Guai a chiamare velocista Michele Gazzoli, il giovane bresciano potrebbe arrabbiarsi! Nonostante sia una ruota molto veloce e abbia vinto volate di gruppo, lui si sente un corridore diverso. Gli piace andare in fuga (in apertura il suo assolo a Montecatini) e adora la pista.
Ventuno anni, ma già un “lungo” passato. Due campionati europei da juniores, uno su strada e uno su pista, un bronzo iridato, due anni in Spagna alla Kometa, un tumultuoso passaggio a vuoto in quella che doveva essere (e poi non è stata) la giovanile della Deceuninck-Quick Step e finalmente la Colpack-Ballan, dove sembra aver trovato lidi più tranquilli.
Insomma Michele, gli ultimi due anni non sono stati proprio facili…
No. Ho avuto un bel po’ di sfortune che mi hanno portato sempre a rincorrere la condizione. L’anno scorso ero partito bene, cogliendo un piazzamento alla Valenciana, sesto (tra l’altro all’ultima tappa, ndr), e in altre corse. Poi mi sono fratturato una clavicola e al rientro ho corso poco. La squadra aveva terminato già a luglio la sua stagione. Mi ha aiutato moltissimo la nazionale. Ho corso in azzurro. Poi nel 2020 ho iniziato subito con un secondo posto, ma mi era caduta la catena a 150 metri dall’arrivo. C’è stato poi il lockdown e quando abbiamo ripreso piano piano sono andato sempre più forte. Per entrare in forma a me serve correre, correre, correre… E infatti dopo il Giro U23 volavo letteralmente. Ho colto diversi piazzamenti e due vittorie. In una sono andato via da solo su uno strappo. Mi dicono che sono un velocista perché ho vinto l’europeo junior che era piatto, ma a me piacciono questi colpi. Nelle categorie giovanili qualche corsa “duretta” l’ho vinta.
Che rapporto hai con la salita?
Non mi dispiace. Certo non sono da Mortirolo però le salite di 2-3 chilometri fino al 6-7 per cento mi piacciono, insomma quelle da fare di “padella”!
Poi sul finire del 2019 c’è stata la possibilità del Team Monti legato alla Deceuninck, ipotesi mai concretizzata. Te la sei vista brutta visto il periodo dell’anno in cui sei rimasto “a piedi”…
Sì, però per fortuna la Colpack mi ha sempre voluto. Sono andato in quel team solo perché dietro ci doveva essere la Deceuninck, altrimenti avrei scelto proprio la Colpack. E’ davvero un top club. Lo si diceva e ora che ci sto ne ho le prove. Una mentalità molto europea. Ha fatto passare molti corridori. E che professionisti: un conto è far passare i ragazzi e un conto è formare i corridori.
E cosa significa per te formare il corridore?
Penso che il corridore lo fai dalla mattina alla sera. Qui alla Colpack t’insegnano cos’è il sacrificio e se non sei disposto a farli non vai lontano. Sai che dovrai accantonare feste, amici… e devi essere consapevole di quel che fai. Perché può essere il tuo futuro. E’ hai un tempo breve per dimostrarlo e guadagnarti una carriera che se va bene dura 15 anni.
Hai corso in Spagna e hai parlato di mentalità: che differenza c’è tra quella italiana e quella spagnola?
Alla fine in Spagna non ho corso tantissimo. Lì abbiamo fatto tante gare con i professionisti e poche con gli U23, quindi conosco più il calendario europeo. In campo internazionale noti attitudini diverse. All’estero ci si arrangia di più, in Italia siamo più coccolati. E anche da noi ci sono squadre solide. Cambia il modo di mangiare, il pensare il ciclismo. Se piove in Italia si fanno i rulli, all’estero si esce.
Cosa intendi quando dici “arrangiare”?
Nel senso che quando le cose vanno male te la devi cavare da solo. Mi verrebbe da dire che sono più “grezzi”, ma credo che in quella fase della carriera sia giusto. Serve a far crescere il corridore. Il pro’ lo devi fare quando sei pro’, nel senso che prima di pensare alla ruota super figa, o all’ultimo dettaglio devi dimostrare di avere le gambe e il motore. Da professionista poi affini tutto.
Sei anche un pistard…
Ah la pista: il mio punto debole. Il mio cuore è lì. Amo proprio quella metodologia di lavoro, la preparazione, la mentalità… è bellissimo. E poi aiuta parecchio anche per la strada. Mi piacerebbe continuare a farla ad alti livelli in questo periodo. L’Europeo e l’azzurro sono sempre stati nei miei pensieri.
Ma cosa è successo?
Che con il team abbiamo programmato di finire la stagione su strada, proprio perché ci metto un po’ ad entrare in forma e così abbiamo fatto. E bene. Era giusto raccogliere i frutti del lavoro fatto. Però non smetterò mai di ringraziare Marco Villa che mi ha portato in nazionale e mi ha fatto sentire parte degli azzurri a 360 gradi.
E adesso?
Ho staccato tre settimane dopo il podio conquistato nella cronosquadre tricolore. Ho fatto qualche camminata e da qualche giorno sto facendo base, tanti chilometri e palestra tre volte a settimana.
Insomma, Valoti, Bevilacqua e patron Colleoni saranno contenti. Gazzoli sembra essere l’ennesimo cavallo di razza della loro scuderia. «Mi ricorda un Consonni – dice Valoti – anche se forse ha perso un qualcosa sullo spunto, Michele è migliorato molto in salita». E visto come sono i velocisti (e i percorsi) oggi, forse è un bene per Gazzoli.