La Coppa del mondo di Vermiglio è il modo italiano per restare agganciati al treno dei cross mondiale, alle spalle del quale si va delineando la strategia potente di Flanders Classics. Restarne fuori non sarebbe utile né lungimirante. La prova di Coppa del mondo corsa ieri a Dublino con vittoria di Van Aert è la testimonianza di questo nuovo corso.
«Abbiamo organizzato nello Sport Ireland Campus – ha spiegato Tomas Van der Spiegel che di Flanders Classics è il CEO – dove si erano già svolti dei campionati europei. Era una superficie erbosa, che si è trasformata in fango. Ci sarebbero stati certamente posti più belli in Irlanda, ma la gara è stata un grande evento. Siamo molto contenti della vendita dei biglietti e i media irlandesi hanno dato grandissimo risalto alla presenza di Van Aert e Pidcock».
Città e turismo
Il cross nelle città e nelle località turistiche è una ricetta che funziona, come quando la Coppa del mondo di mountain bike iniziò a fare tappa nelle capitali europee, da Roma a Madrid.
«Abbiamo avuto un grande riscontro – prosegue Van der Spiegel – perché per ammissione della autorità irlandesi, la rete stradale di lì è relativamente pericolosa e molti giovani ciclisti praticano il ciclocross. Ci hanno detto che in Irlanda ci sono eventi di cross con 600 partecipanti ogni fine settimana. Non uno sport di campioni, come in Belgio, ma un’importante occasione di partecipazione. I governi vedono una prova di Coppa del mondo come un’organizzazione relativamente economica. Un buon rapporto qualità/prezzo in un periodo dell’anno in cui non c’è grande offerta di eventi. Porti al via i migliori del mondo, ieri mancava soltanto Van der Poel, impegnato in ritiro con la sua squadra. La partecipazione è una delle nostre attenzioni. Abbiamo investito nel ciclocross, ci crediamo molto, ma dobbiamo vedere come possiamo migliorare la partecipazione».
Ingaggi e squadre
La chiave di volta sta negli ingaggi, un discorso che Van der Spiegel ha sempre dimostrato di sapere e voler cavalcare: primo organizzatore ad aver accettato di ragionare sulla spartizione dei diritti televisivi con i team. La Coppa del mondo non paga e questo è l’anello debole secondo il manager della società belga, che è coinvolta direttamente nella sua organizzazione.
«Abbiamo appena sospeso la discussione iniziale sui soldi – spiega – ma lasciatemi dire che in qualsiasi sport i soldi vanno direttamente o indirettamente agli atleti. Solo nel ciclocross questo non avviene in modo ideale. Esiste una microeconomia che al momento non viene utilizzata per migliorare lo sport. Il modello finanziario è troppo frammentato, ma anche i team devono fare la loro parte. Per ora il ciclocross è ancora molto individuale. Ognuno si prende cura di sé, nel proprio camper, con l’aiuto di suo fratello, suo padre e un meccanico che per caso conosce. Ma già basta vedere come cambiano le cose quando si muovono squadre come Jumbo Visma, oppure Ineos e Pauwels-Sauzen».
Il cross e i giovani
Occorre fare in fretta e gestire il movimento con lungimiranza: è troppo elevato il rischio che il ciclismo finisca nelle retrovie di una società e di uno sport che stanno cambiando linguaggio e abitudini. E qui arriva l’affermazione più coraggiosa di Van der Spiegel.
«Il ciclocross – annota – è diventato uno sport diverso. Una volta c’erano gli specialisti di ciascuna disciplina, ora è tutto insieme. E’ cambiato il modo in cui le persone vivono lo sport. Con rispetto per tutti i cross delle Fiandre, non è qui che risiede il futuro di questo sport. La gioventù non sta davvero più con le ossa nel fango fiammingo ogni fine settimana. Ora c’è Netflix e le persone vivono con i telefoni in mano. La sfida è trasformare il ciclocross in un prodotto che piacerà ancora nel 2030 all’interno di quella fascia di età, senza perdere di vista la tradizione. Le persone accettano il cambiamento, ma ci vuole tempo, come quando abbiamo tolto il Muur dal Fiandre. I corridori vedono che Flanders Classic sta investendo. All’arrivo ora abbiamo un truck riscaldato, in cui i possono fare le loro interviste. Costa denaro. Organizziamo noi 6 delle 14 prove di Coppa del mondo. E’ una scelta consapevole, non un segno di debolezza. Il solo modo per alzare ancora l’asticella».
Fare sistema
L’Italia avrebbe bisogno di una cabina di regia altrettanto lungimirante. La frammentazione del calendario, gli incroci poco condivisibili, i diversi circuiti… Tutto ciò che a vario titolo non riesce a comporre lo stesso mosaico fa sì che il cross rimanga nella nicchia degli appassionati, che ne sono l’anima ma forse non bastano per esserne il futuro. E se un colosso come l’organizzatore belga ha il coraggio di dire che il futuro del cross non passa per le gare fiamminghe, immaginare una cabina di regia italiana che lo porti nelle città del Nord come quelle del Sud sarebbe quantomeno una suggestione da cavalcare. Il futuro è nella condivisione. Chi pensa di poter andare avanti da solo non ha capito che il mondo è cambiato. E che per avere, a volte è necessario anche dare.