Qualche screzio non può rovinare una rapporto di una vita. I battibecchi se vogliamo ci sono sempre stati tra Luca Scinto e Giovanni Visconti. Ma sono stati ben più i momenti di gioia, di crescita, di abbracci e di successi.
Qualche giorno fa, il nostro direttore Enzo Vicennati vi ha raccontato di Visconti con Giovanni stesso, stavolta vi racconto del siciliano tramite i ricordi di Scinto. Eravamo alla Ballero nel Cuore, a casa loro in pratica, e ce li siamo divisi. Uno a te, uno a me.
Seduti su una panchina al sole di primavera Scinto racconta…


Luca, i ricordi sarebbero tantissimi e allora seguiamo la storia: qual è il primo che hai di Visconti?
La prima volta che l’ho visto in allenamento. Io ancora correvo. Mi stavo allenando per il mondiale. Era settembre, forse fine agosto. L’ho visto e lui è tornato indietro. Gli faccio: chi sei tu? Io sono Visconti. Sai che il prossimo anno vengo a correre nella squadra in cui tu fai il direttore sportivo?
Fu bello diretto!
Io non ero sicuro ancora di farlo. Però mi sembrò bravo. Gli dissi: dai, accompagnami a Montecatini. Praticamente mi accompagnò a casa. Io andavo da mia mamma a Galleno, che distava una cinquantina di chilometri dal punto in cui eravamo. Pedalavamo, ad un certo punto gli chiesi: ma tu dove abiti? A Vaiano, mi rispose. Come a Vaiano, esclamai io. E quanti chilometri fai? Lui era uno juniores. Credo che quel giorno finisse intorno a 170 chilometri per venire con me. Pensai: questo è suonato come le campane! Quando smisi di correre me lo trovai effettivamente in squadra (la Finauto, team U23, ndr) e capii subito che era uno buono per davvero.
Come?
Una volta, a gennaio, facemmo il Serra. Chiamai Citracca. Gli dissi: gli altri non sono super, ma questo Visconti è un bel corridore. Ha fatto un tempo sul Serra che non lo facevo neanche quando ero professionista. Da lì cominciò l’avventura coi dilettanti. Riuscimmo a vincere. E anche grazie alle sue vittorie, mi feci conoscere come direttore sportivo. Non lo posso negare. Poi ci sono stati parecchi alti e bassi con lui, come sapete. Però credo di aver fatto del bene e mai del male. Giovanni sapeva che gli potevo dare tanto e sapeva che ciò che gli dicevo nell’ambito ciclistico era valido. A prescindere poi dalle discussioni che abbiamo avuto…
Siete anche caratteri simili per certi aspetti. Due caratteri forti…
Più carismatici direi. Io non rinnego le mie decisioni. Gli devo anche tanto: ragazzo serio, professionale, grintoso, che non mollava mai….
Lo spirito del “Marines” è venuto fuori con te…
Il “Marines” lo tirai fuori io quando vinse il primo italiano da professionista. Lo allenavo io, lo seguivo io e mi ricordo che quattro, cinque giorni prima si fece un allenamento dietro macchina. Facemmo il giro dei Bagni di Lucca. E gli dissi: se non arrivi nei primi 3-4 al campionato italiano, io di ciclismo non ci capisco niente. Stava andando veramente forte. E infatti vinse.


Qualche rammarico?
Che poteva aver vinto tanto di più. Ha vinto tanto, ma gli manca una classica. E non capisco come mai non sia riuscito ad imporsi in una Sanremo o un’Amstel… Però ha fatto 20 anni ad alti livelli.
E invece qual è il ricordo più importante?
La vittoria del secondo campionato italiano, quando gli ho dato la bandiera tricolore. Credo non sia mai successo che un diesse nascondesse la bandiera tricolore. L’avevo messa sotto al sedile dell’ammiraglia. E all’ultimo chilometro gliela consegnai. Non lo sapeva neanche lui. Ecco, Giovanni che arriva con questa bandiera in mano che sventola è un’immagine unica. E per poco mi dimenticavo di dargliela! Quel giorno presi anche 1.000 euro di multa.
Come mai?
Perché non dovevo passare il gruppetto che lo inseguiva per andare su di lui. Eravamo ai 15 chilometri all’arrivo. Multa o espulsione dalla corsa non mi interessava. Con 40” di vantaggio, anche se non potevo, gli sono andato dietro. Quando è arrivato il presidente di corsa, mi ha guardato e si è messo le mani nei capelli. Gli ho detto: fai come ti pare, scrivi pure, ma io non mi muovo. Anzi, dissi al meccanico di slacciare il cinghietto della bicicletta di scorta che per ogni evenienza avremmo cambiato subito la bici. Mancavano ormai 14 chilometri dall’arrivo. Dissi alla giuria: se il gruppo rientra è interesse mio fermarmi. Non gli farò da punto d’appoggio. Però meglio io che il cambio ruote della corsa.


