«Per me andare in Colombia è stato come fare un tuffo nel passato. C’ero stato nel 1995 per i mondiali di Duitama, mondiali ai quali sono legatissimo. Per Pantani, per i campioni che emersero in quella gara, per il calore incredibile della gente. Ma era tutto diverso. Era la Colombia di Escobar. Ci dissero di stare attenti, che c’erano rischi e tensioni. Invece fu esattamente il contrario. Ci fu un’accoglienza unica. Quel calore non è cambiato». A raccontare tutto questo è Ilario Biondi, fotografo dell’agenzia Sprint Cycling, inviato all’ultimo Tour Colombia.
Da oltre 40 anni, Biondi fotografa il ciclismo in tutto il mondo. Dalle pellicole in bianco a nero alle più moderne camere digitali. Da Moser a Pogacar, dal più piccolo dei gregari al campione affermato… persino juniores e dilettanti sono finiti nel suo obiettivo. Ilario ci racconta quindi il suo Tour Colombia visto e vissuto dalla macchina fotografica.
Che tifo
Sei tappe nel cuore della Nazione andina. Sei tappe che hanno toccato le località simbolo del ciclismo e dei corridori colombiani. Duitama, appunto. Zipaquirà, casa di Bernal. Tunja quella di Quintana… La corsa mancava dal 2020, poi il Covid ci ha messo lo zampino. Ma senza più la gara in Argentina, San Juan, ecco che il Tour Colombia è divenuto il grande appuntamento del ciclismo sudamericano.
«Ho ritrovato un amore sconfinato per il ciclismo – racconta Biondi – specie nella zona di Boyaca. Lì, in tanti, ma veramente in tanti, vanno in bici… Magari alcune non sono super bici perché la situazione economica non è facile per tutti, ma la quantità di ciclisti che ho visto è qualcosa che mi ha colpito. Così come mi ha colpito il tifo: mi sento di dire che è ai livelli del calcio per calore ed intensità. E quanta gente a bordo strada: spesso sembrava di essere ad un tappone del Giro d’Italia o del Tour de France».
L’abbraccio della folla è sempre stato potente verso tutti, ma chiaramente gli idoli di casa erano i più osannati. E per questa gente, che certo non naviga nell’oro, dedicare delle ore al ciclismo, magari incide nella loro economia spicciola più che altrove. Ma si sa, alla passione non si comanda.
«Se dovessi stilare una classifica di popolarità – dice Biondi – il più acclamato mi è sembrato Nairo Quintana, poi Rigoberto Uran ed Egan Bernal. Anche Esteban Chaves aveva il suo bel seguito. Ma il fatto che Nairo fosse così sostenuto, nonostante la sua recente vicenda e non abbia corso nell’ultimo anno, non me lo aspettavo proprio. E’ considerato un Dio».
Caos e colori
Un bel caos dunque. E tanti colori. Sveglia all’alba per dirigersi alla corsa. Start verso le 10 e arrivi per le 13,30-14. Il tutto con un’organizzazione mossa e spinta da un grande entusiasmo.
«Per andare alle tappe – prosegue Biondi – c’era un bel traffico. La sveglia spesso era alle 6,30 e tra il fuso orario e anche la quota, visto che eravamo quasi sempre sul filo dei 2.500-2.600 metri, non era così facile. Non si riposava benissimo a 2.500 metri e qualche mal di testa da montagna non è mancato a noi europei. Un giorno ci siamo ritrovati a 3.100 metri e ammetto che muoversi a quelle quote con l’attrezzatura fotografica sulle spalle si faceva sentire».
Le stesse quote però secondo il fotografo romano incidevano anche sulle foto vere e proprie. Aspetti tecnici che solo un occhio esperto può cogliere a fondo.
«In effetti c’era un’altra luce e questo è fondamentale per i colori. Immagino dipendesse dall’alta quota. L’aria era più pulita e rarefatta, il cielo era limpido, di un azzurro intensissimo. Tutto ciò accendeva i colori. Ed emergevano forti: il giallo, il blu, il rosso della bandiera colombiana. Colori davvero brillanti».
«Non essendo un fotografo colombiano non cercavo per forza, o solo, la cronaca della corsa. Cercavo quelle cose caratterizzanti, che raccontassero di più. La faccia particolare, la frutta a bordo strada, gli indios».
Carapaz brillante
Ma con 40 e passa anni di esperienza e tante, tante corse vissute da dentro, Biondi ha affinato anche un certo occhio tecnico-sportivo. Il fotografo, che spesso è in corsa sulla moto, a volte conosce i corridori meglio dei giornalisti. Tra loro si stabilisce un rapporto di fiducia, che verosimilmente parte dalla condivisione della strada o di un temporale strada facendo.
«In generale – spiega Biondi – ho visto bene i corridori colombiani, sia perché era la loro corsa, sia perché molti sono più avanti nella preparazione (specie quelli locali che non sono negli squadroni del WorldTour e sfruttano questa vetrina mondiale per mettersi in mostra, ndr). E infatti ha vinto Rodrigo Contreras della Nu Colombia».
«Tra i big ho visto bene Carapaz. Tra l’altro il suo attacco sull’Alto del Vino è stato anche un bel momento da dietro la macchina fotografica: questo scatto tra due ali di folla. Un grande tifo e gran baccano».
«Ho visto un buon Bernal. Egan ha provato ad attaccare, specie quando si passava nelle sue terre. Una sua vittoria sarebbe stata una bella storia: il ritorno dopo l’incidente. Così come lo è stata quella di Mark Cavendish. L’ex iridato che torna al successo dopo l’addio è stata una bella vetrina per il Tour Colombia stesso».