Nel corso della stagione era già comparso in primo piano Filippo D’Aiuto, ancor prima della sua vittoria in una delle classiche di riferimento del panorama Under 23 come il GP Capodarco. E’ stato quando il corridore della General Store-Effedibi-F.lli Curia aveva conquistato la piazza d’onore all’Orlen Nations Grand Prix, unico motivo di sorriso in una trasferta che in chiave azzurra aveva lasciato molto amaro in bocca e destato molteplici perplessità.
Il friulano era poi sparito dai radar, ma nella classica marchigiana arrivata alla sua 52esima edizione è tornato a ruggire, in una corsa che d’altronde è nelle sue corde: «Lo scorso anno – dice – ero già stato secondo e sapevo che potevo farla mia. Per me questa vittoria è il momento più alto della carriera, un successo che ci voleva. Anche se la stagione ha avuto qualche buon momento, non bisogna considerare solamente le corse di categoria, io il 7° posto al Giro della Romagna ad esempio, gara con i professionisti, lo reputo un risultato importante perché ha dimostrato che in quel consesso ci posso stare».
Che corsa è stata quella marchigiana?
Averla corsa lo scorso anno mi ha indubbiamente aiutato. La prima parte in pianura è stata gestita senza apprensioni, sono andati in fuga prima il russo Ermakov e poi altri 4, io ho chiuso su di loro a quasi un terzo di gara e poi ho provato l’azione con lo stesso Ermakov, ma altri 8 hanno chiuso su di noi. Man mano si sono aggiunti altri corridori. Nel penultimo giro sulla salita ha allungato lo slovacco Dunar, io ho chiuso su di lui in discesa e sotto l’ultima salita l’ho staccato. Ho preferito far così per non correre rischi inutili sapendo che potevo.
Torniamo un attimo alla trasferta polacca di giugno, dove si era cominciato a parlare di te in questa stagione…
Era la mia prima convocazione in azzurro ed ero molto contento, ma anche agitato. Era una gara dura, difficile, a un livello altissimo. Nelle prime tappe ho lavorato per il team, con Oioli eravamo gli uomini chiamati a chiudere sugli attacchi. Dalla terza tappa ho iniziato a sentire che avevo una gran gamba e che potevo ottenere un bel risultato ed ecco che la frazione successiva mi ha offerto l’occasione. Quando il danese Hansen ha attaccato ho provato a chiudere il buco in discesa senza riuscirci. A guardare la corsa a posteriori mi è rimasto un po’ d’amaro in bocca, una vittoria avrebbe dato alla mia trasferta e alla mia stagione tutta un significato diverso.
La vittoria a Capodarco ha dato una luce nuova alla tua stagione, tu come la giudichi?
Nel complesso finora non è stata male, considerando che nella fase finale delle annate vado sempre meglio. Io penso di aver fatto dei passi avanti rispetto allo scorso anno non solo come risultati, ma anche anzi soprattutto come gestione della corsa. Sicuramente potevo raccogliere di più e ragionandoci sopra anche con i responsabili del team mi sono accorto che ancora spreco troppe energie. Devo crescere ancora con la testa per gestire le varie situazioni e non disperdere forze preziose.
Nel team sei al tuo terzo anno, come ti trovi?
Benissimo anche perché molti compagni li conoscevo anche da prima o avendoci corso insieme o essendoci ritrovati spesso nelle gare. Alla fine l’ambiente è lo stesso, è chiaro che vedendosi spesso si entra in confidenza.
Tecnicamente qual è il tuo identikit?
Io sono il classico passista-scalatore che emerge nelle corse mosse, con continui saliscendi e strappi duri ma brevi, mentre soffro le salite prolungate, gli sforzi lunghi. Mi piacciono le corse dove non c’è un attimo di respiro, a dir la verità quando ho “assaggiato” il ciclismo estero mi sono trovato davvero bene.
Tu accennavi al fatto che nella seconda parte di stagione riesci a rendere di più. Ora su quali obiettivi punti?
Sicuramente il Giro del Friuli e poi le prove pugliesi, lo scorso anno avevo vinto la Coppa Messapica, so che posso fare ancora meglio quest’anno. Vorrei dare seguito alla vittoria di Capodarco anche per smuovere le acque in vista della prossima stagione: per ora c’è qualche pour parler ma nulla di più, vedremo se arriverà un’offerta alla quale non potrò dire di no.
Tornando al prima di Capodarco, venivi da un Giro Next Gen molto difficile, con tutti piazzamenti nelle ultime posizioni e poi non avevi corso più: perché?
Quando sono partito sapevo che la condizione non era al top e speravo di trovarla lungo la strada. La cosa stava anche avvenendo, se si guardano i risultati si ha un’immagine non chiara perché ad esempio nella quarta tappa ho provato il colpo finale a Borgomanero venendo ripreso dal gruppo all’ultimo chilometro. La sera stessa però le cose sono virate al peggio sotto forma di un virus respiratorio. Ho tirato avanti come meglio potevo perché ci tenevo a finirlo mentre vedevo che tanti anche nelle altre squadre avevano contratto il virus e si ritiravano, ma all’ottava tappa non ce l’ho fatta più. E mi è costato, perché ho dovuto rinunciare ai campionati italiani, al GP Città di Brescia rimanendo fermo per due mesi. Anche per questo ho voglia di rifarmi…