Se tornassi indietro qual è una cosa che non rifaresti e una cosa che invece rifaresti, con Giovanni?
Sia le discussioni che gli insegnamenti, sono stati fatti in buona fede. Mi ci sono dedicato tanto, forse anche troppo. Con me si sentiva protetto, si sentiva in un’altra dimensione. E per questo è ritornato. Il fatto che oggi (domenica scorsa, ndr) è qui a dare il via alla nostra corsa, è segno che tante cose sono state dimenticate. E poi io credo che sia anche umano discutere, perché nei rapporti veri le persone che stanno tanti anni insieme si beccano. Se non c’è mai discussione c’è falsità. Quando invece c’è allora il rapporto è vero, sincero.
Invece, Luca, quando vedevi Visconti vincere con le maglie delle altre squadre cosa pensavi?
Mi ha fatto piacere. Anche perché un corridore che dalle mie mani passa ad una WorldTour e vince è segno che ho lavorato bene. Ed è una soddisfazione personale. Non c’è invidia. L’unica cosa che gli ho detto quando è tornato da me è stata: hai vinto tappe al Giro con altre squadre, adesso regala una soddisfazione anche a me! Sull’Etna non ce l’ha fatta. Quello forse è stato l’ultimo colpo. Non ce l’ha fatta, però non cambia niente.
Di aneddoti ne avrai a milioni, ma ce n’è qualcuno in particolare?
Trofeo Melinda. Litigata furibonda… in corsa. Giovanni aveva vinto la Coppa Agostoni, mi pare. Quel giorno dopo 50 chilometri si voleva ritirare, era quasi sceso di bici. Io l’ho infamato, ma di brutto… Tralasciando le parolacce, gli dissi: in bicicletta bisogna soffrire. Fai più di 100 chilometri e vedrai che ti sblocchi perché la condizione c’è. La stanchezza è solo apparente. Vedrai che ti sblocchi…


E lui?
Mi mandò a quel paese! Mi rispose: ti sto a sentire solo perché sei il diesse. E sapete come andò? Vinse il Trofeo Melinda battendo Garzelli. Fu una soddisfazione, per la vittoria e per il mio ruolo di diesse. Lo presi sull’orgoglio. Pensò: vado avanti per farlo contento e alla fine ha vinto!
Un aneddoto stavolta te lo lanciamo noi. Un aneddoto vissuto in prima persona da dentro il gruppo. Corsa under 23 ad Indicatore, nell’aretino, eravamo in un gruppo di una trentina di corridori. Al chilometro 100 spaccato sei piombato con l’ammiraglia. Ero a ruota di Giovanni e gli dicesti: fermo, fermo. Basta così. Quattro giorni dopo Visco vinse l’italiano…
Aveva corso parecchio in quel periodo. E lo vedevo un po’ stanco. Non che fosse finito, però sentivo che doveva recuperare. Così lo fermai. Ricordo anche che lui voleva continuare… E anche lì, la sera aveva il muso lungo. Ma poi vinse l’italiano. E fu il primo titolo della squadra e il mio da diesse. Poi vinse anche l’europeo. Dai, qualcosa gli ho insegnato! E magari è anche grazie a me se ha capito cosa significasse davvero fare il corridore.
Beh, tu ne avevi di esperienza anche come corridore…
Anche quando era diventato professionista mi sono dedicato a lui moltissimo, perché sapevo che era importante il momento del passaggio. Lui era abituato bene ed è stato nel ritiro con i dilettanti anche da pro’, si allenava con loro. Poi quando gli under finivano lo portavo a fare dietro moto. E arrivava alle corse sempre pronto. Questo per due anni. Credo siano stati i più importanti per la sua carriera da professionista. Il tutto grazie anche ad Angelo (Citracca, ndr) che mi ha dato l’opportunità di farlo stare lì.