, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui non puoi più sfruttare le gare per allenarti e non sono capaci di adattarsi, né fisicamente né mentalmente».


L’accusa di Rui
Le società degli under 23 hanno responsabilità diretta, ma forse non la avrebbero se si permettesse loro di lavorare nel tempo necessario per prendere un ragazzino e farne un corridore.
«Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare – ha detto di recente Luciano Rui – perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio. Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera».


Il tempo da riprendere
Difficile dire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Capire se il meccanismo messo in moto dai team e dai procuratori per prendere i ragazzi sempre più giovani sia la conseguenza di un’attività giovanile esasperata. Oppure se questa, per contro, lo sia diventata avendo i corridori a disposizione per un tempo troppo breve. Di certo qualcosa non funziona.
Per questo il ritorno di Andrea Innocenti in gruppo, come la rinascita di Piccolo, vanno accolti come un presagio felice. A Innocenti si chiede ancora di fare nomi: in realtà il giovane toscano ha già pagato in abbondanza e magari quei nomi – se esistono – altri avrebbero dovuto trovarli e metterli in galera. Non si può colpire oltre un ragazzo di 19 anni e pretendere che risolva da sé problemi che per anni hanno affossato il ciclismo e che ora sembrano sempre più lontani.
Sia Innocenti sia Piccolo avranno le loro difficoltà da superare, ma si spera che i loro motori così potenti ed esuberanti abbiano mantenuto le qualità che gli permisero di vincere lo stesso Lunigiana di Pogacar ed Evenepoel. Innocenti ha davanti a sé un inverno molto importante, così come Piccolo. Entrambi sono usciti a testa alta da un tunnel piuttosto buio: speriamo che questo li abbia resi più forti. Hanno (e noi con loro) tanto tempo perso da riprenderci.