FENIS – E per fortuna che la tappa era troppo lunga per essere degli under 23. Si sarebbero gestiti. Il Giro della Valle d’Aosta ha regalato ancora un super spettacolo. I ragazzi si sono attaccati come non ci fosse un domani sin dall’inizio. Un frazione così si può paragonare a quella dell’Aquila al Giro d’Italia del 2010 o per fare un paragone più recente a quella del Tourmalet di qualche giorno fa al Tour de France. E il Van Aert della situazione è stato Darren Rafferty, con la differenza che da stasera è lui la nuova maglia gialla della corsa.
Eppure in tutto questo caos – è anche difficile trovare un punto da dove iniziare a scrivere – il re di giornata non è lui, ma Sergio Meris (qui potete vedere il suo arrivo). Grazie a lui la Colpack-Ballan torna a lasciare il segno al Valle d’Aosta dopo l’incredibile vittoria di Alessandro Verre due anni fa.
La tempesta perfetta
Tappone da 172,5 chilometri e ben oltre 4.000 metri di dislivello. C’è chi teme per il tempo massimo. In questo contesto ne esce una corsa incredibile. Degna di un dibattito da processo alla tappa.
Attacca la Hagens Berman Axeon con Antonio Morgado. Lo seguono alcuni atleti tra cui due della Soudal-Quick Step. C’è confusione e dai contrattaccanti sul primo dei cinque Gpm esce Darren Rafferty, terzo al mattino. Una freccia. Piomba sul drappello di testa e la fuga aumenta subito il vantaggio.
E qui scatta il “processo alla tappa”: perché le altre squadre lasciano fare se dentro c’è un pesce così grosso? E’ quello che ci siamo chiesti, quando ancora non vedevamo le immagini e non avevamo parlato con i protagonisti. L’idea era quella d’indagare tra i direttori sportivi una volta all’arrivo.
In realtà non hanno lasciato fare. Davide De Cassan ci confida che prima la Groupama-Fdj e poi la Circus-ReUs di Alexy Faure Prost hanno spinto e anche forte. Solo che davanti Morgado, Rafferty e i Soudal spingevano forte. L’obiettivo di questi ultimi, tra l’altro centrato, era quello della maglia di miglior scalatore con Jonathan Vervenne. Tutto questo ha creato la tempesta perfetta. Una tempesta che Rafferty e Meris sono riusciti a sfruttare al meglio.
Rafferty come Van Aert
Rafferty, dicevamo, sembrava Van Aert: ha tirato all’inverosimile. Dopo aver perso Morgado, stremato e super anche lui, è stato in testa ininterrottamente per 40 dei 45 chilometri rimasti.
All’arrivo l’irlandese guarda nel vuoto e racconta: «La nostra azione non doveva essere esattamente così. Sì, dovevamo attaccare con un uomo. Ma poi ho visto che Morgado non era troppo distante. Io mi sentivo bene e mi sono buttato dentro. Abbiamo subito preso un bel vantaggio e a quel punto abbiamo insistito.
«Morgado è stato eccezionale. Ha fatto un lavoro super: ha tirato per 50-60 chilometri. Io non mi aspettavo di prendere tutto quel vantaggio, ma siamo andati davvero full gas. Mi spiace per la tappa, ma io pensavo alla generale e per questo ho tirato sempre. E’ stata una tappa folle e una delle giornate più dure della mia vita».
La frazione non l’ha vinta, ma mentre aspetta di salire sul palco per indossare la maglia gialla, Rafferty già pensa al giorno dopo. «So che dovremmo difenderci. Oggi l’obiettivo era la maglia e l’ho centrato. Conosco le salite di domani, le abbiamo fatte l’anno scorso. Mi piacciono, sarà ancora dura, ma io sto bene».
Fa impressione la sua espressione. Rafferty è letteralmente distrutto. Sembra deluso. Non riesce a ridere. Giusto sul palco abbozza un sorriso.
Grande Meris
Chi invece ride, e giustamente, è Sergio Meris. Per lui un successo importantissimo, di peso, di prestigio, di gambe e di testa. Sergio sale sul treno giusto e cavalca quella tempesta di cui dicevamo. S’incolla alla ruota di Rafferty e non la molla. Se non quando l’ammiraglia della Dsm non s’incolla nel vero senso della parola alla sua. E’ l’imbocco della salita finale e per i tifosi italiani scorre un brivido lungo la schiena.
«In seguito a quell’impatto ho avuto un problema con la catena – racconta Meris dopo l’arrivo – ho perso una trentina di secondi, ma sono riuscito a rientrare senza spendere poi tantissimo».
E dire che ieri Meris non era andato affatto bene. Ma forse questo successo è figlio proprio della frazione di 24 ore fa.
«Ieri proprio è stata una giornata no. Le gambe non andavano e così alla fine ho deciso di risparmiare qualcosa. Sì, forse è nata anche lì questa vittoria.
«Oggi le cose sono andate nettamente meglio. Io – un po’ come Rafferty – avevo Kajamini davanti e più che altro ho cercato di stare attento davanti al gruppo. Quando si sono mossi Rafferty e gli altri li ho seguiti. All’inizio devo dire che ancora non sentivo delle buone gambe poi le cose sono andate sempre meglio».
Lo scatto che senti
Meris racconta il momento dello scatto decisivo. Il suo diesse Gianluca Valoti, commosso all’arrivo a Clavalité – un vero paradiso naturalistico – gli aveva detto di non muoversi prima dei quattro chilometri dall’arrivo.
«Ma io vedevo che stavo sempre meglio – riprende Meris – notavo che Brenner e Rafferty non pedalavano più benissimo e i watt erano un po’ calati. Così ho deciso di andare prima. Mi sentivo veramente bene».
Una cosa che abbiamo notato è che Meris rispetto agli altri due aveva sempre mangiato e bevuto. Mentre l’irlandese e il tedesco erano lì a menare a testa bassa. Piccolezze, che piccolezze non sono, fondamentali in una tappa tanto dura e lunga.
Resta una frazione, la classica di Cervinia con Saint Pantaleon e appunto Cervinia nel finale. Tutto è aperto, visto che i ribaltoni non mancano mai in questa gara, ma con un Rafferty così c’è poco da fare. Bisogna vedere se non pagherà dazio.
La classifica vede l’irlandese in testa con 2’44” sul francese Alexy Faure Prost e 3’19” sul messicano Isaac Del Toro, oggi bravissimo a recuperare oltre 4′ nelle due salite finali sulla testa della corsa. Mentre l’ex maglia gialla, Golliker, è giunta ad oltre 12′ e serenamente ha salutato la leadership.