Scorri la classifica della Junioren Rundfarth, una delle principali corse a tappe del calendario juniores, con al via alcune delle principali società insieme a nazionali vere e proprie, e ti imbatti nel Team Tiepolo di Udine e ti chiedi come una squadra locale, normalmente impegnata in un calendario regionale salvo qualche sortita nelle principali prove italiane, sia presente in un consesso così importante.
Poi, parlando con il suo team manager Marco Floreani, si scopre che dietro quella presenza, quel semplice nome che rappresenta un dato statistico in un ordine di arrivo, c’è una storia, tipica del lavoro, della passione, anche delle difficoltà che deve affrontare una formazione giovanile nel nostro sofferente ciclismo.
«Intanto ci terrei a sottolineare – sorride – che squadra tanto piccola non siamo. La società sportiva in quanto tale esiste addirittura dal 1918, da 25 anni abbiamo poi la sezione ciclistica. Abbiamo svolto attività dagli allievi agli under 23, da noi sono passati anche i fratelli Milan, ora siamo concentrati sugli juniores ma abbiamo società satellite come Libertas Ceresetto Pratic di Udine, Pedale Manzanese e Ciclistica Bujese con cui lavoriamo in sinergia».
Come mai un nome così originale, legato al grande pittore?
La società storicamente si è sempre chiamata Team Danieli, dal nome della grande azienda metalmeccanica che ci ha sempre appoggiato, ma dallo scorso anno abbiamo deciso di cambiare l’intestazione per omaggiare il pittore veneto che a Udine ha dipinto e lasciato alcuni suoi capolavori. E’ anche un messaggio culturale e turistico quello che vogliamo lasciare.
Qual è lo spirito alla base del vostro team?
A noi i successi non interessano particolarmente, la nostra vittoria è quando un ciclista passato da noi si afferma. Noi vogliamo forgiare nuovi talenti per renderli pronti alla grande avventura del professionismo. Sono passati da noi Frigo, Venchiarutti, Bortoluzzi che da noi era ancora acerbo ma poi si è rivelato un corridore di talento.
Com’è nata la trasferta in Austria?
Il nostro intento è fornire ai ragazzi le migliori esperienze possibili e queste le puoi fare soprattutto all’estero. Una gara come quella austriaca vale più di tante trasferte italiane, perché all’estero si corre sempre all’attacco, hai la vera percezione di quel che sarà il ciclismo a certi livelli. Per entrare nello specifico, nel corso degli anni ho conosciuto molti giudici internazionali e questo ci permette di avere anche inviti importanti, come per l’appunto quello austriaco.
Che gara era?
Di livello molto elevato, questo è sicuro. Abbiamo trovato squadre nazionali e team molto forti, ce n’era uno che veniva dallo Stato di New York, abbiamo visto quanto i ragazzi americani vadano forte. Nella nazionale tedesca c’era anche Hannes Degelkolb, il nipote del grande velocista. A vincere è stato Frank Aron Ragilo, estone del Cannibal Team, la formazione più forte del lotto, del quale si dice un gran bene.
Com’è andata la squadra?
Io credo che ci siamo fatti ben valere. Il risultato migliore lo ha ottenuto Alessio Menghini 7° nella seconda tappa, vinta sempre da Ragilo, dove siamo stati protagonisti per tutta la tappa, chiudendo su due corridori in fuga. Alessio nella volata è partito da dietro, era difficile trovare varchi, forse se avesse avuto una posizione migliore poteva anche giocarsela meglio. Per comprendere il livello basti pensare che, pur essendo un percorso molto nervoso, nella prima ora si è viaggiato a 47 di media… Alla fine il migliore in classifica è stato Tommaso Tabotta, 47°, ma come team abbiamo chiuso all’11° posto.
Confrontandovi con i team esteri, verificando sul campo il loro livello e mettendo a paragone anche i sistemi di preparazione, che cosa pensate della liberalizzazione dei rapporti per la categoria italiana?
Ne abbiamo parlato molto in società. In allenamento già si usano i rapporti più duri per fare allenamenti di forza, ma liberalizzare ha due risultati: da una parte permette ai migliori di essere più competitivi, ma dall’altro svantaggia chi non è ancora formato fisicamente. Non dimentichiamo che abbiamo a che fare con un’età difficile per sua stessa natura. Io credo che si dovrebbe trovare un sistema a due velocità: i migliori liberi di gareggiare a livello nazionale e internazionale, una seconda fascia concentrata sulle gare regionali con un’impostazione vecchio stampo: quando il corridore sarà abbastanza maturo, fisicamente prima ancora che mentalmente, farà il piccolo scatto all’interno della categoria.
A livello politico (la liberalizzazione dei rapporti è stata introdotta dall’UCI) ci si rende conto che fra le categorie giovanili ci sono differenti tipologie di corridore?
Non sempre. Se guardi solo il vertice e insegui la maturazione precoce, il risultato sarà che molti ragazzi che si vedono sempre battuti, ai quali non si dà il tempo di crescere smetteranno. Il problema è complesso, riguarda anche la struttura stessa della nostra attività a livello di calendario.
In che senso?
Noi abbiamo una, forse due gare a tappe ora che il Giro del Friuli è stato cancellato e quello di Basilicata è molto in dubbio. All’estero l’attività è strutturata principalmente sulle gare in più giorni perché sono quelle che fanno maturare. Le “gare di paese” potranno anche dare spettacolo ma non servono per far crescere i ragazzi. Per questo vado a cercare sfide estere, se voglio dare ai ragazzi una mano è l’unica strada. E un’altra cosa per chiudere: smettiamola con l’assurda regola delle due sole gare a tappe in stagione per uno junior italiano. Tenerli nella bambagia non conviene a nessuno…