«Mi aspettavo che attaccasse – dice Vincenzo – perché avevamo parlato poco prima e gli avevo detto di stare davanti perché in discesa il gruppo si sarebbe spaccato. E Damiano è stato proprio grande e si è andato a prendere una tappa bellissima».
Ultimo giorno
Caldo torrido alla partenza da Senago, il pullman della Trek-Segafredo delimita una piccola oasi di ombra. Chiedere a Nibali di parlare di sé e di un Giro al di sotto delle attese sarebbe indubbiamente interessante, ma forse prematuro. Però quando gli chiediamo di fare due parole sul suo ex gregario, lo Squalo non si fa pregare. Scende dal pullman e viene a sedersi su un frigorifero da campo. Oltre la transenna, sua moglie Rachele tiene al guinzaglio un cagnolino minuscolo, che appena può scappa da tutte le parti.
«La mia storia con Damiano – riprende – inizia da un pezzo, dal Mastromarco. Io ero già passato professionista e vivevo a casa mia, lui stava nel ritiro della squadra a 100 metri di distanza. Ci allenavamo insieme, abbiamo condiviso vari periodi della nostra vita. Poi abbiamo iniziato a frequentarci con le famiglie. Veniamo da storie simili, bene o male siamo legati dallo stesso filo».
Un super gregario
Il ritiro di Mastromarco è una palazzina di due piani, che sotto ha la cucina e sopra le stanze. Accanto, in una rimessa, i meccanici tengono in ordine le bici. Caruso ci approdò nel 2007, quando Vincenzo era già professionista da due anni e fu come se ne avesse raccolto l’eredità. Nella stanza in cui i corridori mangiano, le loro foto si seguono, si sovrappongono, si intrecciano.
«La sua carriera – continua Nibali – lo ha portato a fare la scelta di diventare un super gregario, super davvero. Le cose cambiano con addosso la pressione di dover vincere, ma lui è arrivato qui con una grandissima condizione e so bene come si era preparato, perché eravamo insieme sul Teide. Lassù ci siamo incrociati più di una volta ed è sempre stato un farsi battute, su quanto fossimo tirati o quanto andassimo forte…».
La sua visuale
Le loro strade si erano incrociate alla Liquigas, poi nuovamente nel 2019, per un solo anno, quando Nibali lo volle con sé al Team Bahrain, nel dopo Bmc dalla quale Damiano non sarebbe andato più via.
«Ogni corridore – prosegue Nibali – ha la sua visione delle cose. Vanotti era in un certo modo, Agnoli in un altro. Damiano ha la sua visuale. Si vedeva più come uomo a disposizione di un capitano che nei panni che veste oggi. Non aveva problemi a rimboccarsi le maniche, ma ci ha sempre messo il suo contributo e fui uno dei primi a impuntarsi perché lo prendessimo nella squadra in cui ancora corre».
La Sicilia che ce la fa
Ma questo Giro non è una sorpresa e Vincenzo lo dice chiaramente. «Non saprei cosa consigliargli per il futuro – dice – perché sono scelte personali, se provare a correre da leader o continuare allo stesso modo di sempre. Una cosa però posso dirla: dopo questo Giro, Damiano ha capito di avere un grande potenziale. E non è la prima volta che lo fa vedere. Al Giro del 2019 andò anche fortissimo. Si prese la febbre nella tappa di Terracina. Veniva alle corse coperto di tutto punto, poi quando la febbre passò, nel finale andò fortissimo. Magari pubblicamente non l’ho mai ringraziato abbastanza, ma lo feci in privato. Visse giornate difficili e le superò pensando a me. Guardi la tappa di ieri e ti commuovi, perché è la faccia della Sicilia che ce l’ha fatta. E ogni volta è bellissimo…».
Tanto da fare
Il resto sono saluti, la spiegazione della caduta verso Sega di Ala, il polso che non fa più male e la possibilità fra stasera e domani di fare il vaccino.
«Ma non ditemi che è l’ultimo giorno di scuola – ride – vorrei fare ancora qualcosa quest’anno…».
Poi si alza e si avvia nuovamente verso il pullman, dopo una strizzata d’occhio a Rachele. Ancora poche ore e anche il suo decimo Giro d’Italia finirà in archivio. Tokyo è meno lontana di quanto si pensi, Cassani verrà presto a parlare. Forza Squalo!