Dopo aver conquistato lo scorso anno il podio al Tour, al termine di una carriera da solista iniziata quando lasciò il Team Sky nel 2016 per passare alla Bmc poi alla Trek-Segafredo, Richie Porte è tornato nel team britannico e ha raccontato di essersi sentito di colpo come a casa. E i compagni hanno fatto di tutto perché accadesse. Si è visto benissimo al Delfinato, conquistato con l’auto di Geraint Thomas e Tao Geoghegan Hart.
«Avere un vincitore del Tour e uno del Giro che ti aiutano – ha commentato – è stato esaltante. Avevo un conto aperto con questa corsa e mi ero già trovato con la maglia di leader alla vigilia dell’ultima tappa, ma Fuglsang organizzò una bella imboscata e io abboccai alla grande. Vincere il Deflinato a 36 anni con certi compagni è il bello del ciclismo».
Origine toscana
Una storia singolare quella del tasmaniano, arrivato in Italia al Gruppo Lupi della famiglia Tamberi nel 2007, poi passato alla Mastromarco e alla Bedogni, prima del contratto con la Saxo Bank. Veniva dal duathlon e, ricorda Giuseppe Di Fresco che lo ebbe alla Mastromarco, correva sempre all’esterno o in coda al gruppo, per paura di cadere. Eppure cadde ugualmente, tanto che si ruppe il bacino e rimase per un mese a letto nel ritiro della squadra toscana, in cui correvano fra gli altri Damiano Caruso e Stefano Borchi.
«Una persona bravissima – ricorda Di Fresco – che imparò subito l’italiano. Ce lo aveva segnalato Stefano Fiori, il giornalista. Così lo portai da Pino Toni per fargli un test e decidemmo di lavorarci. Era tondetto, lo facemmo dimagrire. E quando si riprese dall’infortunio, vinse cinque corse, fra cui il Gp di Cerreto Guidi che per noi era molto importante. Poi arrivò Tafi, lo prese sotto la sua ala e lo portò alla Bedogni».
Senza stress
Cadute da allora Richie ne ha avute diverse, che gli hanno impedito di ottenere i risultati che sperava sebbene andasse davvero fortissimo. E adesso, libero dalla pressione del dover vincere, il suo approccio con le corse sembra più lieve.
«Quando hai numeri come quelli che avevamo noi al Delfinato – ha raccontato – gli altri possono solo inseguire. Si trattava di lanciare uno di noi all’attacco e a La Plagne è toccato a me, nel giorno in cui ho preso la maglia. Chiaramente questa corsa serviva come test per il Tour. E considerato che abbiamo ancora Carapaz in Svizzera, credo che siamo in una buona posizione. Speriamo anche alla Grande Boucle di avere la possibilità di giocare carte diverse».
Cambio bici
Il finale del Delfinato, proprio negli ultimi chilometri verso l’ottavo traguardo a Les Gets, ha avuto un tocco di dramma, raccontato però col sorriso dello scampato pericolo.
«Però ammetto – ha detto – di aver pensato a quando nel 2017 in pochi chilometri si è scatenato l’inferno e questo dimostra che per vincere una gara come questa serve avere una grande squadra. Sul Col de Joux Plane ho dovuto cambiare la bici e ho avuto qualche problema nel mettere il Garmin sulla bici di scorta. Ci ho messo troppo e a pensarci ora dico che forse si dà troppa importanza a quello strumento, anche se ti indica ogni cosa. E mentre io armeggiavo, Thomas si è voltato per cercarmi ed è caduto. Per fortuna non si è fatto niente, è rientrato e ha tirato a un ritmo tale che nessuno ha potuto attaccare. Se fossi stato da solo, forse avrei avuto dei problemi con i ragazzi dell’Astana».
Tour per Thomas
Il Tour chiama e sebbene lo scorso anno sia arrivato terzo, Porte (forse) non ha grilli per la testa. Quando torni in una squadra come il Team Ineos, spazio per improvvisare te ne lasciano poco.
«Ho firmato questo contratto per tornare e aiutare Thomas – dice – che mi ha aiutato a vincere il Delfinato, la gara più importante della mia carriera. Quindi glielo devo e questo è il piano. Ma allo stesso tempo, immagino che Roglic e Pogacar non potranno inseguire tutti, quindi potremmo avere tutti delle chance. Le loro squadre non sono imbattibili, anche se Pogacar non ne aveva una imbattibile neppure l’anno scorso. Credo che noi abbiamo un collettivo migliore e che Thomas sarà a un livello superiore».
Amore Ineos
Il programma immediato ha previsto il necessario recupero, rifinitura e alcune prove sui percorsi del Tour, prima dell’ultimo ritiro.
«Abbiamo fatto un paio di giorni di ricognizione – dice – e dopo qualche giorno a Monaco, ci sposteremo a Isola 2000, quindi neanche troppo lontano da casa. Da qui passeremo ancora un po’ di tempo in famiglia, poi Tour e dalla Francia direttamente a Tokyo. Diciamo che le prossime sette settimane saranno piuttosto impegnative. Il Team Ineos-Grenadiers è una squadra fantastica ed è quasi come se non fossi mai andato via. Dicano quel che vogliono, ma penso che sia per questa organizzazione che si vincono le gare in bicicletta. Ne ho avuto la prova vedendo in che modo mi sono stati accanto».